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Federico Sacchi vi racconta le visions di Stevie Wonder, tra ‘soul’ e ‘dream’

Amare qualcosa, ed esserne appassionato, ti mette nelle condizioni di cercare di saperne qualcosa in più. Rispetto a quell’argomento o materia, di certo; ma anche, rispetto a quelli che, come te, condividono amore e passione. Viene anzi naturale incrociarne sempre qualcuno in più rispetto a persone che invece hanno altri interessi: è un fatto naturale, fosse anche solo perché quelli che condividono quell’amore con te spiccano enormemente di più ai tuoi occhi. E quando tra questi ne incontri uno che invece quella medesima passione la riesce a raccontare con capacità, dovizia di particolari, fascinazione e conoscenza, di certo quella stessa persona entrerà a far parte dei tuoi punti di riferimento e di interlocuzione, una controparte a cui rivolgerti quando ti sale la voglia di condivisione e approfondimento.
Federico Sacchi appartiene di certo a questo gruppo: lo potremmo definire come uno tra gli eruditi e appassionati fruitori di musica, se non fosse che – per fortuna nostra e probabilmente anche sua – ha fatto di questa sua forte infatuazione, una attività di piacevolissimo intrattenimento musical-culturale. Per questo, sapendo che domenica proporrà un interessantissimo spettacolo-maratona, in forma di trilogia, sulla genesi, sulla primissima vita musicale di Stevie Wonder – re della soul music degli anni ‘70 – ho deciso di chiamarlo per saperne di più, capire perché ha scelto di raccontare proprio ‘quello’ Stevie Wonder, così poco conosciuto in Italia – dove generalmente viene visto come uno dei tanti cantori della pop music, mentre in realtà poco si conosce della parte forse più importante della sua storia musicale, così impegnata nella questione ‘nera’ e nella battaglia per tenere viva la memoria e la battaglia del reverendo Martin Luther King.
“E’ proprio questo il punto: io stesso, pur amando invece le radici musicali e l’attività di produzione di Stevie, mi sono reso conto di non conoscere affatto bene quelle sue radici, così legate invece alla questione razziale, all’attivismo politico che sfociava in attivismo culturale, e quelle battaglie per tenere vivo il ricordo e le idee di King.
E ci sono arrivato quasi casualmente, leggendo ‘
The Last Holiday: A Memoir’ l’autobiografia di Gil Scott-Heron, mentre preparavo uno spettacolo sulla sua musica e la sua storia. Tra le tante cose, mi colpì che Heron – cantore e poeta, che tra i ‘70 e gli ‘80 legò strettamente la sua musica e la sua arte all’attivismo politico – citasse l’attività di Wonder come basilare per il riconoscimento politico della figura di Martin Luther King negli Stati Uniti, e come questa attività avesse poi saputo portare il presidente Regan (di certo non un attivista della questione ‘nera’), nel 1983, a firmare una legge che istituisce il “martin Luther King day”, ad oggi ancora unica festa federale dedicata alla figura di un afroamericano”. Insomma, la musica sa sempre come stupirti, e colpirti, senza farti però male, come diceva benissimo Leonard Cohen. “Esattamente. E in questo caso, lo ha fatto facendomi scoprire come un autore, che già amavo, sia stato uno dei più importanti attivisti politici e intellettuali del suo tempo, oltre che uno dei più grandi innovatori musicali della seconda metà del ‘900. Una storia che, a mio parere, meritava di certo una trilogia”. Trilogia che andrebbe vissuta interamente, “Wonderful Visions”, fosse anche solo perché tesse un ordito completo e pregnante a partire dal primo spettacolo – “Il giovane sognatore”, che narra l’attività di Wonder tra i suoi 15 e i 21 anni” – passando per la seconda parte – “La visione del sogno”, e i 4 anni che lo portano a mettere a terra la sua raggiunta indipendenza musicale e la costruzione della musica che arriverà subito dopo – e la terza e ultima parte, “Costruire un sogno”, nella quale si arriva a parlare di come Wonder, da padrone assoluto delle classifiche mondiali, decida di registrare la summa della sua ricerca musicale con Songs in the Key of Life (1976) e intensificare l’impegno politico e sociale che porterà alla registrazione di Happy Birthday e al Martin Luther King Day.
Spettacoli che, ad ogni modo, sono dipinti fatti e finiti, storie piacevoli e definite, godibilissime anche prese singolarmente, come ci tiene a dire Federico. Storie nelle quali magari potrete scoprire come “Stevie sia il primo vero artista ‘crossover’ della Storia: senza il lavoro fatto da lui negli anni ‘70, un album come “Thriller” di Michael Jackson non sarebbe probabilmente nemmeno esistito: e se Jackson sfascia il castello è perchè dietro c’è WOnder che gli ha divelto il portone.
Oppure, come sostengo nel secondo spettacolo, si arriva a scoprire che Stevie Wonder lancia di fatto il lavoro dei
Kraftwerk di “Autobahn” uscito nel 1974, con la musica che lui costruisce nei tre anni precedenti, e che i quattro ragazzi di Dusseldorf dimostrano di conoscere benissimo, e di ‘utilizzare’ nella costruzione del loro album e, dunque, del loro mito.”
Poche cose sanno ‘arricchire’ l’anima e la mente come l’amore per la musica: in questo caso, l’amore per la soul music, che Sacchi trattiene ormai da quasi più di vent’anni, e a cui – se vogliamo – vuole restituire ciò che in questi lustri gli ha regalato. Una musica che sa “farmi commuovere e sa farmi piangere di gioia ed emozione, che è mescolato strettamente a certo rock degli anni ‘70 e a certo progressive che ho imparato ad adorare. Arriva tutto da lì, da quella passione viscerale. Una delle musiche più influenti in assoluto, il Soul.”
Musica dell’anima, che tocca corde viscerali e, a volte, inattese.
Musica che quell’anima sa sfamare, e saziare. (anche praticamente, visto che durante la maratona di racconti è previsto anche un brunch su prenotazione obbligatoria, ndr)
Un impatto che, se andrete a vedere gli spettacoli di Federico Sacchi, Domenica 15 Gennaio prossimo al Teatro Gioiello, vi si leggerà di certo in faccia, durante i suoi racconti, e vi rimarrà nella vostra ‘soul’, tornando a casa.

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Stefano Carsen

"Sentimentalmente legato al rock, nasco musicalmente e morirò solo dopo parecchi "encore". Dal prog rock all'alternative via grunge, ogni sfumatura è la mia".