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Auguri, secondo Lucio in due giorni

Una volta, prima che Wikipedia, o chi per lei, rendesse tutto a portata di clic, cominciavo le mie giornate del 5 marzo scrivendo: “Eravamo io, Flaiano, Pasolini e Lucio Battisti” sulla lavagna, tanto perché i compagni di scuola si sentissero un po’ in soggezione. Naturalmente, non lo notava nessuno e la/il prof di turno, con sguardo distratto, cancellava la scritta al pari di quelle degli altri giorni, solitamente composte da slanci amorosi di qualche compagna nei confronti di qualche bellone motorizzato che le avrebbe attese davanti a scuola.
Di Flaiano e Pasolini, naturalmente, avevo letto solo qualche frase qua e là, ma sapevo che erano importanti, mentre del “secondo Lucio nazionale in due giorni” ero davvero un fan sfegatato, sin da quel giorno in cui mi entrò in casa “Io Tu Noi Tutti“. Già l’attacco di Amarsi Un Po’ era un gancio notevole per chi già sentiva, anche se all’epoca inconsapevolmente, un certo penchant per la musica soul. Era praticamente il primo album di Battisti che ascoltavo, benché conoscessi a memoria molti suoi singoli che in quegli anni erano in heavy rotation su ogni emittente.
Ho detto che l’album mi era entrato in casa perché accadde davvero così: piccola festicciola (ma nel 1977 era impossibile che ve ne fossero di grandi, perlomeno nel nostro entourage) e amico della scala a fianco che se ne arriva con un disco sottobraccio, freschissimo di stampa, e manifestando un certo disappunto alla scoperta che in casa non avevamo ancora un impianto stereofonico, bensì una fonovaligia Lesa Gutex azzurra già piuttosto vecchiotta. Avrà pensato “era meglio se gli compravo un’altra squadra del Subbuteo“, l’incauto amico, ignorando quanto sarebbe stato comunque gradito il regalo, ma sicuramente non un’epifania di simili proporzioni.Lesa Gutex
Perché quello fu, quell’album: mai mi ero avvicinato prima all’acquisto di album di musica italiana. Non che ne avessi molti di altri, eh? Ma diciamo che gli artisti esotici mi parevano più à la page, dato che impedivano ai miei di comprendere i testi e avevano un suono più aggressivo: la mia piccola ribellione era tutta lì. Ma quel disco era intrigante, gli arrangiamenti irresistibili, la voce meno canonica (per come poteva esserlo quella di Lucio) che in passato, i testi affascinanti: sembrava un album straniero, insomma.
Passarono pochi giorni e andai dal parrucchiere. Lui era il parrucchiere di tutti i ragazzi dell’isolato, nonché di tutti i padri dell’isolato. Le solite rivistine da barbiere nessuno osava sfogliarle, quindi giacevano in un angolo del retro cui accedevano solo i coraggiosi forestieri da altre zone (“ou, tipo: sei della zzzona? Conosci qualcuno?”, queste le simpatiche accoglienze delle bande di quartiere che avevano sempre qualcuno a controllare gli accessi: se avevo un amico, dovevo dire il nome giusto, ovvero il nomignolo col quale era conosciuto. Erano tempi così).
Ero in coda, prima di me altri tre o quattro giovinastri più grandi che si erano già accaparrati i Diabolik, Tex e Intrepido (e mannaggia, l’altra volta avevo lasciato a metà la storia di Billy Bis e speravo di finirla). Hli sguardi sornioni dei bulletti spiavano i miei movimenti sul tavolino, mentre scartabellavo tra i Topolini, pronti a percularmi. Niente, non rimaneva che il numero della settimana precedente di Tv Sorrisi e Canzoni. Solito ciarpame, un sacco di Pooh et similia, disco music emergente e… CRIBBIO! Facevano gli auguri a Lucio Battisti che compiva gli anni il 5 marzo, proprio come me! Fu il definitivo abbandono all’onda che mi smuoveva da dentro, verso quelle canzoni così dolci, amare, ironiche che a 14 anni non capivo bene bene, ma che mi entravano in testa in quel momento per non uscirne mai più.
Forse avrà pure fatto dischi migliori, il nostro Battisti, ma non toglietemi “Io Tu Noi Tutti”: quello è mio.

Buon compleanno a noi, Lucio. Ora datemi una lavagna.

Massimo Perolini

Appassionato di musica, libri, cinema e Toro. Ex conduttore radiofonico per varie emittenti torinesi e manager di alcune band locali. Il suo motto l'ha preso da David Bowie: "I am the dj, I am what I play".