Mono

SANDY DENNY – NO MORE SAD REFRAINS – Pt 2.

Per la prima parte dell’articolo cliccate qui.

Raccolse un’équipe di sole due persone: suo fratello David nel suo ruolo di manager e la sua amica Miranda Ward come assistente e supporto morale.
A New York, aprì per i Genesis presso l’enorme Philharmonic Hall. A Boston e Denver, supportò Randy Newman. Le voci sul suo ritorno nei Fairport cominciarono a filtrare nel Regno Unito quando si presentarono insieme al Troubadour Club di Los Angeles.
Il lavoro sul suo album più bello iniziò a Los Angeles, presso gli A&M studios. “Like An Old Fashioned Waltz” riesce a evocare non solo immagini di nostalgia, ma anche le sue sensazioni personali. Nell’emozionante “Solo”, Sandy racconta la sorte dell’artista solitario – come metafora dell’isolamento di ogni essere umano – ma allo stesso tempo prende in giro la sua stessa autoillusione. “Dark The Night”, “Carnival” e “At The End Of The Day” evocano il dolore sordo della solitudine, lo spasimo dell’abbandono, e il desiderio di ricongiungersi con l’amato tornando a casa. La canzone che dà il titolo alla raccolta parla dei luoghi comuni della nostalgia: fiori, estati passate e musica spettrale. Il momento più bello, però, è “No End”, nella quale un uomo fa visita in pieno inverno a un vecchio amico, un pittore che ha rinunciato alla sua vocazione. L’ambientazione nevosa, il modo con il quale la storia si svolge gradualmente e il testo della conversazione la rendono ricca e risonante come un atto unico. Sandy canta con una compostezza mozzafiato. Come quella di Sinatra: il suo fraseggio è inimitabile.
L’album fu accolto con cautela. È stato il suo primo disco senza alcun contenuto folk, eppure era a dir poco un album rock. Sebbene la produzione finemente curata di Trevor e John Wood fosse stata apprezzata, le due cover – “Whispering Grass” degli Ink Spots e “Until The Real Thing Comes Along” di Fats Waller – minacciavano lo stato d’animo delle altre canzoni, e disorientarono alcuni critici.
Tuttavia, Sandy ne fu orgogliosa e, in attesa della sua uscita in ottobre, suonò molto dal vivo, in particolare un’apparizione al Howff, un piccolo locale a Primrose Hill, il 4 settembre 1973. La performance fu accolta in modo estatico, e non solo dalla stampa musicale.
Il Daily Telegraph, pubblicazione non famosa per l’iperbole, scrisse: “È stato uno di quegli avvenimenti che i critici sognano ma che raramente sperimentano, quando una brava, ma fino ad allora stravagante cantante decolla all’improvviso, portando con sé il pubblico nel tipo di viaggio in cui il canto è davvero il fulcro. È stato il suo momento della verità. In alcune delle canzoni di stasera, in particolare “Solo” e “No End”, il talento è diventato genio e ci sono stati scorci di profondità che pochi altri cantanti ci hanno rivelato”.
Pochi giorni prima, Sandy e Trevor, d’impulso, avevano fissato il loro matrimonio per giovedì 20 settembre 1973. Sandy comprò l’abito in un mercatino delle pulci e Miranda Ward lo tinse di verde. Trevor andò a comprare un anello per poi perderlo, così Miranda gliene prestò uno che le era stato regalato da Ginger Baker. Nel frattempo, Sandy chiamò il suo vecchio spasimante Danny Thompson e gli chiese di improvvisarsi come testimone.
Trevor divenne la zona cuscinetto tra Sandy e il mondo esterno, ma il loro rapporto era sempre più “aperto”. Pur non riconoscendo pubblicamente la tolleranza delle relazioni extraconiugali, chiudevano un occhio, anche se entrambi disapprovavano i tradimenti che si concedevano.
Anche in tournée. Trevor una volta tornò dall’Europa con un’altra donna, mentre Sandy con il resto della band. Avere a che fare con una coppia del genere mise a dura prova la band. Nel bel mezzo di questo tumulto, i Fairport iniziarono a lavorare a un nuovo album. Avevano bisogno di un disco che li tirasse fuori dall’anonimato. Su suggerimento di Chris Blackwell, assunsero Glyn Johns, acclamato produttore dei Rolling Stones. “Rising For The Moon” fu realizzato in due session durante un altro tour americano. Al ritorno, Dave Mattacks lasciò la band. Quando l’LP non fu il successo del quale i Fairport avevano bisogno, la Island li abbandonò. Anche Jerry Donahue decise di lasciare; Trevor e Sandy li seguirono.
Nell’inverno del ‘75/’76 c’era abbastanza materiale per un altro album solista che fu registrato la primavera successiva. Nelle interviste di un anno dopo, Sandy insistette sul fatto che la pausa forzata era stata molto utile.
Quando finalmente, nell’estate del 1977, emerse “Rendezvous” era la solita miscela, con brani eterogenei come “I Wish I Was A Fool For You” (una canzone di Richard Thompson), “One Way Donkey Ride” e “I’m A Dreamer” (una superba performance in una sola track), controbilanciati dalle cover come “Candle In The Wind”.
Fu un periodo particolare, Sandy e Trevor discussero sul trasferirsi in America. Ma il loro bambino arrivò con due mesi di anticipo.
Georgia Rose Lucas alla nascita pesava appena due chili. Per fortuna, il John Radcliffe Hospital della vicina Oxford era un centro rinomato per la cura dei bambini prematuri. Georgia vi rimase per alcune settimane. Ma Sandy non aveva intenzione di rallentare. L’album era uscito e c’erano spettacoli già prenotati. L’energia maniacale di Sandy non si affievolì. Il suo contratto con la Island, che era in scadenza due mesi dopo la nascita di Georgia, non venne mai rinnovato. Nel novembre del 1977, suonò dal vivo in una breve serie di date. Lo show finale, al The Sound Circus del Royalty Theatre di Londra, fu anche registrato. La voce era più greve di prima, ma lo spettacolo era eccellente: rimase il suo ultimo concerto.
Le vendite di “Rendezvous” e del singolo “Candle In The Wind” si rivelarono un disastro.
La stagnazione della carriera, le infedeltà di Trevor e il bere incontrollato misero a dura prova il matrimonio, e i litigi della coppia cominciarono ad aumentare. Fu una spirale crudele.
Trevor sistemò i suoi affari, vendette il suo maggiolino Volkswagen e comprò un biglietto di sola andata per l’Australia. Intendeva tornare dai suoi genitori, per occuparsi di Georgia (che aveva solo nove mesi) mentre si preparava a una nuova vita. Non disse a nessuno del suo piano e della sua destinazione, tranne che al batterista dei Fairport, Bruce Rowland.
La mattina di giovedì 13 aprile 1978 mise Georgia nella sua carrozzina e disse a Sandy che sarebbe andato a trovare sua sorella a Londra. Alle cinque di quella sera, Sandy chiamò Miranda per vedere se si fosse presentato a Barnes, visto che spesso ci andavano insieme quando erano in città. Miranda disse di no, ma le chiese un messaggio di conferma. “Ho la sua cena nel forno”, disse Sandy senza problemi. “Lo vedrò quando lo vedrò”. Verso le nove, il telefono di Miranda squillò di nuovo. Era Trevor da una cabina telefonica. Le disse che stava lasciando Sandy, portando con sé Georgia, ma nulla aggiunse su dove stesse andando. Sandy la chiamò ancora, prima di mezzanotte. Aveva notato che alcuni vestiti di Trevor erano spariti. Miranda le diede la notizia, aggiungendo che sarebbe venuta a prenderla. Sandy la prese sorprendentemente bene, ma la mattina seguente cominciò a lamentare un forte mal di testa. Pensava fosse il frutto di una caduta della settimana precedente, in casa. Non aveva visto il medico, così Miranda prese un appuntamento per lunedì pomeriggio.
Sandy avrebbe dovuto parlargli anche dei suoi problemi con l’alcol. Durante il fine settimana, le due amiche ebbero lunghe conversazioni per parlare del futuro. Miranda cercò di rintracciare Trevor. Sandy non lo avrebbe supplicato di tornare, era irremovibile. La domenica ebbe una prolungata discussione con il fratello. Andò a letto alle prime ore del mattino. Alle sei si svegliò con ancora con quel terribile mal di testa. Andò in camera di Miranda e le chiese un antidolorifico.
Quando Miranda uscì per andare al lavoro, Sandy stava dormendo; così le lasciò un lungo biglietto con i numeri di telefono del lavoro, i contatti per gli amici, se avesse avuto bisogno di parlare con qualcuno; Miranda voleva assicurarsi che tornasse in tempo per l’appuntamento con il dottore. All’una e mezza Steven Walker, un amico che si prendeva cura dei cani di Sandy a Byfield, chiamò a casa e le parlò. Sembrava stare bene. Quel pomeriggio, un giovane musicista londinese di nome Jon Cole lasciò il suo appartamento a Barnes, salì sulla sua Datsun Cherry e partì per Hammersmith dove la sua band, The Movies, stava provando. La sera precedente, Miranda gli aveva dato la chiave di riserva dell’appartamento e gli aveva chiesto di dare un’occhiata a Sandy. Miranda pensò che sarebbe stato bello se qualcuno l’avesse tenuta d’occhio mentre lei era al lavoro. Quando Cole aprì la porta, Sandy era sul pianerottolo, vestita con i suoi jeans a campana e un maglione di mohair rosa. Era distesa su un fianco, con i piedi che toccavano il fondo di una scalinata che girava e scendeva dal piano superiore. Immobile. Jon le controllò il respiro. Era viva. Chiamò un’ambulanza.
Verso le tre del pomeriggio Miranda fu chiamata al lavoro e le fu detto che Sandy era stata trovata svenuta e trasportata al Queen Mary’s Hospital di Roehampton. Era in coma.
La diagnosi fu emorragia cerebrale. La prognosi per niente buona. Prima che la polizia li contattasse, Miranda diede la notizia a Neil e Edna in Cornovaglia e loro vennero a stare da lei. Gli amici di Sandy cominciarono a farle visita, Miranda finalmente ottenne il numero dei genitori di Trevor e lo chiamò, ma ci volle una telefonata dell’ospedale per convincerlo a tornare immediatamente. Lasciò Georgia con i suoi. Il mercoledì Sandy fu trasferita all’ospedale Atkinson Morley, specializzato in lesioni cerebrali, per un’operazione chirurgica. Non fu un successo. Linda Thompson la visitò e rimase scioccata nel vederla avvolta in un foglio di alluminio contro l’ipotermia. Sandy Denny morì la stessa sera, poco prima delle otto.
Il certificato di morte parlava di “trauma cranico”. Il verdetto dell’inchiesta è stato di morte accidentale; molto probabilmente la ferita non curata della sua precedente caduta era improvvisamente esplosa. Miranda Ward ha ricostruito il complesso scenario delle ultime ore di Sandy, ma alla fine è più o meno la stessa cosa: il verdetto del medico legale sembra la spiegazione più plausibile.
Non ci sono state segnalazioni di livelli significativi di droga o alcol nel suo corpo. Fu una fine tragicamente banale per una vita  straordinariamente speciale.
Sandy fu sepolta nel cimitero di Putney Vale, mentre veniva calata nel terreno, risuonava “Flowers Of The Forest”. Trevor Lucas fu lasciato da solo quando tornò a Byfield per svuotare la casa. I Denny’s non riuscirono a perdonarlo per aver abbandonato Sandy. I Fairport erano straziati: avevano amato sia Sandy sia Trevor. Si sciolsero. Dave Swarbrick fu particolarmente colpito dalla morte di Sandy e si esiliò in Scozia per un po’. Miranda ebbe un esaurimento nervoso; alla fine si trasferì nel West Country dove vive e insegna ancora oggi. Trevor Lucas sposò Elizabeth Hurtt, un’ex inquilina di Philippa Clare (la Hurtt aveva avuto una relazione con Swarbrick mentre viveva con Phillipa e Sandy), e si trasferì di nuovo in Australia per crescere Georgia (e suo figlio Clancy, nato alcuni anni dopo). Morì di insufficienza cardiaca nel 1989. David Denny morì in un incidente stradale a Denver, Colorado, nel 1980. Edna Denny morì di crepacuore qualche mese dopo. Nel 1997, Georgia ha dato alla luce due gemelle, Ariel e Jahmira.
Due parole compaiono di continuo in ciò che è stato scritto su Sandy: esitante e insicura. Era una viaggiatrice esitante. Anche se negli anni Settanta girò in tournée in America e in Estremo Oriente sia da sola sia con i Fairport, la sua paura di volare non l’abbandonò mai: un tema frequente nelle canzoni, come in “The Music Weaver”. Era una star esitante. Due volte eletta miglior cantante inglese nei sondaggi dei lettori del Melody Maker, non accettò mai la sua fama. Quando i tassisti la vedevano salire a bordo con la custodia della chitarra in mano e chiedevano il suo nome, “Sandy Denny? Mai sentita nominare” dicevano. Raccontava storie come questa per rimarcare la sua diffidenza nei confronti del successo.
Al Stewart, un amico degli inizi, la raggiunse a uno spettacolo nel 1973 e rimase sorpreso nel trovarla paranoica, schiava di una profonda paura per il palcoscenico, cosa che non aveva mai notato negli anni Sessanta. Le fotografie mostrano un personaggio camaleontico e insicuro. Nascondeva la timidezza dietro tutta questa rabbia. In concerto, alleviava l’intensità della cupa tensione delle sue stesse canzoni con uno strano e comico andamento, discorrendo tra un brano e l’altro, come se non fosse sicura di come la sua determinazione si sarebbe manifestata, anche tra coloro che venivano a sentirla. A corto di fiducia in se stessa, sempre incline ad abbattersi, sembrava, a volte, mancarle quella determinazione d’acciaio, necessaria per portarla fino al punto in cui il suo talento avrebbe potuto arrivare – vale a dire, fino all’immortalità.
È la sua voce che ti sconvolge. Nella sua canzone “Fotheringay”, uno dei primi brani che registrò con i Fairport Convention, le caratteristiche sono già tutte presenti: il fraseggio legato, il controllo del respiro senza forzature, l’assenza del vibrato all’americana. Si sente il suo respiro sul collo. Come un’auto sportiva, sotto il cofano mantiene un’enorme potenza, capace di fornire la massima accelerazione quando serve, ma sempre sotto controllo. In autocontrollo. C’è la rovina e il conforto, articolato in quell’accento inglese del sud, dal quale raramente si affrancherà. Soprattutto, c’è un senso di saggezza secolare, un’esperienza che va oltre la sua età anagrafica; e, come nei canti popolari sui quali si era costruita, l’eredità accumulata di vite mute e ingloriose. Come ha detto Chris While, che nel 2007 ha avuto l’impossibile compito di prendere il posto di Sandy in un’esibizione dal vivo di “Liege & Lief”: “Nessuno aveva mai cantato il blues in una canzone folk prima d’ora. Sandy ci ha mostrato come cantare “canzoni popolari” come se fossero canzoni pop, dando nuova vita alla musica tradizionale”. Quando Robert Plant ebbe bisogno di una cantante in più per il quarto album dei Led Zeppelin, si rivolse a lei. Per molti “The Battle of Evermore” fu la loro più importante esperienza con uno dei tesori più nascosti dell’Inghilterra.

Nella sua musica ci sono escursioni nel rock e nel blues – in particolare “Losing Game” (in un fantastico duetto con Jess Roden), fino a “Easy To Slip” di Lowell George, e “Walking The Floor Over You” di Ernest Tubb e numerose versioni di “Down In The Flood” di Dylan. Fa rivivere il rock’n’roll (“Willie And The Hand Jive”, “Love’s Made A Fool of You”), lo standard jazz (“Until The Real Thing Comes Along”, “Whispering Grass”), si dirige verso il country con “It’ll Take A Long Time” e “Tomorrow Is A Long Time”. L’umore neoclassico di “All Our Days”, inciso per orchestra, si affianca a una precoce incursione nella musica internazionale (un arrangiamento di “Quiet Joys Of Brotherhood” ispirato all’Ensemble of the Bulgarian Republic). Le grandi ballad di energia pura del periodo “Rendezvous” (“Take Me Away”, “No More Sad Refrains”) superano alcune interpretazioni in chiave pop (“I Need You”, “Candle In The Wind”). Ma prima di tutto questo, naturalmente, resta una superlativa interprete del canto popolare. Ascoltate la sua sobrietà in “Banks of the Nile”, mentre evoca la frustrazione della moglie di un militare, destinata a rimanere a casa mentre il suo uomo va a fare il soldato, o in “Blackwaterside”, il racconto di un ragazzo irlandese che inganna una donna in cambio di una promessa di matrimonio. Abbandonando gli arrangiamenti di archi troppo carichi di alcuni album, potremmo preferire la Sandy destrutturata, così come appare nelle sessioni della BBC. Anche se Harry Robinson, che è stato per anni il suo arrangiatore, talvolta aprì la ricchezza armonica e melodica delle canzoni (“The Lady”), è con un piccolo ensemble, o da sola con il piano e la chitarra, che le sue qualità di artista emergono. Una volta le fu chiesto come scrivesse le canzoni, lei rispose: “Penso che si spenga il corpo e si metta al lavoro la mente”. Oltre a “Who Knows Where The Time Goes?” della quale esistono almeno sessanta cover, le sue canzoni non sono state registrate da altri artisti. È un peccato, ma non è una sorpresa totale, perché sono intensamente personali. Nelle sue stesse performance, questi prodotti della mente sono due volte corporali. Lei vive e rivive la canzone – la sua canzone.
Quasi tutte le canzoni scritte da Sandy Denny hanno una struttura a strofe, per esempio “Who Knows Where the Time Goes”, “Late November” e “Full Moon”. Ce ne sono alcune con bridge, per esempio “Autopsy” e “The North Star Grassman”, ma sono eccezioni. Non mi viene in mente una canzone di Sandy Denny che abbia un ritornello. Il problema di arrangiare e produrre le canzoni di Sandy era questo. Non era un grosso ostacolo agli inizi, specialmente quando Sandy era accompagnata da Richard Thompson, ma divenne un problema pià grande in seguito. Come poteva un produttore risolvere il dilemma di rendere una canzone in strofa costantemente accessibile all’ascoltatore? Cambiando l’arrangiamento. “Matty Groves” potrebbe essere considerata la “madre di tutte le canzoni a strofa”; nonostante i diciassette versi cantati, l’arrangiamento cambia, ci sono anche alcuni intermezzi strumentali che ne aumentano la drammaticità mantenendo costante l’interesse dell’ascoltatore. In quello che potrebbe essere considerato il suo album “progressive”, “The North Star Grassman and the Ravens”, ogni canzone ha una gamma diversa di musicisti e strumenti. Sebbene “Late November”, il brano di apertura sia uno scampolo di Fotheringay 2, sia strofico (cinque versi cantati e uno strumentale), ci sono alcune pause e l’arrangiamento porta alternativamente avanti la chitarra solista e il pianoforte (soprattutto all’inizio). Anche “Next Time Around” è strofico, ma ha un ottimo arrangiamento di Robinson con gli archi che passano da una strofa all’altra. “Sandy” è stato il primo a essere prodotto da Trevor Lucas e qualche crepa si inizia a sentire. “It Suits Me Well” usa il cambiamento dei suoni utilizzati dalla chitarra di Richard Thompson e dalla concertina di John Kirkpatrick. “For Nobody to Hear” è uno strano brano, salvato dall’arrangiamento per corno di Alain Toussaint, come con The Band in “Rock of Ages”. “Like an Old Fashioned Waltz” è composto quasi interamente da canzoni strofiche, tappeti di archi arrangiati nel modo più pacato possibile da Robinson, ma la produzione di Trevor Lucas è, a tratti, scialba. “Rising for the Moon” dei Fairport Convention è stato prodotto da Glyn Johns e si sente. La forza strumentale combinata di Sandy, Jerry Donahue e Dave Swarbrick è tutta in “One More Chance”, ma qui c’è il bridge. “After Halloween” ha un assolo di violino nel bel mezzo degli strimpelli di chitarra acustica. “Rendezvous” lavora più del precedente sulla produzione: “Gold Dust” e “All Our Days” non sono certo lo standard per Sandy. In “Full Moon” il testo è eccellente ma gli archi sono generici e anche il pianoforte di Sandy lo è. La prima parola che mi viene in mente per le difficoltà produttive dei dischi di Sandy Denny è “budget”. La seconda è che (Sandy e Trevor) ritenessero che la produzione fosse lo strumento principale per mettere Sandy nella migliore luce possibile. Provenivano da un background musicale in cui “produzione” e “arrangiamento” erano considerati anatemi.  John Wood era un noto fanatico degli archi e Trevor potrebbe non essere stato in grado di resistere alle forze combinate di Wood e Robinson insieme.


Un’artista che canta come Sandy Denny non ha bisogno di essere avventurosa anche nella sua scrittura. Bisogna esserle grati per il coraggio che mostrò nelle sue prime canzoni ed è saggio accettare il fatto che in seguito abbia fatto affidamento a una sorta di vocabolario popolare. In “What We Did On Our Holidays”, “Fotheringay” ha dato prova concreta della mente dietro la voce: “The evening hour is fading/Within the dwindling sun/And in a lonely moment/Those embers will be gone/And the last/Of all the young bird flown”. La voce à legata alla musica senza sforzo. Tutta la forza nella fiamma di una candela sempre accesa. Termini come “dwindling” e “moment” sono scelti per il modo in cui le loro consonanti raggruppate resistono alla tendenza di scorrere senza ostacoli da vocale a vocale. Altrettanto interessante è la sua capacità di usare un contesto letterario  – “And last/Of all the young birds flown” – senza scivolare nell’arcaismo. Questa è grammatica e sintassi moderna; complessa, ma contemporanea. Era il percorso lungo il quale il folk-rock britannico doveva assolutamente avanzare. Qualcosa di paragonabile alla tradizione di scrittura rock di formazione universitaria che in America si era fatta strada con John Sebastian e Randy Newman. Su “Unhalfbricking” registrò finalmente la propria versione di “Who Knows Were The Time Goes”. Una delle più belle canzoni degli anni Sessanta. Una riflessione sulla natura senza tempo delle relazioni, scritta da un’adolescente inglese: “Across the evening sky/All the birds are leaving/But how can they know/It’s time for them to go”. Quei suoni vocalici terminali (mantenuti inalterati nella prima strofa, intensificati e reitirati nella seconda) erano collocati in punti ideali per la sua voce. Altrettanto importanti sono state le consonanti, come in “Sad deserted shore/Your fickle friends are leaving”. E qui, per una volta, la struttura sciolta aveva senso: due strofe sulla partenza degli uccelli, e una terza sulla partenza di una persona cara, senza un collegamento logico tra le prime due e la terza, ma in un’unità emotiva che non aveva bisogno di spiegazioni. La dizione era aperta all’arbitrarietà (Judy Collins cantava “mattina” invece di “sera”) ma in questo caso la neutralità del vocabolario aiutava la canzone a renderla atemporale, svuotandola del contesto. Una canzone superba, ma è difficile dissipare il sospetto che anche questa partitura eccezionale non sarebbe stata tale se la voce di Sandy non ne avesse riempito i vuoti. Nello stesso album, “Autopsy” mostra la capacità di Denny di prendere il controllo del suo talento melodico per il testo e quasi di indebolirlo: “You must philosophise/But why must you bore me to tears?”. Queste sono i primi due versi, e quel “philosophise” è la prima parola che si sente – le precedenti due vengono ingoiate, e una le raccoglie in una ripetizione successiva. La maggior parte della sua attenzione sembra essere rivolta al lungo slancio emblematico con cui pronuncia la lunga “i” in “philosophise”, e in generale i punti linguistici della canzone sono indistinti, soprattutto nella dolorosa forma transizionale “to tears” a “to ears”. “Liege & Lief” è stato dichiaratamente uno sforzo orientato al folclore: testi raccolti con cura dal patrimonio inglese. Ha continuato a tentare di interpolare un linguaggio popolare contemporaneo composto principalmente da arcaismi ma non è sempre stata in grado né di estendere le risorse del canto moderno, né di arricchire il patrimonio di quello antico. Su “Fotheringay” ha iniziato a scrivere da sola, e la scrittura ha iniziato un suo processo distruttivo nel trasformarsi, a volte, in un mero pretesto per esercitare i suoni. “The Sea” e “Winter Winds” sono due delle sue melodie più belle, tuttavia, ascoltabili anche quando si è abbandonato ogni tentativo di trovare la sostanza del testo. “Don’t you know I am a joker/A deceiver?”  canta in “The Sea”. In “Winter Winds” i trucchi della sintassi sono ben consolidati. “Winter winds, they do blow cold/The time of year, it is chosen”. “He who sleeps, he does not see/The coming of the seasons/Fulfilling of a dream/Without a time to reason”,  la struttura della canzone non si preoccupa di chiarirsi lungo tutta la sua lunghezza, e d’altra parte, non poteva essere definita complessa: era una lirica nuda e spudorata. Diventava anche evidente la sua dipendenza da una gamma molto ristretta di soggetti di scena. Capitani di mare, uccelli, lidi solitari: questo era il suo contributo a un repertorio popolare già pieno di streghe, fabbri e borbottii. Separarsi dalla vita contemporanea non è una garanzia per raggiungere l’atemporalità.
“The North Star Grassman and the Ravens” era, come detto, un album solista in senso stretto, con il nome e l’immagine di Sandy Denny a dominare la copertina. La Witchseason Productions aveva lasciato il posto alla Warlock Music. Le liriche sono familiari fino alla monotonia e, talvolta, i manierismi linguistici fuori controllo. “The wine, it all was drunk/The ship, it was sunk” canta in “Late November” e in “The Sea Captain” la sentiamo dichiarare:  “From the shore I did fly/…the wind, it did gently blow/For the night, it was warn”.  In “Next Time Around” dimostra in modo convincente che una forma in strofe non può essere sempre sostenuta dal canto più scrupoloso, se le immagini non sono diverse. E il suo immaginario – nella title track, per esempio – è quasi fin troppo prevedibile. Uccelli e mare compaiono in ogni canzone.
In “John The Gun”, c’è un ritorno al suo stile iniziale. “… so I will teach your sons/And if they should die before the evening/Of their span of days/Why then they will die young”. “Span of days” è davvero un linguaggio senza tempo, proprio quel tipo di verso ordinario/straordinario che avrebbe sempre dovuto usare. Il beneficio del dubbio deve essere dato a “Sandy” in cui si sta chiaramente riposando sugli allori. “It’ll Take A Long Time” ha il suo completo orpello di marinai, tempeste e mare, con un coro che deve tutto a Crosby, Stills e Nash. “There is no need for rules/There’s no-one to score the game” canta – in un’idea di profondità presente anche in alcuni versi di “The Lady”: “The lady she had a silver tongue/For to sing she said/And maybe that’s said”.
Ma le conclusioni a cui preferisco arrivare sono diverse. Sandy Denny è più di una semplice cantante. In un senso più interessante di quello di coeve come Carole King o Carly Simon, è una cantautrice – il suo dono per il linguaggio è inconfondibile. Che un dono così marcato potesse diventare un merito mi sembra il problema fondamentale. Sandy Denny è un mondo a sé, un’acquisizione, una delle cose innegabilmente buone che sono successe nella musica britannica. In un trionfo di continuità molto inglese, il pop è stato unito al passato. Ma Sandy Denny avrebbe potuto fare di più, prendendo tutte le risorse del contemporaneo e trasformandole in canzone pop.
È difficile immaginare che un’artista oggi possa avere una carriera come la sua. La scena folk del nuovo millennio, per quanto vivace e in espansione, rimane in gran parte ghettizzata in termini commerciali. Per trovare gli album di Sandy nel vostro negozio di dischi dovreste cercare “Folk” al primo piano o in un seminterrato, nascosto da qualche parte tra World, Jazz, Blues, Easy Listening. Negli anni Sessanta e Settanta l’eclettica squadra che Chris Blackwell aveva creato per la Island Records era la casa perfetta per una mutevole come Sandy. Lì si confrontò con i Free, i Mott the Hoople, i King Crimson, gli anticonformisti Roxy Music e Nick Drake. Queste erano le condizioni per un “crossover” quasi inimmaginabile oggi.
Ma non c’è mai stato un momento migliore per avere una carriera postuma. Se oggi vai a caccia di Sandy Denny, una volta che il sapore di questa preda è arrivato nelle tue narici, sei a pochi clic di mouse dal trovarla – informazioni biografiche, musica, foto, video. E sei solo a un’e-mail di distanza da tante altre persone che condividono il tuo nuovo interesse. Sandy Denny è rinata nel cyberspazio. E non solo nel cyberspazio. Basta guardare le recensioni della stampa musicale per vedere il suo nome costantemente invocato come punto di riferimento per le artiste emergenti. Il progetto di musiciste come Laura Marling, Beth Orton, The Unthanks, Jane Weaver, Cate Le Bon è stato quello di fondere la musica folk con il cantautorato, e consegnare i risultati con la propria voce e un timbro britannico. Una, forse due, generazioni prima, Sandy stava già battendo quella strada.
Tutto era spettacolare nella voce chiara e uniforme di Sandy Denny; è stata la passione che ha messo nel suo canto che è rimasta con l’ascoltatore: non si è mai allontanata dall’emozione. Che il suo tono fosse delicato, come con “Fotheringay”, o furioso, come con “Tam Lin”, ha sempre mantenuto la sua forma. Quello che si sentiva era una sorta di stupore per la contingenza della vita umana e la bellezza del mondo, una certa riverenza per il passato, e una costante determinazione a prendere il suo posto nella lunga storia che raccontava: se Joan Baez trasformava “Matty Groves”, nella storia di una rivalità mortale tra un contadino e un signore, in una protesta contro la disuguaglianza sociale, Denny la cantava come un duello con se stessa. È tutto lì.

Riccardo Magagna

"Credo in internet, diffido dello smartphone e della nuova destra, sono per la rivalutazione del romanticismo e dei baci appassionati e ho una grande paura dell'information overload"