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Cicatrici e redenzioni – Manuel Agnelli conclude il tour alle OGR di Torino


La malattia non è uno stato che scompare immediatamente, a sopravvenuta guarigione, soprattutto se gli effetti che ha portato si sono rivelati, durante la sua permanenza, efferati e persistenti. La sua persistenza morale, cioè quel vago senso di vertigine che ti colpisce affiancandosi subdolamente ai sintomi che il malessere fisico trascina con sé alla sua comparsa e per tutto il suo passaggio – per veloce e virulento, o indolente e sotteso che sia stato quel transito – raramente si eclissa contestualmente alla scomparsa dei sintomi: anzi, permane in maniera direttamente proporzionale a ciò che ci ha tolto per via della sua ostinata persistenza.
Che sia un concerto, una vacanza programmata da tempo, due interi anni passati in una indesiderata bambagia di inanità, oppure l’affetto di qualcuno davvero caro a noi, quella mancanza rimane a segnarci a lungo, anche parecchio tempo dopo la sue eclisse.


Oliver Sacks, neurologo, psichiatra e prolifico scrittore statunitense attivo a cavallo tra il vecchio ed il nuovo millennio, investigò chiaramente questi effetti in parecchi dei suoi libri, arrivando ad affermare che “gli animali si ammalano, ma solo l’uomo cade radicalmente in preda alla malattia”, laddove il ‘caderne preda’ nient’altro è che il trattenerne il vivido ricordo sulla pelle, nelle ossa, e in ogni cellula cosciente che appartiene a questo nostro substrato fisico così fragile e deperibile.
Sicché, la guarigione non è quasi mai solo una questione di terapia medicinale o di cure chirurgiche: è questione di cura mentale e di resistenza subliminale, di trattamento delle cicatrici psichiche e di plastica agli inestetismi rimasti sulla nostra anima. E nonostante questo, alla fine qualche segno rimane sempre. Ed infatti,  la vita si ‘salva’ anche così, sopravvivendo alle piccole e alle grandi malattie, accettando anche che i segni del loro passaggio ci appartengano ed entrino a far parte di noi.


Così come ha voluto implicitamente sottolineare davanti al suo pubblico Manuel Agnelli – dal palco delle bellissime OGR di Torino, durante l’ultimo data del suo tour successivo al bellissimo primo album solista “Ama il prossimo tuo come te stesso” – tocca andare avanti anche da malati sia all’atto pratico (e cioè nonostante gli acciacchi che durante le varie date hanno cercato di ostacolare i membri del gruppo, compreso Manuel, colpito ad un certo punto anche da una fastidiosissima laringite), ma a maggior ragione perché pare essere l’unica condizione di sopravvivenza possibile rimasta.


Un tour che ha toccato nove città, con un gruppo eccezionale composto da giovani musicisti (sul palco, insieme a Frankie e DD dei Little Pieces of Marmalade, a Giacomo Rossetti dei Negrita e alla bella e soprattutto molto brava polistrumentista Beatrice Antolini), che ha saputo esprimere egregiamente il muscoloso e solido rock creato da Agnelli, in una stupenda ed esaustiva panoramica rock che è andata dalla fantastica Germi (singolo dell’omonimo primo album che lo ha visto autore, cantante e memoria storica degli Afterhours) a Padania e che, passando attraverso quasi tutti gli otto album in carniere della formazione alternative (con l’eccezione nemmeno troppo sorprendente di Folfiri e Folfox) ci ha anche fatto godere uno dopo l’altro tutti i brani del suo ultimo lavoro.


Canzoni scritte a cavallo della pandemia, brani che – come la disarmante Milano con la peste – sanno dare uno sguardo rabbiosamente sconfitto ma mai del tutto arreso della realtà che ci ha incatenati: composizioni che, così come questa moderna prigionia che ci sta toccando combattere ancora, sono vere cicatrici tracciate in musica sulla ‘pelle splendida’ di chi le ha scritte, e depositate negli spiriti di chi si sente vivere nella medesima condizione. Spiriti indomiti e disincantati, dotati di quella sana ironia che fa da cura palliativa, e che un po’ conforta anche se raramente guarisce del tutto: la stessa amara ironia che arma la voce di Agnelli nelle canzoni, e nelle frasi dette tra un brano e l’altro a ribadire lo stato (anch’esso) malato della musica live in Italia (la scarsità delle sale rimaste in cui poter fare musica live in Italia è la causa principale della brevità di un tour che invece avrebbe di certo meritato ben altra durata).
La stessa ironia che si fa sarcasmo nei confronti di chi ad un certo punto gli urla di cantare invece di parlare, e che necessariamente lo invita ad andare a quel paese (o giù di lì) ribadendo che “il concerto è mio, e si fa quello che cazzo mi pare”.


Alcuni hanno anche storto un po’ il naso davanti al fatto che abbia voluto ricreare gli stessi suoni che ha costruito con gli Afterhours usando però dei ‘gregari’: ma l’impressione sostanziale è a mio avviso parecchio lontana da questa interpretazione, e la andrei piuttosto a ricercare nell’intenzione del cantautore milanese di far navigare nella sua scia degli artisti capaci e appassionati ma che avrebbero ben altra attenzione nel mercato musicale odierno.
Tutto questo sarebbe sufficiente, anche se si volesse trascurare il fatto che dalla platea si percepisce una acclarata confidenza e una decisa amalgama musicale nel gruppo: amalgama e confidenza che, probabilmente, farebbe da sostegno autonomo alla scelta artistica del circondarsi di quei giovani musicisti di cui si è circondato.


Due ore di terapia endovenosa di decibel, tra distorsioni ed effetti Larsen, che scendono decise e si inoculano tra il pubblico accorso (“siete l’esatto doppio di questa estate” ha detto ad un certo punto Manuel) alle OGR: un pubblico che ne è uscito un paio di ore dopo, rinfrancato e in lenta ma continua guarigione, mai completamente malato, non ancora decisamente sano: una umanità emblematica che ritorna alle proprie case, nella fredda ed umida Torino pre natalizia, con la “coscienza acuta di avere un corpo”.
Uno stato che, come ebbe a sostenere Cioran, rappresenta l’assenza di salute. Cicatrice spirituale di una umanità che anela la salute, senza speranza di guarigione definitiva.







 

Stefano Carsen

"Sentimentalmente legato al rock, nasco musicalmente e morirò solo dopo parecchi "encore". Dal prog rock all'alternative via grunge, ogni sfumatura è la mia".