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Occhi che brillano

La storia di tenermi la mano è stata un’idea di mamma, ne sono sicuro: papà sa benissimo che non è una cosa da uomini. Ma sono settimane che lei sospira e alza gli occhi al cielo ogni volta che io e lui accenniamo al concerto, settimane che approfitta di ogni occasione per ripetere che sono piccolo, che ci sarà troppa gente, che è così che capitano le tragedie. Parla di caldo terribile, transenne che crollano, di gente ubriaca e di scene che non dovrei vedere, senza nemmeno dire quali. Papà la ascolta, poi appena è distratta mi guarda e bisbiglia: “È il rock!”. E gli brillano gli occhi.
A me piace quando a papà brillano gli occhi: dice che succede quando pensi a qualcosa che ti piace tantissimo e allora ci provo anche io. Ma non so bene a che cosa pensare e quindi non so se ci riesco.
Comunque adesso papà me la sta tenendo la mano e fa così caldo che le sue dita grandi si appiccicano alle mie: forse non si staccheranno più e sarò costretto ad accompagnarlo in tutti i posti dove va con la macchina, per lavoro. Quando torna a casa prima che io vada a dormire, mentre sono ancora in bagno, mi fa vedere le foto e mette su Spotify le canzoni che ha ascoltato mentre guidava: quelle sono le volte in cui ci metto più tempo a lavarmi la faccia e i denti, perché non voglio che spenga.
Mamma aveva ragione: non ho mai visto così tanta gente, nemmeno al saggio di Natale a scuola, quando anche i nonni con il bastone e i sorrisi dolci finiscono a spintonarsi e dire parolacce per occupare una sedia in prima fila. Qui c’è il prato e nessuna sedia, ma io voglio andare davanti, se serve posso dire anche le parolacce: devo fare le foto per gli altri del centro estivo, quelli che credono di sapere cos’è la musica e invece ascoltano solo trap.
Quando le nostre mani si staccano fanno rumore, come se le avessimo avvolte col nastro adesivo; bevo dalla bottiglietta un sorso d’acqua lunghissimo senza mai perdere di vista papà: gli tengo la mano nella mente, insomma. Ci fermiamo davanti a un tizio enorme, con la barba bianca, che ha le labbra affondate in un bicchiere di birra: lui e papà si abbracciano un sacco, dandosi delle pacche sulle spalle e si agitano così tanto a ridersi uno verso l’altro che una piccola onda di birra esce dal bicchiere e mi macchia le scarpe da ginnastica. Ma tanto sono nere, mamma non se ne accorgerà nemmeno.
Dalla barba del tizio esce un sorriso anche per me, poi papà lo saluta e mi riprende per mano.
Sul palcoscenico ci sono ancora le luci spente e gente che corre avanti e indietro a sistemare cavi e strumenti e microfoni. Chissà se poi lo ascoltano anche loro il concerto o se vanno a mangiare la pizza appena inizia la musica.
Fa così caldo che dal basso vedo piccolissime gocce di sudore comparire sulle tempie e sul collo di papà come se fossero le lentiggini del filtro di tik tok che usa mia sorella, gli scivolano giù, sotto la maglietta nera con il nome del gruppo che è appena salito sul palco.
Quando cominciano a suonare il volume è così alto che penso alla mamma e al fatto che sono troppo piccolo: magari dovevo davvero restare a casa a guardare i cartoni animati. E questo pensiero mi mette tristezza, così mi guardo attorno.
I tecnici sono sotto il palco con i loro cappellini al contrario, mi sa che hanno più voglia di musica che di pizza adesso, e qualche fila più avanti di noi, in mezzo a tutti quelli che saltano, il più alto è il tizio di prima, con la barba bianca: anche lui ora ha più voglia di musica che di birra.
Poi papà mi stringe la mano e lo guardo cantare: sa tutta la canzone, parola per parola, anche se non l’ha studiata a scuola.
Lui vuole la musica, più della pizza e della birra, di sicuro.
A un certo punto, anche se non gliel’ho chiesto io, mi solleva e io mi arrampico sulle sue spalle, la pelle delle mie gambe nude assorbe il suo sudore, ci muoviamo insieme, al ritmo della sua musica che ad ogni nuova canzone diventa anche un po’ mia. Mi sto anche un po’ dimenticando la questione delle foto per gli altri che ascoltano la trap: io ho il rock.
Non lo posso vedere, ma sono sicuro che adesso gli occhi gli brillano proprio come piace a me.
Come lo so? Perché sento che stanno brillando anche i miei.
Mi sa che finalmente ho trovato a che cosa pensare per farli brillare.

Ci sono riuscito.

[Pic by Ettore Craca]

Valeria Di Tano

"Vivo circondata da storie e parole per lavoro e soprattutto per passione. Le uso come mattoni per costruire, come labbra da baciare e come aria da respirare. Leggo, scrivo e sorrido. Tutto in equilibrio sui tacchi a spillo."