Live Reports

Bombino-Viterbini: deserto, blues e anima

Come l’Harmattan, il vento caldo che da est-nordest soffia incessante nel Sahel, dal Sahara verso la fascia subsahariana, la musica e le atmosfere create dal due Bombino-Adriano Viterbini, hanno soffiato, ieri sera, sull’Hiroshima Sound Garden.
Nome d’arte di Goumar Almoctar, Bombino, partito da Agadez, nel Niger, titolo anche del suo primo storico album, alla conquista del mondo con la chitarra scoperta da ragazzino, mentre con la famiglia negli anni 90 era costretto fuggire dalla sua terra funestata dalle guerre civili.
Un lungo peregrinare per il nord Africa, dove ha affinato quell’incredibile miscuglio di generi e suoni, dal rock di Hendrix, al blues più caldo, ma sempre con al centro il suo sangue tuareg, che traspare non solo nella sua musica, ma nel suo abbigliamento, nelle sue movenze e nei suoi sguardi.
Bombino, infatti, canta nella sua lingua d’origine, quella dei tuareg, il Tamashek, che gli permette di mantenere un filo diretto con la sua terra pur passando per influenze musicali diverse e distanti.

Con lui Adriano Viterbini, celebre chitarrista e bluesman romano, noto non solo per essere una delle due costole dei Bud Spencer Blues Explosion (l’altra è Cesare Petulicchio), ma per le sue notevoli deviazioni con band come I Hate My Village (attesi al TOdays Festival a fine agosto per presentare, si vocifera, il nuovo album), Nick Cester, Cor Veleno e Tre Allegri Ragazzi Morti, giusto per citarne alcune. Perfettamente in linea con il sound desertico e sciamanico di Bombino, basta ascoltare il suo primo lavoro solista “Goldfoil”.
Di lunga data la collaborazione con Bombino con cui suona nel 2014 nel “Nomad Tour” partecipando a concerti in Italia ed in Europa. Per il suo ultimo lavoro “Film O Sound” realizzano un pezzo insieme, “Welcome Ada”, una sorta di jam, perfetta fusione dello stile dei due artisti.

Hiroshima Sound Garden davvero caldo, ieri sera, dove le chitarre dei due artisti si sono incrociate come piste tra le dune e intrecciate come turbanti attorno alla voce di Bombino, con arrangiamenti acustici, perfettamente in sintonia con lo  stato emotivo della serata, ed elettrici nella seconda parte del set dove, nonostante la mancanza di una sezione ritmica non penalizzava il groove trasmesso dai due musicisti.
Ci sono artisti che colpiscono e catturano immediatamente per suoni ed empatia e che hanno la capacità di fondere luoghi apparentemente distanti. Sono quelli dove si trovano, nello stesso spazio temporale le chitarre di Bombino e Adriano, dotate di un vero potere sciamanico ed ipnotico, capace di portare l’ascoltatore proprio tra la polvere del loro deserto, in un luogo fuori dal tempo.
É sul finale, quando arrivano i pezzi più famosi di Bombino, da album ormai storici come “Agadez” del 2011 e quel “Nomad” pubblicato dalla sempre lungimirante Nonesuch e prodotto da Dan Auerbach nel 2013, il pubblico cede e si alza in piedi, per un rito ormai quasi dimenticato. Applausi a scena aperta, un feeling con il pubblico genuino, che si può riassumere in “Amidine”, forse il suo pezzo più celebre, con quell’intro hendrixiano e quei suoni che ti riportano immediatamente a quelle atmosfere desertiche e sabbiose da cui siamo partiti, trasportate da un vento leggero e gradevole che ha soffiato su Torino in questi giorni luminosi.
Un’esperienza che almeno una volta nella vita va fatta, un trip musicale di quelli che non possono mancare nella propria bisaccia dei ricordi.

Roberto Remondino

"Wishin' and hopin' and thinkin' and prayin' Plannin' and dreamin' each night of her charms That won't get you into her arms So if you're lookin' to find love you can share All you gotta do is hold her and kiss her and love her And show her that you care".