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PER MANO – La Crus, ritorno a Milano.

Santeria Toscana, Milano 10-5-2024
Testo di Ettore Craca, Fotografie di Roberto Remondino

Mi chiedo, mentre a pochi metri dal palco della Santeria Toscana attendo in brillante e composita compagnia l’inizio del concerto, quanti degli astanti che intorno a me riempiono lo spazio del teatro,  sold out da varie settimane, si ritrovarono in mano il numero di febbraio del 1995 di Rumore, quello che vedeva in copertina, fianco a fianco i quattro componenti dei Massimo Volume e i quattro dei La Crus dietro il titolo: Italian Style ’95 rock d’autore. I primi presentavano il loro secondo album, l’esordio su major “Lungo i Bordi”, i secondi erano al debutto ufficiale, un debutto di cui da tempo si parlava dopo un primo assaggio uscito su un sampler della meritevole ma già defunta etichetta Vox Pop. 

I La Crus di Mauro Ermanno Giovanardi, in arte Joe, ex leader dei Carnival of Fools, e di Cesare Malfatti ex Weimar Gesang, Afterhours nonchè figura di riferimento della Milano rock carbonara degli eighties, nascevano come progetto in italiano in un momento in cui finalmente la nuova musica del belpaese si smarcava dalla completa sudditanza anglosassone. L’esordio omonimo usciva qualche mese dopo il celeberrimo “Dummy” dei Portishead cogliendone l’innovativo portato ed applicandone il peculiare tessuto sonoro ad un apparato testuale, curato da Mauro in collaborazione con Alex Cremonesi, e vocale indubitabilmente definibile come canzone d’autore. 

Il disco pubblicato dalla Mescal, pur prodotto con limitati mezzi,  grazie ad un suono molto efficace ed attuale venne premiato con il Premio Ciampi e la Targa Tenco e ricevette un’attenzione tale da convincere la WEA ad investire adeguatamente nella seconda prova “Dentro Me” al punto da permettere alla band di utilizzare un’orchestra per alcuni brani. Il risultato ? Un riscontro di critica e pubblico ancora maggiore suggellato da un tour nei club molto partecipato. 

Il seguito “Dietro la curva del cuore” nel 1999 si apriva ad atmosfere più ariose e in qualche modo pop pur mantenendo un’inconfondibile classe nella scrittura e negli arrangiamenti nonché un immediata riconoscibilità  dovuta alla personalissima voce di Giovanardi. Ancora un paio di dischi di inediti, alternati con album di remix, di cover, e live completarono la prima parte di carriera dei La Crus che nel 2008 chiusero la loro vicenda con un concerto d’addio al Teatro degli Arcimboldi della loro Milano, 

Ma questo era ieri. 

Oggi siamo qui davanti al loro palco e , tornando al quesito iniziale, credo stasera non siamo pochi a ricordare quella copertina di Rumore. La platea è gremita di volti che tradiscono per lo più i tratti di “over 50”,  ex ragazzi che in quel 1995 di primavere ne avevano viste solo una ventina, magari abbondante. 

E l’attesa per questa rentree’ sofferta e più volte rimandata, è palpabile già nel corso del set di Lele Battista che da solo intrattiene adeguatamente un pubblico in attesa da più’ di tre lustri di potersi ritrovare faccia a faccia con l’ensemble milanese. 

Il suono dei tuoni che d’improvviso esce dagli speakers progressivamente abbassa il tono del cicaleccio introducendo l’ingresso dei cinque musicisti sul palco accolto da un’immediata ovazione, come un abbraccio stretto, sentito, formidabile tra amici che si ritrovano, increduli, e si riconoscono dopo anni di separazione. 

Che non sarà una serata come un’altra è immediatamente evidente dal calore degli applausi e delle urla che sottolineano l’introduzione e la conclusione di  ogni brano della scaletta, equilibrata nel raccontare i vari passi del corpo artistico del gruppo a fianco dei nuovi brani raccolti in “Proteggimi da cio’ che voglio” il disco del ritorno pubblicato poco più di un mese fa. 

Cosi’ “La Pioggia”, “Mentimi” e “Shitstorm” preparano in sequenza il terreno per l’arrivo, sorprendentemente presto rispetto alle attese, del brano spartiacque, quello che sceglieresti dovessi spiegare in soli tre minuti cosa sono i La Crus.
Come ogni Volta” parte in sordina, un intro calibrata subito riconosciuta dai cinquecento presenti che le riservano la celebrazione che merita cantandone il refrain a pieni polmoni in una comunione con i musicisti sul palco quasi commovente. Segue l’avvolgente spirale di “Nera Signora” che nell’album d’esordio spiccava per forza emozionale grazie ad un testo oscuro ed indimenticabile, e così, come sommersi da un onda ci lasciamo andare, completamente dentro un ipnotico trip senza tempo. 

Il ritmo si alza con “Mangia, dormi, lavora, ripeti” il nuovo singolo che riprende quasi trent’anni dopo il tema di “Correre”: la battaglia quotidiana per la sopravvivenza fisica dell’individuo come minaccia a quella psichica e spirituale. 

E’ il momento di celebrare “Dietro la curva del cuore” il terzo album che segnò un’ apertura ad un pop di più ampio respiro, con soluzioni molto raffinate ma a tratti più leggere ed in grado di essere accolte da un pubblico più ampio.
Natale a Milano” e “L’uomo che non hai” fanno scendere qualche lacrima a chi mi accompagna, ma anche altrove nella sala di certo varie curve del cuore pulsano all’unisono. 

Le nuove “Discronia” e “La rivoluzione” mettono in evidenza l’interplay efficacissimo tra la voce profondissima di Mauro Ermanno e quella chiara ed aperta di Chiara Castello impegnata anche alle tastiere, mentre il resto della band, Leziero Rescigno alla batteria e Marco Carusino al basso, è ammirevole nel senso della misura delle soluzioni ritmiche scelte che forniscono una struttura mai banale ai brani. 

Giunge il momento però di lasciare sul palco solo le due colonne portanti, Cesare e Mauro, per una “Dentro Me” il cui struggente intimismo, sottolineato dal  silenzio totale della platea, emerge con forza specie negli inserti della tromba del maestro Paolo Milanesi, altro compagno di lungo corso della coppia. Difficile a questo punto non sentirsi profondamente grati per un tale livello di intensa bellezza dispensata a piene mani. 

Come una nube” pianta nella scaletta anche il vessillo del quarto album “Ogni cosa che vedo”, giusto prima che venga introdotta l’altra “prima inter pares”, quella “Io Confesso” che nobilitò  il festival di Sanremo di qualche lustro addietro e che stasera, quando parte il refrain “…e chiamerai il mio nome…”,  pare in grado di smuovere le montagne richiamando voci da ogni angolo della sala. 

La band è visibilmente emozionata da questo livello di partecipazione, alleggerisce quindi l’atmosfera con la title track del nuovo album, prima di regalare un’altra chicca alla serata. 

Per la prima volta nella storia della band il terzo La Crus Alex Cremonesi, autore di parte dei testi del gruppo sempre rimasto dietro le quinte, appare sul palco con un microfono in mano, Mauro gli lascia il centro dello stage e tocca quindi a lui , visibilmente emozionato nell’affrontare qualcosa che non fa parte evidentemente del suo DNA,  affrontare “Io non ho inventato la felicità”. E’ un momento in cui pare che tutto il pubblico si stringa a questa voce, che pure incerta, appare perfettamente in grado di veicolare efficacemente il senso di “assenza” illustrato nel testo del brano.

La band si congeda una prima volta per tornare, richiamata a gran voce, a proporre una incantevole, struggente, versione di “Stringimi Ancora”, prima di lanciarsi nell’attesa cover di “Il Vino” di Piero Ciampi, il cui coro liberatorio riempie a lungo la sala anche dopo il secondo saluto dei musicisti. 

Ma non è finita, non ancora. Salgono sul palco un’ultima volta  soltanto i due fondatori. La chitarra di Cesare arpeggia, Mauro si lancia con dolcezza in uno dei momenti più sereni ed intensi della carriera di Giorgio Gaber.
Il testo di “L’illogica allegria” viene cantato a mezza voce anche dal pubblico, in un’atmosfera leggiadramente sospesa. 

I cuori, dietro la curva, palpitano forte, in un momento  di comunione perfetto nell’evocare un’emozione che ognuno di noi almeno una volta nella vita è riuscito a cogliere, fuggente come le cose più preziose.

 “E sto bene
Io sto bene come uno quando sogna
Non lo so se mi conviene
Ma sto bene, che vergogna

Io sto bene
Proprio ora, proprio qui
Non è mica colpa mia
Se mi capita così

È come un’illogica allegria
Di cui non so il motivo
Non so che cosa sia
È come se improvvisamente
Mi fossi preso il diritto
Di vivere il presente”

E’ il tempo dei saluti, sul palco i sorrisi emozionati tra un inchino e l’altro parlano chiaramente della gioia dei musicisti. La partecipazione del pubblico è un caldo e grato arrivederci.

Siamo stati bene… La Crus.
Grazie per questi trent’anni di bellezza, solo tornandone in possesso ci siamo resi conto di quanto ci è mancata.
Grazie per questa serata di maggio, la ricorderemo a lungo. 

“Ho avuto dalla mia
la felicità
e stanche carezze
che mi han tagliato in due metà
ma questa strada ci salverà
un’altra volta ancora
tu prendimi per mano
e portami con te”

(Per mano)

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La Crus - Milano 10/05/2024
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Ettore Craca

"Nel suono, nella pagina, nel viaggio, nell'amore io sono. In ogni altro luogo e tempo non sono".