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Memento mori e Carpe diem: live catartico degli Interpol alle OGR per la prima del Sonic Park 2023

Qualche tempo fa – nell’ambito della attività di lavoro che svolgo all’interno del comparto della formazione aziendale – ho partecipato ad un convegno nel quale, tra esperti di risorse umane (che, normalmente, sono professionisti con un bagaglio di conoscenze appartenenti all’ambito della psicologia, ndr) erano previsti interventi di studiosi che, per mestiere e inclinazione, esplorano quotidianamente l’animo umano nel suo approccio a tutte quelle situazioni potenzialmente traumatiche e dolorose, che comunemente possono essere tipologizzare essendo – le situazioni in sé come anche l’approccio e il tentativo di superamento di coloro che le patiscono – catalogabili macroscopicamente a seconda di come venga vissuta dalle persone.

Ad ogni modo, tra il numero degli esperti mi aveva parecchio colpito l’intervento di una psicologa che aveva lavorato parecchio nel mondo clinico, e che oramai si occupa di ‘traumi’ legati agli eventi che possono avvenire in ambito lavorativo: in questo caso, la psicologa sosteneva che ogni persona che si siede davanti a uno counselor\psicologo è, in un certo senso, costituito da tre entità differenti. Alla persona fisica, con i suoi ‘dolori’ e i suoi bisogni, si affianca una persona emotiva, dominata dalle sue paure, dalle emozioni e dai sentimenti e una persona mentale, con le sue idee, le sue ideologie religiose e politiche, le sue convinzioni. Pertanto il professionista – che sia esso un medico o uno psicologo\counselor – se vuole curare il paziente integralmente, deve, quindi, tener conto di questi tre centri di consapevolezza che convivono all’interno di ognuno di noi, sani o malati che siamo.

La psicologa poi, a sorpresa, aggiunse che c’è anche una quarta entità dentro ogni persona rappresentata da un quarto individuo seduto dietro gli altri tre: la sua “essenza”. Essa, concluse, rappresenta il nostro scopo più intimo e profondo, la nostra vera ragione di vita: ciò che guida e sostiene le nostre esistenze, nelle scelte ma anche nell’approccio a tutte le cose. E’ con questa consapevolezza che, negli ultimi anni, guardo alla musica rock: elemento che – manco a dirlo – rappresenta una ragione di vita, un conforto  (anzi, IL conforto per antonomasia) e un postulato di base con cui tentare di risolvere i problemi del vivere quotidiano mio, e – ne sono certo – di molti di voi.
Con questa stessa consapevolezza, anche nella serata di ieri ho approcciato il concerto degli Interpol, alle OGR Torino, la prima grande data del Sonic Park 2023.
Serata che si è aperta regalandoci il gradito e detonante ritorno dei Petrol, formazione italiana nata dalla musica e dalle idee graffianti di Dan Solo – ex bassista dei Marlene Kuntz –  e di Franz Goria, voce tonante dei Fluxus: un set durato troppo poco, stando anche a vedere l’accoglienza giustamente tributatogli dal pubblico già presente in sala, ma che speriamo sia solamente il prologo ad una nuova fase creativa del gruppo, e soprattutto ‘attiva’ sui palchi italiani.


PETROL Photo-Gallery:

Petrol @ OGR Torino 26/06/2023
Author: Roberto Remondino
Copyright: weloveradiorock.com

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Un’ora e mezza invece – quella che ci hanno successivamente donata gli Interpol  di tormento sottile e delicatissimo e, insieme, di confronto e conforto, in un tutto armonico fatto di racconti musicati e di viaggi immaginativi costruiti su di una musica melancolica e ‘dark’. Anni fa, in merito alla musica dei teutonici Einstürzende Neubauten, il produttore cinematografico tedesco Klaus Maeck ebbe a definirla come “un viaggio durante il quale si sente il metallo urlare, la chitarra stridere, la poesia martellare”: una musica, cioè, che si “ascolta con dolore”, ma di quei dolori che sono anche un po’ catarsi e rinascita. Ebbene, anche di rinascita si può parlare ascoltando la musica dei tre musicisti di New York capitanati – anche nel loro live di ieri – dalla voce e dalle corde di Paul Banks.

Diciannove canzoni che hanno ripercorso – in un viaggio in continuum spazio-temporale di andata e ritorno – i sei album più uno (stranamente nessun brano della setlist è stato ripreso dal loro album eponimo “Interpol” del 2010, ndr) della produzione meravigliosa carriera del trio Banks, Kessler e Fogarino: partiti con una terna di canzoni stabilmente in cima a tutte le loro recenti setlist (Toni, la magnifica Obstacle 1 e la sempre presente If You Really Love Nothing, unica estratta dal loro penultimo LP Marauder), gli Interpol sono riusciti a catalizzare l’atmosfera della sala Fucine delle Officine Grandi Riparazioni – ma come ieri luminosa e cupa al medesimo tempo) dando a tutte le ‘essenze umane’ convenute una ragione un sostegno in più per i loro rispettivi bisogni primari.

E d’altra parte, gli Interpol sono maestri nell’arte di creare tensione e lasciare l’ascoltatore in sospeso; le loro canzoni si costruiscono gradualmente, come una spirale ascendente che si avvolge intorno alla mente, fino a esplodere in un climax catartico. È come un’esperienza quasi religiosa, in cui l’oscurità diventa una forma di trasfigurazione, un viaggio emozionale in cui si mescolano il dolore, la malinconia e l’euforia. La voce profonda e misteriosa di Paul Banks si infila tra i solchi delle trame sonore intricate, immergendo l’ascoltatore in un vortice di emozioni. E mentre  Banks  sussurra parole taglienti all’orecchio dell’anima –  alla medesima maniera con la quale un narratore notturno svelerebbe i segreti più oscuri – la sezione ritmica di Interpol, guidata dal batterista Sam Fogarino, crea un ritmo incessante che si muove con una precisione chirurgica. È come il battito d’un cuore inquieto che accompagna le melodie ipnotiche della chitarra di Daniel Kessler, capace di trasmettere una gamma di emozioni che vanno dall’angoscia alla liberazione.

Melodie che arrivavano finalmente nitide, chiaramente amplificate e soprattutto taglienti alle orecchie e alle anime dei fan (e chi ha partecipato al loro concerto di sabato scorso agli I-Days sa certamente molto bene cosa intendo, ndr) in un set che, come di consueto, chiudeva il viaggio catartico sulle note di Not even Jail e sulle parole di Slow Hands (loro primo successo internazionale): chiusura egregia, sintesi dicotomica di una serata perfettamente pacificante, a mezzo tra tutti quei ‘cuori e quelle anime desolate’ (Can’t you see what you’ve done to my heart \  And soul? \ This is a wasteland now ) e una sala affollata e sold out. Tornando ognuno alla propria vita, immersa nell’arsura della serata torinese di questa giovane estate – al termine di una serata di musica quale ragione e misura di una vita quotidiana senza troppi fronzoli – il paragone con certa poesia non è stato poi molto complicato: perché anche in quella, essere misura e catarsi di ciò che umanamente ci accade, è aspetto affatto secondario. E allora, a completamento di tutto, qui come ieri sera ci stanno bene le parole di Eugenio Montale:

“Spesso il male di vivere ho incontrato:
era il rivo strozzato che gorgoglia,
era l’incartocciarsi della foglia
riarsa, era il cavallo stramazzato.
Bene non seppi, fuori del prodigio
che schiude la divina Indifferenza:
era la statua nella sonnolenza
del meriggio, e la nuvola, e il falco alto levato.”

Quella “divina indifferenza” che appartiene alla nostra vera essenza – la quarta entità che si annida nella nostra persona, e che le lega tutte – si rispecchia e si scorge bene nell’essenza di una musica (e, in questo caso, anche di una poesia) che è al tempo stesso dannazione e salvezza. Un memento mori che, in un attimo, si fa anche carpe diem. 

Sonic Park si trasferisce nella sua naturale location di Stupinigi, la prossima data vedrà sul palco una leggenda del pop soul britannico, i Simply Red, il prossimo 4 luglio.

INTERPOL Photo-Gallery:

Interpol @ OGR Torino 26/06/2023
Author: Roberto Remondino
www.weloveradiorock.com
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Stefano Carsen

"Sentimentalmente legato al rock, nasco musicalmente e morirò solo dopo parecchi "encore". Dal prog rock all'alternative via grunge, ogni sfumatura è la mia".