Verdena – Volevo Magia
Devo dire che questa volta ero un po’ prevenuto. Avevo paura.
Le interviste rilasciate prima dell’uscita dell’album erano ancora più sconclusionate del solito, gli anni passano e l’aspetto dei tre della Valle del Lujo è quello di normali ultra-quarantenni.
Alberto è visibilmente imbolsito, come se questo poi significhi chissà cosa.
Il primo estratto, “Chaise Longue“, buttato lì nel lunedì della settimana dell’uscita dell’album, senza rispettare il giorno della canonica uscita dei singoli, con annesso video-non video che se non fosse per i tre sul furgone sembrerebbe un video con le parole in risalto fatto da un qualunque utente di Youtube a caso, ascoltato così, fuori contesto, sembrava quasi un outtake di Endkadenz.
Si rivela, invece, un perfetto antipasto, posto in apertura della tracklist. Le nuvole grigie di paura iniziano a diradarsi quando, il giorno prima dell’uscita di “Volevo Magia“, i Verdena si presentano, sfatti come sempre, come ospiti di un programma di Radio Deejay e fanno ascoltare in anteprima la seconda traccia dell’album: “Paul e Linda“: un pezzo gioioso con incursioni prog e un tiro mica da ridere.
E’ lì che inizio a pensare che ci hanno preso in giro un’altra volta, che non c’era da avere paura, che avremmo goduto anche questa volta.
L’album esce, questo sì nel canonico giorno di uscita degli album, alla mezzanotte del venerdì (anche se ormai si punta a farli uscire alle 02:00 per essere sicuri che vengano conteggiati nella settimana giusta, ma non perdiamoci in sottigliezze). Dopo le due tracce già citate arriva la prima vera bomba ad orologeria: “Pascolare“.
I suoni, pesanti e distesi, un doom alla Melvins, sono irresistibili e il testo di Alberto è perfetto a sottolineare il climax del pezzo. Mentre canta nel ritornello: “Riposerai, ora sei nel gregge” arriva il primo brivido sotto pelle.
La prima vera sorpresa arriva invece con la traccia successiva: “Certi Magazine“, una canzone atipica per il canzoniere dei Verdena, quasi orchestrata. La sua intimità è uno stacco notevole rispetto al pezzo precedente e rispetto al successivo: “Crystal Ball“: La prima traccia da pogo di “Volevo Magia”. Penso subito al bellissimo casino che ci sarà nei concerti durante la sua esecuzione.
La batteria di Luca è come sempre devastante. Sono i Verdena più giocosi quelli in azione e mi diverto come un pazzo. La voce di Alberto è quasi una gatta smorfiosa nel ritornello: “Godi mai? Gira quell’acido che vorrei, soffiami tu in un Crystal Ball” per non parlare della strofa: “Io già lo succhierei…l’estro”. Instant Classic.
“Dialobik” sembra quasi una canzone iniziatica, massonica, da illuminati: “Un’ombra si infila in noi, beati voi…se Dio è grande resto nel gregge….sei tu che dai vita”, ricorda un po’ i My Bloody Valentine di MBV, non tanto nelle sonorità quanto per questo spirito fascinoso e segreto.
“Sui Ghiacciai” riprende il filo di “Certi Magazine” ma anche di “Trovami un modo semplice per uscirne” in “Requiem” o di “Grattacielo” in “Wow“, una bella canzone d’amore, di “cuori dismessi”, arpeggiata e sommessa.
Mi rendo conto che le canzoni di questo tipo nel doppio vinile coincidono sempre con l’inizio di un lato dello stesso, non credo sia un caso o se lo è è un caso particolarmente benevolo.
Mi sembra di sentire i Pixies di “Surfer Rosa” nella title-track “Volevo Magia“, un pezzo hard-rock ignorante, come spesso definito nelle interviste, nato per essere una traccia molto lunga e lenta, diventa invece il pezzo più immediato e veloce del lotto.
“Cielo Super Acceso” è intrisa di romantica malinconia su una base up-tempo con suoni ripetitivi, quasi come se fosse un rituale accellerato. La malinconia si impossessa della parte finale dell’album.
“X sempre assente” si presenta con un sinuoso giro di basso portante, un pezzo riflessivo con tocchi new-age: “Cogli le energie”.
“Paladini” è una marcia militare, un carro armato che scruta la fine del tunnel: “Forse mi darai luce”. E’ quasi il momento di lasciarci, la penultima canzone: “Sino a notte (D.I.)” ci porta sulla Road 66 americana, tra autostrade desertiche, coyote e peyote.
La giostra termina con “Nei rami“, una lenta ballad che schiude uno dei testi più personali della carriera di Alberto: “Forse un giorno lei, di nuovo lei, dirà mi manchi”.
“Volevo magia” è un album maturo e consapevole. I Verdena sono diventati, forse per la prima volta in carriera, consapevoli di se stessi, anche se non lo ammetteranno mai, con quell’aria di perenni Peter Pan.
Non sono più gli strabordanti ragazzi di “Wow” o di “Endkadenz”, incapaci di scegliere quali tracce lasciare e quale escludere dalla tracklist o incapaci di arginare la sperimentazione a tutti i costi.
I Verdena di oggi hanno capito che non è più tempo di forzare la mano come in passato, quando tutto gli era concesso ed usciva, comunque, sempre bello e irresistibile.
Non è più tempo di giocare con la sorte. I Verdena di oggi sono felicemente asciutti.
Escono con un album solo, per la prima volta dopo 15 anni, uno dei più corti della loro carriera.
Hanno capito che psichedelici e dolcemente complicati lo sono di loro, che non c’è bisogno di ulteriori sovrastrutture, che non è più tempo. I figli crescono, il tempo scorre più veloce e le giornate si accorciano.
E’ necessario cogliere tutto ciò che si deve cogliere.
I frutti, come sempre, sono dolcissimi e gustosi e, forse, per la prima volta, maturi.