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TRUSTY AND TRUE: La cruda verità di Damien Rice

Teatro Nuovo Giovanni da Udine 31-3-2023

“Questo è uno dei due brani non tristi del mio repertorio, quindi è probabile che non vi piacerà”

Se si può riassumere l’essenza di un artista come Damien Rice in poche parole queste  possono fare agevolmente al caso. Damien le pronuncia nel corso del suo concerto al Teatro Nuovo di Udine introducendo l’ inedito “I stepped out in the rain” dopo essere già riuscito a riscaldare con i primi tre brani una platea ben predisposta ad un nuovo incontro atteso da molti anni con il cantautore irlandese.
Parole che raccontano di una sensibilità in grado di provare ma soprattutto di raccontare in modo intenso e credibile sia i minimi sommovimenti come i più ampi smottamenti del cuore ma al contempo una sottile autoironia che ne riesce a disinnescare l’eccesso di seriosità melodrammatica.
Un altro esempio?  Quel’ “Sentimental stories are funny eh ?!” con cui introduce “My favourite faded fantasy” la title track di quell’ultimo album che porta incredibilmente la data del 2014, e sono quasi dieci anni…accidenti.
Il Teatro Nuovo Giovanni da Udine è un moderno gioiello come dimensioni ed acustica, la venue ideale per accogliere il ritorno di Rice al pubblico italiano dopo un lungo letargo che lo stesso Rice descrive verso la fine del set come una scelta consapevole di rinchiudersi nella propria tana.
E’ tutt’altro che un presenzialista Damien, il successo mondiale del tutto inaspettato del suo album d’esordio “O” nel lontano 2002 dopo varie fallimentari esperienze in gruppo, lo proiettò in uno spotlight di attenzioni e conseguentemente di pressioni da parte dell’industria discografica incompatibili con il suo carattere e il suo modo di concepire la musica per cui si chiamò fuori sparendo dai riflettori “via dalla pazza folla” per tornare a pubblicare soltanto quattro anni dopo il seguito “9” in cui la barra delle emozioni restava saldamente a dritta.
Anche in questo caso ad un anno dedicato all’inevitabile promozione seguì un progressivo sparire sotto traccia anche per curare le ferite della fine del rapporto musicale ma soprattutto sentimentale con quella Lisa Hannigan che era stata suo decisivo alter ego per tutto il percorso.

Il periodo di silenzio stavolta raddoppia e da quattro diventano otto gli anni di attesa per poter rivedere un ritorno discografico di Rice nella forma di quella “fantasia smarrita preferita” sopra citata, a suo modo la summa dell’arte del nostro nel suo essere opera in cui alla consueta intensa scrittura si affiancano arrangiamenti orchestrali capaci di portare la partecipazione emozionale dell’ascoltatore al massimo livello.
Ma è nella sua veste più scarna che Damien si presenta al pubblico italiano in questo frangente: una chitarra acustica, un pianoforte elettrico, la sua voce, e dalla metà dell’esibizione in poi l’affiancamento delle due artiste donne che hanno avuto la capacita di ritirare fuori dal guscio questo timido irlandese: la spigliata cantautrice di Barcellona Silvia Perez Cruz, il cui breve set di supporto è stato alquanto coinvolgente, e la affascinante e altera danzatrice lituana Jana Jacuka.
La prima parte del set si dipana tra un prologo ( I don’t want to change you) ed un epilogo (Cannonball) presentate senza elettricità: sul bordo del palco  la voce non microfonata e la chitarra non amplificata Damien, completamente solo nella prima e affiancato da Silvia e Jana nella seconda, si presenta in sostanza nudo davanti ad una platea di poco meno di millecinquecento anime, per cercare un contatto il più intimo possibile con chi lo ha atteso così  a lungo.
I primi sette brani sono un viaggio esclusivamente in solitaria in cui Damien , oscillando tra chitarra e pianoforte, dimostra come un brano ben scritto non abbia bisogno di alcun arrangiamento per infilarsi dritto nella mente e nel cuore per restarci, e cosi queste versioni crude di “Older Chests”, “Delicate”, “Volcano” e “Rootless Tree” ci ricordano con forza la materia scintillante di cui sono fatte.
Il ritorno di Silvia sul palco ad affiancare Rice con la chitarra e la propria voce per le successive “9 Crimes” “Astronaut” e “I remember” modifica brillantemente un quadro in solitaria che avrebbe potuto alla lunga risultare troppo statico ed ancor meglio fa la comparsa quasi in sordina ma progressivamente sempre più evidente delle coreografie di Jana, presentate in forma di ombre proiettate su lievi tessuti, o di punto di partenza di fasci di luce che raggiungono ogni angolo di un teatro completamente coinvolto.

Il ritorno per gli encores vede i tre protagonisti nella forma di ombre cinesi proiettate sul fondale sulle note dolenti che raccontano l’addio di “Cheers Darlin’”, una lunga versione che sconfina nell’inciso memorabile della “When Doves Cry” di Prince e nella strofa di quella “Babe i’m gonna leave you” immortalata dai Led Zeppelin nel loro primo album. Damien è seduto per terra, la voce che raggiunge un punto di rottura oltre il quale sembra difficile andare.
Ed infatti serve l’anticlimax di un intervento recitato da Jana al fine di ricomporre gli animi per il gran finale di “Solitary” davanti al pianoforte e della devastante “The Blower’s Daughter” prima responsabile del successo di Rice, che chiude in gloria la comunione tra Damien ed il suo pubblico.
Si è fatto molto tardi e la necessità di mettere un boccone nello stomaco prima che anche l’ultimo Mc Donald’s chiuda ci porta in fretta fuori dal teatro per scoprire, soltanto qualche giorno fa, che come da tradizione consolidata, c’è stato un seguito per i pochi restati fuori dal venue per attenderlo nella forma di tre brani suonati in acustico anche con l’aiuto di qualche fortunato fan, un epilogo concluso con quella “Trusty and True” che come meglio non si potrebbe racchiude nel titolo ciò che questo straordinario artista porta con sé  ovunque egli vada: Sincerità.

 

Ettore Craca

"Nel suono, nella pagina, nel viaggio, nell'amore io sono. In ogni altro luogo e tempo non sono".