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Martino Gozzi – Il Libro della Pioggia – Bompiani

Si scrive ciò che non si conosce di quello che si conosce“: poco oltre la metà del suo nuovo libro, Martino Gozzi cita la poetessa statunitense Grace Paley. E io in quell’istante ho capito il senso di tutto quello che stavo leggendo, della delicatezza usata per raccontare un dolore appoggiato in un punto del cuore, come un soprammobile del quale non importano forma e colore, ma solo che sia lì, carico di tutte le sensazioni e i ricordi che conserva gelosamente sulla sua superficie.
Martino Gozzi è traduttore, scrittore, dirige la prestigiosa Scuola Holden di Torino: conosce la letteratura, l’editoria, le aspirazioni e le ambizioni degli scrittori, il valore della parola, il suo potere.
Eppure il libro è la storia di ciò che di quel potere ancora resta da capire davvero; come se fosse un esperimento, mettere in fila pensieri che la voce non sa sciogliere. Almeno, non senza tremare.
Ma “Il Libro della Pioggia” non è un saggio né un manuale e diffido anche della definizione di “memoir” che di recente va per la maggiore: in queste pagine Gozzi accantona il mestiere e si mette in cammino con uno stile trasparente, privo di manierismi ed effetti, lungo una strada in cui è soprattutto padre, compagno, uomo. Amico.
Proprio su questo si sofferma: scrivere di una amicizia che lo ha accompagnato da sempre, affrontando finalmente ciò che di lui e Simone ancora non conosce.
Il distacco.
La separazione, la fine.
Martino e Simone sono amici in quel modo che a me ricorda i film di Salvatores ed è così che in effetti l’autore sceglie di far scorrere sulla carta la loro storia: una pellicola cinematografica scritta in corsivo, un fluire di episodi e ricordi teneri e semplicemente veri, una infinita colonna sonora. Infatti, la musica pervade la memoria: i concerti, le prove, il palco su cui Simone suonava il basso, i gruppi musicali che Martino si affannava a conoscere, capire, ascoltare per non perdere i riferimenti, le ispirazioni, il linguaggio della loro amicizia.
Come è accaduto a milioni di persone al mondo, è tra le strofe delle canzoni dei Radiohead, di Nick Drake, Springsteen, Bowie e soprattutto dei Pearl Jam che i due ragazzi costruiscono il loro codice e gli stessi, diventati uomini, lo rendono linfa, nutrimento, speranza.
Speranza, certo.
Anche se certe storie non prevedono il lieto fine: esiste però sempre una colonna sonora. E se si chiama “colonna” forse è perché a quella ci si può aggrappare per restare vivi e continuare ad “essere presenti, lungo la strada. Lottare, amare. Piangere. Camminare. Cantare a perdifiato“.
È che ci sono gocce di pioggia che hanno il sapore di chi resta immortale, almeno per chi gli vuole bene. E questo, forse, è davvero tutto.

Non facciamo che aprire porte, tutti quanti, una dopo l’altra, e ogni volta crediamo di essere arrivati. Di aver capito. Di essere finalmente a casa, al sicuro. Fuori pericolo. E invece c’è sempre un’altra porta da attraversare, un altro spazio che si spalanca. E ci tocca ricominciare daccapo, ogni volta“.

 

 

 

Valeria Di Tano

"Vivo circondata da storie e parole per lavoro e soprattutto per passione. Le uso come mattoni per costruire, come labbra da baciare e come aria da respirare. Leggo, scrivo e sorrido. Tutto in equilibrio sui tacchi a spillo."