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Il free mainstream di Bobby Watson a Torino

Il grande alto-tenorista statunitense con il suo nuovo quintetto a Torino per “Jazz All’Hilton”

Torino, DoubleTree by Hilton Lingotto, 21 marzo 2024 ore 17:15.

– Hey, are you the piano tuner?
– No, I am the photographer.
– Ah, the photographer… The photographer. Wait, man! I know you!
– Well… Actually we met at the Jazz Club Torino last time you played there, years ago. I took some pictures.
– Yeah, yeah, I remember now! We both still had hair on our heads at that time!

Curtis Lundy si accarezza la testa, ride e mi stringe la mano. Il mio shooting al soundcheck di Bobby Watson inizia così, in questo modo inatteso e un poco surreale, ma senza dubbio molto simpatico e coinvolgente. Curtis Lundy, grande veterano del contrabbasso, musicista e compositore, al fianco di Bobby Watson da molti anni. Un high five al JCT anni fa, e si ricorda di me. Incredibile.

Anche il saluto di Bobby è caloroso: ha ancora in mente il concerto al Charlie Bird in chiusura della prima mostra fotografica del Collettivo Fotografi jazz Torino, da me co-fondato con cinque amici. Era il novembre del 2019; nessuno immaginava che di lì a qualche mese il mondo sarebbe stato sconvolto dal covid. L’arte musicale ne avrebbe fatto le spese in modo pesante. Ma il passato è passato, e adesso siamo nella sala da pranzo del DoubleTree Hilton del Lingotto, dove tutto è pronto per il soundcheck; anche i tavoli sono già apparecchiati per la cena e occupano tutto lo spazio disponibile, eccetto il minimo indispensabile per i cinque musicisti, ed è una buona notizia. Significa che il nome di Bobby Watson non ha perso il suo appeal.

Il soundcheck non incontra intoppi. Christian, l’engineer della Daniele Pavignano Events, attrezza le luci in un attimo e i suoni sono da subito ottimi. Le poche richieste di tuning vengono soddisfatte immediatamente; per parte mia, approfitto dell’atmosfera rilassata ed allegra per avvicinarmi e mi permetto qualche scatto che durante il concerto non sarà certamente possibile. Per nulla infastiditi, i cinque scherzano. Watson accenna qualche passo di danza sulla batteria di Victor Jones, l’altro veterano della band. La formazione è completata da Jordan Williams al pianoforte e dal giovanissimo figlio d’arte Wallace Roney Jr. alla tromba.

Il soundcheck termina, qualche foto ricordo e poi “see you later”, in attesa dell’evento, che si annuncia incentrato sulle ballad: proprio su queste melodie il quintetto ha preparato i suoni. Ma spesso le cose non vanno come credi.

Quando la cena volge al termine, Fulvio Albano -ideatore e direttore di “Jazz All’Hilton”- annuncia i musicisti, che si posizionano agli strumenti e danno inizio al concerto: si capisce immediatamente che lo spettacolo sarà energico e bello teso, con buona pace del velluto srotolato al soundcheck. Bobby Watson ha tecnica da vendere, tanto da poter suonare tranquillamente Charlie Parker come solo Charlie Parker potrebbe. Può suonare il mainstream, certo, o qualsiasi altra cosa desideri, secondo l’ispirazione del momento, e in questo particolare momento il suo mood tende morbidamente al free. “Questa sera sperimenteremo un poco”… e si lancia in un solo assassino.

Giunto alla fama mondiale negli anni ’70 come direttore musicale dei mitici Jazz Messengers di Art Blakey, per quattro decenni Watson è stato uno dei punti di riferimento della scena musicale newyorkese e nella sua lunga e proficua carriera, oltre a insegnare, a guidare ensemble numerosi e a rilasciare qualche decina di album a proprio nome o come band leader, Watson ha collaborato con un elenco impressionante di grandi e grandissimi: Wynton e Branford Marsalis, Max Roach, Dianne Reeves…
Di conseguenza, non stupisce che si discosti a proprio piacimento da qualsiasi etichetta e sappia offrire al suo pubblico spettacoli in grado di soddisfare le attese e, al tempo stesso, di sorprendere.

Da qualche anno è ritornato ad insegnare nella sua città di origine: ne è nata l’ispirazione per il ventunesimo album solista della sua carriera, “Back home in Kansas City”. Appare naturale che sia proprio il repertorio dell’album a guidare la scaletta del concerto, nel quale trovano però spazio anche alcuni classici. Consapevole di non avere più necessità di dimostrare alcunché, Watson dirige i suoi con lo sguardo, ispirato vigile in un crocevia di suoni, e si siede spesso ad ascoltarli mentre inanellano soli o accompagnano Roney Jr. nel temporaneo ruolo di band leader.

Le radici della musica di Bobby Watson sono assolutamente afroamericane e traggono linfa vitale dalla storia del jazz incarnato nel movimento be-bop, ma la presenza di Jordan Williams accanto proprio a Wallace Roney Jr., due giovani astri nascenti, è un lungimirante sguardo al futuro e, al tempo stesso, l’opportunità per un intreccio di esperienza e freschezza, di tradizione e novità.

Tra momenti corali coinvolgenti e soli di elevatissimo pregio il concerto giunge velocemente al termine, ma il pubblico reclama a gran voce un bis, per il quale Fulvio Albano si unisce al quintetto. Jazz will be jazz, penso: senza prove né accordi preliminari, i due sassofonisti confabulano brevemente e decidono di cimentarsi in “Blue Monk”, uno standard tra i più classici. Tutti i musicisti jazz conoscono il brano e sono in grado di suonarlo improvvisando le parti soliste, nello spirito tipico delle jam session. Ne esce un’interpretazione raffinata e percettibilmente blues, in cui Watson e Albano duettano alternandosi e lasciando a tutti i musicisti lo spazio per un solo. La serata si chiude così nell’entusiasmo generale, con un applauso scrosciante a decretarne il successo.

Bobby Watson New 5et
21 marzo 2024 Torino, DoubleTree by Hilton Lingotto
Jazz All’Hilton

Bobby Watson, sax alto
Wallace Roney Jr., tromba
Jordan Williams, pianoforte
Curtis Lundy, contrabbasso
Victor Jones, batteria

Special guest:
Fulvio albano, sax tenore

GALLERIA 1: IL SOUNDCHECK

Bobby Watson New 5et 21/03/2024 Torino, DoubleTree by Hilton Lin
Author: Stefano Barni
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GALLERIA 2: IL CONCERTO

Bobby Watson New 5et 21/03/2024 Torino, DoubleTree by Hilton Lin
Author: Stefano Barni
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Stefano Barni

Curo le foglie. Saranno forti, se riesco a ignorare che gli alberi son morti.