Live Reports

Scagliati negli anni ’90. I Come allo sPAZIO211


Non potevamo chiedere di meglio, noi impenitenti amanti dell’Alt-Rock torinesi – per chiudere la stagione dei concerti al chiuso dello Spazio211 – che poterci far sconquassare i padiglioni auricolari dai Come, autentica band culto del panorama statunitense che, formatasi a Boston all’inizio degli anni ’90, ha intrecciato il proprio destino musicale con tutti i più grandi gruppi e artisti contemporanei, prima di declinare le singole carriere dei suoi componenti in progetti solisti, o ricalibrarle all’interno di band dal pedigree certamente meno brillante.
Parliamo di gente che ha calcato il palco e supportato i tour di autentici mostri sacri quali Sonic Youth, Nirvana, Sugar e Dinosaur Jr.


In una notte in cui anche il più distratto dei tifosi calciofili è rimasto fino a tardi ad accalcare gli angusti spazi di fronte ai pollici televisivi di schermi e maxi schermi cittadini, il magnifco quartetto elettrico composto da Thalia Zedek, Chris Brokaw, Sean O’Brien e Arthur Johnson ha spazzolato ogni polveroso millimetro quadrato dei timpani di tutti i convenuti al banchetto musicale con una setlist di dodici brani calibrati al ‘fulmicotone’.
Un concerto senza fronzoli, in puro stile post-punk, ma che ha attraversato la linea musicale che va dal loro primo lavoro, 11:11 – da cui hanno estratto il primo brano Dead Molly quale apertura, e le cupe liriche di Sad Eyes – passando per i brani Let’s get lost e String, contenuti in Don’t Ask, Don’t Tell (l’album del ‘94 che li fece consacrare dalla critica, e che venne definito come “l’album più freddo che abbiate mai ascoltato”)  in un continuo andirivieni e un carismatico ‘dentro e fuori’ la propria musica, pescando a piene mani tra le sferzate sonore di Near-Life Experience, e dell’ultima fatica (prima che i 4 decidessero di prendersi una lunghissma pausa dalla band, facendo viaggiare le proprie onde soniche su strade divergenti) Gently, Down the Stream.
In una presenza scenica essenzale, mai sorniona, il cui carisma percola esclusivamente dalle distorsioni delle chitarre e dal continuo bombardamento della linea ritmica Basso\Batteria, i ritmi serrati tra i brani hanno mozzato ogni fiato ai fan, rimasti agganciati alla realtà – per i novanta minuti del concerto – ai soli decibel che sparavano dalle casse della venue.

In mezzo, due chitarre che si intrecciano e si lacerano, batteria e basso che formano un doppio letto di chiodi, che è davvero complicato mandar giù se non bruscamente e con un taglio netto.


E se l’impressione diffusa è stata quella di un gruppo di ‘ragazzi’ degli anni ’90 la cui musica ha tenuto il passo molto meglio delle fattezze giustamente segnate dal tempo, ciò che non ha certamente tradito è l’aver trovato – in quei modi di essere che hanno portato sul palco – un wormhole che dal cuore di un sabato pre-estivo torinese ha trasportato ogni adepto atrtaverso un trentennio di oblio, nuovamente dentro un epoca fatta di rabbia e di controcultura. Il tramite è stato quella loro musica che sa trasfigurare una versione urbana nevrotica degli anni ’90 sulle radici del blues: la musica per chitarra come catarsi, racchiusa in un seme di sublime grinta.

Author: Roberto Remondino

Copyright: www.weloveradiorock.com

« di 16 »

Stefano Carsen

"Sentimentalmente legato al rock, nasco musicalmente e morirò solo dopo parecchi "encore". Dal prog rock all'alternative via grunge, ogni sfumatura è la mia".