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Bee Girl – Richard ‘Shannon’ Hoon

“I know we can’t all stay here forever. So I want to write my words on the face of today and they’ll paint it”.
Non sempre la premessa di una morte improvvisa e sconcertante è una vita ‘tormentata e difficile’. Per alcuni è solo il risultato di un contrasto tutto interno, fatto di fragilità di spirito, di cattivi maestri, di chine estremamente ripide e dure… e di troppo, troppo cuore. Gli anni 90 non furono “solo” grunge (sempre che si possa utilizzare l’avverbio ‘solo’ per definire un ambito musicale che influenzò così tanto il seguente ventennio musicale). blind melon
Parallelamente e, a volte, complementariamente, si svilupparono generi e sottogeneri diversi che resero il panorama rock contemporaneo probabilmente l’ultimo così fervente e ricco di spunti, idee, emozioni e novità, fino ai giorni nostri. Ce n’era per tutti i gusti: dal Brit pop, al new punk, all’alternative, alla musica trip hop e elettro rock. Insomma, se eri un post-adolescente inquieto dalle orecchie assetate di caldo rock, non c’era che l’imbarazzo della scelta. Non serviva altro che dotarsi di una tessera di affiliazione ad uno di quei negozi che affittavano cd a prezzi modici, comprare qualche cassetta TDK SA- Super Avilyinm rigorosamente da 90 minuti, registrarci sopra ogni nuovo album capitasse a tiro, e poi far scorrere in cuffia tutto quella ambrosia drogante a buon mercato. Fu uno di quei giorni, nell’ormai lontano tardo 1992, che vidi sugli scaffali del mio negozio\pusher musicale di fiducia, un album dalla copertina particolare: sul verso del cd era raffigurata una ragazzina grassoccia e con gli occhiali, travestita da ape: una Bee girl. Una di quelle figure un po’ tragicomiche stile Little Miss Sunshine, che da un momento all’altro ti aspetti salterà fuori dalla plastica della copertina, per iniziare a danzare come una perfetta apetta dal viso imbronciato e dalle ali stropicciate. Avevo già sentito parlare dei Blind Melon, ovviamente: il loro singolo “No rain” passava già da qualche settimana in radio, frutto dell’ottimo lavoro del produttore Rick Parashar, che guardacaso aveva appena portato al successo una piccola band nata dalle ceneri dei Mother Love Bones: i Pearl Jam.

Era un album energico, denso di svariate influenze che andavano dal Blues di Muddy Waters all’acid rock dei Grateful Dead, dal classic rock di beatlesiana memoria alla folk music di Bob Dylan. Ma era anche un album intimo, con testi personalissimi, con la capacità di raccontare una storia e la voglia di farla diventare anche un po’ la tua storia. Inutile dire che fu facile, molto facile innamorarsene. Tutti i componenti dei Blind Melon erano capaci e talentuosi, se ne percepivano i virtuosismi e l’ottima reciproca amalgama già dal primo ascolto.
Ma, ovviamente, tra di loro spiccava quel ragazzone rossiccio, voce arrochita da bourbon e sigarette, che urlava quel tanto che bastava per farti capire che in lui trovava assolutamente spazio quel fuoco di qualcosa che, di riffa o di raffa, doveva venir fuori. A tutti i costi. Un ragazzo che diresti come tanti: famiglia medio borghese, cresciuto a sport e studio, con una madre presente e amorevole che, per prima, lo spinse a credere in sé stesso e a quel fuoco musicale che si portava dentro, subito dopo avergli sentito cantare sul portico di casa una versione primitiva di “Change”. Un ragazzo partito a soli 18 anni da Lafayette, come il suo concittadino William Bruce “Axl” Rose jr, e che portandosi addosso come lui il nome del padre, si faceva chiamare col suo secondo nome “Shannon” per distinguersene; un ragazzo che approda a Los Angeles, capitale del cinema e della musica, laddove incontra i musicisti Brad Smith e Rogers Stevens, a cui fa ascoltare una versione acustica di Change” – la stessa canzone che aveva fatto dire a sua madre “vai e cerca di volare verso il tuo sogno” – che lo aiuterà a convincerli di sostenerlo nel suo volo verso il successo. Un ragazzo che lo stesso Axl Rose vorrà come backing vocals in alcuni pezzi di “Use you illusion I e II” e che inviterà, insieme alla sua “famiglia musicale” dei Blind Melon, come gruppo spalla ai concerti, dopo essergli diventato amico. blind melon
Sembra la storia della “Bee Girl” del video ‘No rain’, una moderna favola metropolitana in cui una ragazzina vestita da ape viene derisa dal pubblico per cui balla, quindi fugge disperata e scappa fino a trovare un luogo per sé, dove incontra un’intera folla di gente vestita come lei, che apprezza la sua danza e le dà il benvenuto nella nuova famiglia. Dopo l’omonimo disco ‘Blind Melon’, Shannon riuscirà a scrivere ancora un secondo bellissimo album, “Soup”, nel 1995, poco prima che la stupenda favola metropolitana della Bee Girl si tramuti, improvvisamente, nel mito del labirinto di Dedalo, e dello sventurato Icaro: colui che volle avvicinarsi troppo al sole, e che cadde nel tentativo di raggiungerlo. Nel 2005, i Pearl Jam scrissero una canzone su quella ragazza col costume da ape. No, non quella del video di No Rain: quella che cantava con la voce arrochita da troppo bourbon, troppe sigarette, e morta per overdose da cocaina proprio mentre stava volando. L’unica vera Bee Girl: Richard Shannon Hoon.

“Bee girl
you’re gonna die
you don’t wanna be famous
you wanna be shy
do your dances
alone in your room
becoming a star
will become your doom
bee girl, be a girl
bee girl, be a girl”

 

Stefano Carsen

"Sentimentalmente legato al rock, nasco musicalmente e morirò solo dopo parecchi "encore". Dal prog rock all'alternative via grunge, ogni sfumatura è la mia".