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Stringere Lungo i Bordi.

La prima volta è stato un sabato, in tarda mattinata. Per essere precisa, sabato 2 febbraio 2019, poco prima delle 12.

Ho buona memoria per le date importanti e ancora di più per le parole: per questo ricordo altrettanto bene che mentre ascoltavo “Avevi fretta di andartene” e, per la prima volta, la voce di Emidio Clementi, avevo in testa un aggettivo preciso: crepuscolare. Era stato quell’aggettivo a convincermi a cercare i Massimo Volume su Spotify ed era stata quella voce a ipnotizzarmi per l’intera serata, i suoi testi a rapirmi e inquietarmi, avviluppandomi in una atmosfera decadente che avevo stemperato con un ottimo vino rosso.

Ho ascoltato ancora i Massimo Volume, da allora. E bevuto vino. Spesso ho fatto le due cose insieme.

Ho amato follemente “Club Privé”, “Il nuotatore”, “Cattive abitudini”. Follemente.

Credo che il motivo sia qualcosa nel suono consumato della voce di Clementi che sembra aver grattugiato la superficie più tenera, lasciando scoperta una carne viva e feroce, aspra e talmente vera da riempirmi di brividi; e allo stesso tempo qualcosa nei testi delle canzoni che scrive che scopre verità struggenti, malinconie spesse e tridimensionali come groppi in gola e nodi stretti attorno a un addio ormai sgonfio, delusioni aggrappate alla speranza come adesivi appiccicati ad un muro umido e scrostato. C’è il tema del tempo, della solitudine, di un vuoto che non ha bordi, nel quale ci si ritrova immersi e smarriti e che se per chiunque sarebbe crisi, rabbia e assuefazione, solo lo sfogo sofisticato e impetuoso di un poeta può rendere affascinante. Quasi prezioso.

Le canzoni che scrive Clementi sono poesie beat, racconti sincopati, immagini talmente evocative che si riconosce nei suoi versi un odore, un gusto, un desiderio.

Quello di scrivere, prima di ogni altro.


E infatti Clementi scrive. Racconti, romanzi. Incrocia la poesia di Emanuel Carnevali, il suo disincanto lucido e quasi ingenuo per il mito dell’America, le sue occasioni mancate, i suoi sogni affogati nelle salse barbecue e feriti in una lotta senza esclusione di colpi tra ambizioni e inquietudini. E dalla ricchezza dei versi delle sue canzoni, in cui le parole vorticano per costruire idee e sensazioni, passa a dipingere su carta scene che sembrano prese da quadri di Hopper, storie abitate da personaggi vicini ma soli. Mentitori. Spaesati.

Non a caso a mio parere nell’ultimo lavoro letterario (e non solo in questo, in realtà) Clementi rende protagonista un bambino. Ma non la sua voce: il suo sguardo periferico sul mondo degli adulti, il suo giudizio cinico e disincantato sugli affanni colpevoli di chi sopravvive, camuffa, confonde pur di non mettersi in gioco davvero. Di chi, soprattutto, si nasconde a se stesso.

Il romanzo “Gli anni di Bruno” è costruito come un collage di voci e di ricordi che si sovrappongono una all’altra per raccontare una famiglia italiana: gli equilibri ammaccati, le retoriche traballanti, i fallimenti spinti con la polvere sotto i tappeti. Fino all’ultimo capitolo, quando con un “colpo di stato” è lo stesso Bruno a parlare, a lucidare il vetro attraverso cui il lettore guarda la sua famiglia e ci si specchia a sua volta. Credo che Clementi sia riuscito (ma lo aveva già fatto molto bene in “L’amante imperfetto” e in “Matilde e i suoi tre padri”) a illuminare il bordo delle cose, delle relazioni familiari, delle aspettative, dei sogni. Perché è lì sul confine, un attimo prima che precipitino, che diventano rivelazione, che si fanno concrete, che si possono quasi accarezzare. Pazienza se poi, alla fine, non si ha la forza di stringere la presa.

Forse sognare, amare, desiderare non sono altro che Cattive Abitudini.

L’incontro con Emidio Clementi è in programma Giovedì 29 Settembre alle ore 18 al Castello Sforzesco, p.zza Martiri, Novara.



 

Valeria Di Tano

"Vivo circondata da storie e parole per lavoro e soprattutto per passione. Le uso come mattoni per costruire, come labbra da baciare e come aria da respirare. Leggo, scrivo e sorrido. Tutto in equilibrio sui tacchi a spillo."