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Emidio Clementi e Corrado Nuccini – Motel Chronicles Live

Mi sorprende la mia nostalgia per tempi che ricordo a stento di aver vissuto. Non penso mai a me stesso negli anni Quaranta. Gli anni Quaranta sono riservati alla generazione dei miei genitori e ai piloti con giubbotti di pelle dai colli di pelliccia, che sorridono di fronte a aerei a elica.

Mio padre […] mi ha fatto fare un giro delle sue pareti. Tutte le sue pareti sono coperte di fotografie […]. Ogni fotografia è un punto di vista. È come osservare un intricato paesaggio da finestre diverse. Un cane bianco con un pesce verde in bocca. Una Squadriglia di bombardieri B-42 in Formazione di Volo.

La sua passione erano gli aerei a elica e dato che si era negli anni Cinquanta c’era ancora qualcuno di questi aerei dell’aria. Se ci sorvolava una formazione di P-51, lui tutto contento s’arrampicava quasi in cima a un albero di Avocado”.

Aveva proprio la stoffa giusta Sam Shepard e per Philip Kaufman fu la scelta perfetta per fargli interpretare Chuck Yeager in “Uomini Veri”, l’ex asso dell’aviazione militare e collaudatore di prototipi che per primo, nel 1947, superò la barriera del suono a bordo del Bell X-1A.
Il ruolo era tagliato apposta per lui.
Un figo stratosferico, alto, giubbotto di pelle, pantaloni chino color cachi, zigomi alti, un viso dai tratti marcati ma non duri. Un uomo bellissimo, da far spalancare gli occhi a chiunque, Jessica Lange la più fortunata.


Nel suo “Motel Chronicles” c’è solo un’altra citazione di aerei ma vola di tutto. Allodole, falchi, coprimulghi, cicale, falene, zanzare-bazooka. E poi mosche, mosche cavalline, mosche azzurre, mosche che scopano altre mosche.
Due micro-racconti tratti dal libro con protagonisti i volatili sono stati ritenuti meritevoli di entrare nella scaletta del nuovo album “Motel Chronicles” che Emidio Clementi e Corrado Nuccini hanno presentato dal vivo a sPAZIO211 col prezioso contributo di Emanuele Reverberi e Francesca Bono.
Ma questi, a differenza degli aerei, non volano.
Degli uccellini sono intrappolati in una gabbia in un loop infinito col protagonista che “sistemava la gabbia dei canarini, dava da mangiare al mulo, cadeva catatonico per mezz’ora. Succedeva tutte le mattine. Sistemava la gabbia dei canarini, dava da mangiare al mulo, cadeva catatonico per mezz’ora. Forse era la pausa dopo aver dato da mangiare al mulo a tramortirlo.
Una pausa gigantesca.
Sapeva già quale era il passo successivo dopo aver dato da mangiare al mulo. Doveva sfamare se stesso. Ma non riusciva a muoversi. Rimaneva catatonico per mezz’ora a fissare il deserto o la sua riserva di alcolici oppure la pompa del pozzo
”. Per poi ricominciare.
Le musiche trasmettono sospensione del tempo e inedia, una tromba fa vibrare l’aria e la quiete apparente va in frantumi.


L’altro, un uccello acquatico, viene rinvenuto morto in una pozza d’acqua proprio in mezzo a un parcheggio. La sua specie non viene riconosciuta nemmeno dal Tassidermista che però suggerisce una teoria sulla sua morte. “Con molte probabilità sorvolando il parcheggio aveva scambiato il riflesso dell’asfalto per la superficie di un lago ed era sceso in picchiata e si era sfracellato al suolo“.
Schiantato a terra come molti personaggi del libro. Altri sembrano scaraventati in mezzo al deserto a vivere in qualche vecchia roulotte parcheggiata ai margini di qualche piccola città. Appoggiati alla staccionata di un rodeo di periferia.
Nella stanza più cara di un motel dove “le pareti sono tappezzate di velluto rosso. Il copriletto era di velluto rosso. Le poltrone di velluto rosso. Il lavandino era rosso. Le tende erano rosse. Non c’era un rosso più rosso di un’altro. Ogni rosso era esattamente identico all’altro rosso. Un’orgia di rosso su rosso” un uomo guarda le mani di un predicatore che parla nella lingua dei segni in una tv senza audio e si addormenta sotto la doccia, in piedi”.


Alcuni si pettinano in macchina, ossessionati dal giudizio delle donne, donne che portano stivali così scomodi da farle zoppicare e che osservano i loro occhi senza guardarsi negli occhi, ossessionate nel giudizio degli uomini. Immagini bellissime come quella della ragazzina col vestito verde chiaro e un paio di scarpe da ginnastica che corre dietro un pezzo di cellophane sospinto dal vento in uno spazio deserto che parla al pezzo di cellophane come fosse una creatura del vento, entrambi sospinti dal vento. Vengono in mente David Lynch e American Beauty, la macchina da presa segue l’azione  lentamente, largo uso di ralenti.
Vite vissute in mezzo al nulla, una candela azzurra tenuta accesa sul davanzale di un hotel malandato durante un black-out. La natura vista attraverso i finestrini sporchi di un’auto in corsa. Qualche volta da cavallo, in mezzo ai boschi. Gente con la pelle del viso spessa di cuoio, che mozza teste ai serpenti e spara ai conigli o perde denaro alle scommesse.
Ricordi d’infanzia e di gioventù (“Ricordo di aver cercato di imitare il sorriso di Burt Lancaster”, “Portavo il ghiaccio a Nina Simone”), istantanee sui dettagli di memorie altrimenti andate perdute.
Le musiche sono elegantissime, gli arrangiamenti perfettamente ricostruiti nella dimensione live.


Anche se è solo la prima data del tour i tre musicisti sono già in simbiosi perfetta e i suoni, un intrigante mix di strumenti acustici ed elettronici. Una sorta di tex-mex interiore e ancestrale si appoggia a una ambient avvolgente e misteriosa, blandamente trip-hop, molto cinematica e ben rappresentata dalla bellissima foto scelta per la copertina, in grado di coniugare la pittura di Edward Hopper e le fotografia di Gregory Crewdson.
Schegge da Paris, Texas: “Canción Mixteca” introduce il quartetto sul palco in una versione rielaborata, sommersa da disturbi radio e altre interferenze Yankee Hotel Foxtrot che la fanno apparire come proveniente da un’altra epoca, lontana nel tempo, antica e dimenticata; sampler di voci dall’etere rumori, dialoghi dallo stesso film e da altri sono usati per raccordare un brano a quello successivo.
Il lavoro di Emanuele Reverberi alla lap-steel e al violino è impeccabile. Gli interventi con la tromba
sono sublimi, l’assolo free in “E’ una notte di delitti efferati” amplifica la tensione jazz-noir accumulata.
Francesca Bono al synth e alla seconda voce è bravissima, l’impronta nu-soul che imprime a “Nina Simone” strappa meritati applausi.


Corrado Nuccini si occupa di tutto il resto, ritmi sintetici, chitarre e basso, con grande mestiere.
Abito e camicia grigia col collo chiuso da un bolo, Stetson. Uno sgabello, un libro, qualche foglio: Emidio cattura gli sguardi e accentra l’attenzione con la sua innata capacità di modellare la voce in funzione del testo. I tempi e le pause sono perfetti. Non ha rivali.


Al rientro a casa è forte la voglia di rileggere i racconti di Sam Shepard adattandoli alla cadenza di Mimì, immaginandoli recitati con lo stesso magnetico timbro.
Ci fermammo nella prateria in un posto con enormi dinosauri di gesso bianco disposti in cerchio. Non c’era una città. Solo questi dinosauri con delle lucette azzurre che li illuminavano dal basso.
Mia madre mi portava in giro avvolto in una coperta dell’esercito e canticchiava un motivo lento. Lo canticchiava dolcemente tra sé. Come se i suoi pensieri fossero molto lontani.
Non c’era nessuno in giro, solo noi e i dinosauri
”.
In sottofondo suoni che sembrano provenire da una dimensione sconosciuta, frequenze affini a quelle generate da un deserto sterminato sotto a un cielo carico di piombo. Una vibrazione al limite dell’udibile, densa, arcana e inafferrabile che accorda anime, volti e ricordi.






Roberto Remondino

"Wishin' and hopin' and thinkin' and prayin' Plannin' and dreamin' each night of her charms That won't get you into her arms So if you're lookin' to find love you can share All you gotta do is hold her and kiss her and love her And show her that you care".