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L’Amore (e la musica) ci salveranno: Fantastic Negrito  live a Torino



Nella routine quotidiana di ognuno di noi esistono gesti banali, semplici e ripetitivi che agiamo quasi senza pensarci, ma che ci restituiscono quasi sempre – con la loro aura di conforto e sicurezza – una linearità accomodante, rifugio all’interno del quale potersi sentire quasi ‘a casa’, in qualsiasi luogo ci si trovi.
Sono quei piccoli ancoraggi subliminali, quasi impercettibili all’occhio nudo di qualcun altro ma evidentissimi di fronte ai sensi di chi li possiede, che servono a non farci sbattere troppo a destra e a manca dalle intemperie improvvise che spesso ci assalgono, o a coprirci le terga da inaspettati oggetti contundenti che potrebbero caderci sulla testa ad ogni svolta, ad un incrocio qualsiasi, finanche mentre ce ne stiamo seduti tranquilli sulla poltrona di casa nostra.

Gesti impercettibili ma concreti, semiautomatici ma completamente umani: innocui, certo, ma così tanto affini da renderci quasi impossibile farne a meno. Potremmo quasi dire che fanno parte del nostro DNA, se non fosse che quello – il nostro genoma – non si può modificare manualmente: non all’atto pratico, e non certamente con un atto minimale e quasi involontario. Ad ogni modo, qualunque siano i vostri gesti di ancoraggio, uno dei miei, ogni mattina, consta nell’atto di prendere la mia tanto agognata tazzina da caffè, ricolma di sacro nero e caldo liquido amaro, di sedermi sulla sedia al tavolo della cucina, entrare sul mio profilo Facebook – non per nulla, il social preferito dai ‘vecchi’ come il sottoscritto – e scorrere immediatamente la pagina dei ricordi.

Puntualmente mi soffermo a guardarli ridacchiando, magari per qualche cavolata scritta in passato (ne scrivo moltissime anche adesso), oppure per altre molto più intime e molto meno facete, che in tempi ormai lontani condividevo forse con la speranza di sentirne meno la pesantezza specifica. Sta di fatto che esattamente tre anni fa scrivevo una cosa che, riassumendo, suonava praticamente come “non tutto il male viene per nuocere”, vecchio adagio che, come i gesti d’ancoraggio di cui sopra, servono quasi a ritrovare il ‘retaggio’ della saggezza dei nostri avi all’interno delle nostre vicissitudini quotidiane.

La stranezza della cosa in sé chiaramente non sta in questo piccolo e noioso antefatto, ma nella coincidenza che di ‘retaggio’, di ‘consuetudini e zone di comfort’ e di ‘opportunità all’interno delle azioni malvagie e delle umiliazioni che si subiscono nella vita’ ha parlato anche ieri, in una serata in equilibrio tra cinema, ‘inspirational speaking’ e musica – tra le materne mura del Cinema Massimo e attraverso la moderazione di un come sempre bravissimo Federico Sacchi – il signor  Xavier Amin Dphrepaulezz, più comunemente noto con il ben più pronunciabile alias di Fantastic Negrito.


E in quella sala normalmente deputata alla fascinazione degli occhi e dello spirito, è capitato – a me come ai molti accorsi per ascoltare un musicista e lasciarsi affascinare dal suo, di Spirito musicale – di conoscere un essere umano, un’anima e un artista sublime, un uomo che è stato semplice sentire sempre più affine man mano che si raccontava, e cantava. Xavier\Fantastic Negrito è un’esplosione di emozioni, con una vita pazzesca alle spalle ed un presente illuminante negli occhi, una conferma artistica (lo testimoniano i suoi ben tre Grammy vinti, e i quattro bellissimi album usciti fino ad oggi) ed una scoperta umana che vale la pena incontrare sul proprio cammino. Lo spettacolo è stato davvero un’ondata continua di emozioni.
La premessa era la presentazione del suo mediometraggio “White Jesus, Black Problems”, che si potrebbe definire un film storico per immagini e canzoni: un lavoro che dà vita cinematografica all’omonimo stupendo album dato alle stampe durante il 2022.

Le canzoni che contiene, ovviamente, sono state tutte pescate dall’album in questione, ma ciò che colpisce di più, rispetto alla pellicola – autoprodotta e invero girata con mezzi molto basici, attori presi propriamente tra “la band, i nostri amici e i miei vicini di casa”, ma con una buona capacità di montaggio e tanta alchimia umana – è la potenza e l’amalgama che vi è tra il girato e il ‘suonato’, e la virulenza di certa poesia espressiva in cui, di certo, si riconosce il DNA dell’artista.
Se la visione del film ha rappresentato tre quarti d’ora spesi benissimo, in un continuum di note e immagini catalizzate da emozioni sociali e morali, di certo la successiva intervista\presentazione è stata la cristallizzazione di quelle emozioni in un racconto di un percorso – quello artistico dell’album\film, ma anche quello morale dell’artista\persona – che ha dato un senso in più al valore musicale del lavoro prima suonato e poi rappresentato: un senso ancestrale, fatto di retaggio e auto-riconoscimento, un rispecchiarsi del Fantastic Negrito-essere musicale nel volto dello Xavier-umano e pronipote, in un percorso che – attraverso ogni nota e immagine e parola – ha riportato indietro nel tempo, noi scortati da lui, ad attraversare la storia una famiglia e di una comunanza umana, ben più che quella di un popolo intero.


E così che la storia di “White Jesus, Black Problems”, inizialmente partita per quella che doveva essere la storia del padre di Xavier (“Uomo terribile ma essere umano affascinante allo stesso tempo”, che si è pure “inventato un cognome per darsi la forza di andare oltre il razzismo e le angherie dei potenti”) è diventata soprattutto la storia dei suoi antenati, e della scoperta – potenzialmente disorientante, e di certo ‘scomoda’ – di avere nel proprio DNA una coppia di ‘basi azotate’ che la società a loro contemporanea non avrebbe mai voluto vedere legate: un amore interraziale tra due esseri umani di carnagione diversa, uniti tra loro dalla stessa comune umanità che li ha fatti riconoscere come simili.
“Si nasce tutti liberi” ha detto ad un certo punto l’artista, “e nelle difficoltà grosse, questa libertà può essere ristabilita, anche quando i potenti ci vogliono in catene. Anche nella umiliazione e nella vessazione peggiore c’è sempre un’opportunità che ci può liberare, giacché nulla può fermare quel sentimento di creazione, che è arte, e libertà, e voglia di esprimersi che ognuno, anche quando costretto a non poterlo fare, si porta dentro fortissimo”; e questo mantra, questa poetica che ci accomuna tutti – e che nella serata di ieri ha ispirato lo spirito di ognuno, fino a penetrare nel nostro DNA – Fantastic Negrito lo ha ripetuto, in note e voce, durante tutto lo stupendo concerto acustico che ha seguito l’intervista.


Un concerto che è stato quasi un jubilee continuo, che ha toccato tutte le canzoni dell’album, in una ancestrale funzione religiosa in cui il credo è la musica come espressività, mai banale e mai ripetitiva (così come lui ha risposto a chi non voleva che quell’album e questo film uscisse al pubblico, visto che troppo ‘diverso’ dal solito, ndr), mai inconsistente, ma piuttosto creazione personalissima e legata alla carne e al proprio retaggio.
Il tutto, unito da una chitarra che gioca con le note con la sapienza di un vero e navigato bluesman, una tastiera che il realmente fantastic-o Bryan C. Simmons – amico e sodale artistico di Xavier accarezza con una leggiadria e una cura sconvolgenti (a dispetto della sua stazza di certo notevole, ndr) unita ad una voce – anche questa di ‘velluto’ –  che fa superbamente da contraltare a quella di Fantastic Negrito, vero strumento della sua maestria, capace di riempire lo spazio della Sala 1 del Massimo, e in grado di giocare con toni e timbri in una maniera così espressiva, da lasciare quasi senza fiato anche i più bravi musicisti tra i presenti in sala (uno tra tutti, Giovanni ‘Naska’ Deidda, batterista degli Statuto, e rinomato amante e conoscitore del blues americano).

Camminare in luoghi inesplorati, a volte semi-sconosciuti – soprattutto quando appartengono alla nostra ‘eredità ancestrale’ – è spesso un viaggio inconsueto, a volte sorprendente, molte altre di più ‘scomodo’.
In quei casi, le cose che potreste fare sono essenzialmente due: imprecare contro la malasorte, i potenti, la sorte iniqua e beffarda rea di colpirci ingiustamente, oppure – e questa è anche la strada che ha chiaramente seguito il nostro Xavier – prendere quel po’ di positivo che ‘certamente’ sempre convive in quella malasorte inaspettata, e concentrarcisi in modo che, a quel punto, ti appaia come una nuova ‘opportunità’.

“Sono sulle spalle dei miei antenati, sia bianchi che neri, che mi hanno mostrato che tutto è possibile”, dice Negrito. “C’era molta bruttezza nella loro storia, ma c’era anche molta bellezza, perché alla fine hanno vinto. L’amore ha vinto.”
E, oserei dire, anche la musica: che, fortunatamente, in casi eccezionali come il suo, spesso è esattamente lo stesso.









Stefano Carsen

"Sentimentalmente legato al rock, nasco musicalmente e morirò solo dopo parecchi "encore". Dal prog rock all'alternative via grunge, ogni sfumatura è la mia".