Live Reports

Lucio Corsi diventa grande a Monfortinjazz

Cosa faremo da grandi?

Si chiede Lucio Corsi titolando il suo ultimo album. Di sicuro lui diventerà grande, o meglio è già grande a dispetto della giovane età.
Sul prestigioso palco di Monfortinjazz, che ha ospitato star internazionali del Jazz e mostri sacri della musica nostrana, Lucio e i suoi compagni sono stati capaci di creare una vera alchimia con l’anfiteatro Horszowski, un posto già magico di per sé, guadagnandosi a pieno il diritto di poter avere il loro nome inciso su quel tabellone.
C’è davvero magia nell’anfiteatro, un po’ perché il cielo è minaccioso e i fulmini sebbene distanti spaventano abbastanza, un po’ perché tutto è strano, come lo sono i concerti post lockdown, con la gente distanziata e non sempre serena.
Ma a portare serenità ci ha pensato lui, Lucio Corsi, con la sua compagnia dell’anello, usando quel pizzico di magia che il suo talento gli ha donato. E’ stato definito in tanti modi, da “Ziggy Stardust dei tempi moderni”, a cui è oggettivamente difficile non pensare, fino al “Gianni Rodari Glam-rock”, per la sua capacità di raccontare con leggerezza mondi immaginari e fiabeschi. La verità è che siamo di fronte a qualcosa di diverso, per lo meno se lo confrontiamo alla scena indie con cui mantiene comunque un legame e che lui è un artista originale per cui non è per forza necessario trovare una stramaledetta etichetta.lucio corsi
Non lascia nulla al caso, un soundcheck molto accurato, c’è molta leggerezza e simpatia, l’impressione è quella che assisteremo a qualcosa di bello. Il nuovo lavoro gode della produzione di Francesco Bianconi, un altro artista che con i suoi Baustelle è solito brillare per il songwriting, assieme ad Antonio “Cooper” Cupertino, una sorta di marchio di qualità per Lucio, che però ci mette dentro tutto il suo fantastico mondo.
Puntale sul palco con una blusa e pantaloni a zampa in total black, stivaletti argento con zeppa stile Kiss, Lucio non si fa pregare e fa subito sentire che non ci sarà solo leggerezza e intimità, emozioni che la sua musica spesso ci ha regalato ma anche tanto sano rock’n’roll, ecco che “Freccia Bianca”, singolo visionario estratto dal suo ultimo album, spacca l’apparente quiete del teatro. La Freccia Bianca è il famoso treno ma ha “lo spirito di un capo indiano” che risale la penisola come “il vecchio spirito di un pelle rossa dividendo in due le città che incontra, dove “L’orologio” (secondo pezzo) è una macchina del tempo e Trieste è il posto dove “il vento non è un freno ma una spinta utile per tenere le nuvole in viaggio”.
Nella prima parte del concerto ci sono tutti i pezzi del nuovo album, davvero un lavoro di pregevole fattura, “Cosa faremo da grandi?”, “Amico vola via”, poi “Onde”, “Bigbuca “ e “La ragazza trasparente”.

Sono tutti scenari colmi di fantasia e bellezza, sono visioni di un mondo interiore, che prendono forma attraverso parole, suoni e immagini. Solo ascoltandolo e soprattutto guardandolo e cercando i suoi occhi si può forse intuire, almeno un po’, quello che passa per la sua testa e che gli permette di dare forma a questi pensieri, come strani mondi immaginari.
Non basta la pioggia a fermare Lucio e la sua band, anche grazie al supporto dello staff di MonfortinJazz che prontamente copre con dei gazebo volanti i musicisti, tra gli applausi del pubblico, che tra impermeabili improvvisati e mascherine non molla un colpo e non ci pensa un attimo ad abbandonare la propria sedia.
C’è allora spazio per il suo “Bestiario Musicale”, con “L’upupa”, “Il lupo” e “La lepre” e per “Maremma amara”, dovuto tributo alle sue origini, che incornicia il suo esilarante racconto del pranzo nel ristorante dei suoi genitori, che si trasforma in una vera epopea e dunque in un poema.
C’è l’omaggio a De Gregori, che ha calcato il suo stesso palcoscenico con “Buffalo Bill” e lo spazio per almeno “Altalena Boy” dal suo primo album ormai datato 2015, “Altalena Boy/Vetulonia Dakar”, che ci ricorda come davvero lo si possa definire un enfant prodige della nostra musica, così diverso da quello che lo circonda e che per questo lo rende prezioso, quasi da proteggere, come quel libro di favole che avevamo da bambini e che abbiamo sempre cercato di conservare.
Non lo vogliono fare più andare via, piove, ci sono i lampi, ma lui c’è, noi ci siamo, nessuno se n’è andato. La musica, almeno questa sera e sono tempi difficili, ha vinto.

(Il video è del concerto a Roma poco prima del lock down, ma rende bene l’idea di come è partito)

Paolo Pavan

“Istinto, gioco, passione, lavoro. La fotografia è un po’ tutto questo e qualcosa, alla fine, ti resta sempre.”