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Alan Parker: Tra il Paradiso e l’Inferno, un ricordo.

Non ho esattamente memoria di quale sia stata la pellicola di Alan Parker attraverso la quale, per la prima volta, sono entrato in contatto con l’incanto della sua arte cinematografica.
Che sia stato il disperato urlo di “Midnight Express”, la poesia del volo di “Birdy”, la scoppiettante energia di “Fame” o lo psicotico incubo di “The wall”, ciò non cambia la certezza che nessun altro regista in quegli anni ottanta che facevano da sfondo al mio passaggio dall’adolescenza alla conclusione degli studi universitari, abbia saputo piantare, come chiodi inamovibili, nel mio cuore le sue opere, costruendo un pezzo significativo dell’ immaginario visivo e poetico del quale mi sarei nutrito negli anni a venire.
Alan Parker, regista britannico mancato ieri a 76 anni, ha girato relativamente pochi film, quattordici in un periodo lungo trentasette anni, ben lontano quindi dalla bulimica iperproduzione di altri colleghi, pur non raggiungendo i livelli di “stitichezza produttiva” di un Kubrick o di un Malick.
Mi piace pensare che fosse il frutto di una scelta ben precisa, quella di scegliere accuratamente i soggetti e di prendersi tutto il tempo necessario per costruire in modo artigianalmente certosino ogni opera in piena indipendenza, cimentandosi ogni volta con vicende estremamente diverse ambientate in luoghi e frangenti altrettanto differenti, rivestendole purtuttavia della sua indiscutibile, unica e pienamente riconoscibile, capacità di raccontare in modo potente i moti più diversi dell’animo umano lasciando un segno indelebile nello spettatore.
E’ stato meravigliosamente appagante in quegli anni immergersi mani e piedi nella discesa di Billy Hayes negli inferi dell’abuso in “Midnight Express” (1978) e di Harry Angel nell’incubo voodoo in “Angel’s Heart” (1987), nell’amicizia fuori dal comune tra outsiders cresciuta da qualche parte tra la poesia del volo e il dramma del Vietnam narrata in “Birdy” (1984) , nell’elettrica fiaba danzante che racconta sogni, ambizioni, e desiderio di lasciare un segno o di fuggire da un esistenza grigia dipinta in “Fame” (1980) e in “The Commitments” (1991), nella vicenda di uomini alle prese con le radici dell’odio e del razzismo raccontata in “Missisippi Burning” (1988) e “Benvenuti in Paradiso” (1990). alan parker
Alan Parker portava peraltro con se anche questo legame profondo con il mondo della musica che è rimasto sotteso come un fil rouge in buona parte della sua vicenda artistica.
Dal musical “Bugsy Malone” (1976) che ne segnò l’esordio trasferendo le guerre tra gangsters nel mondo infantile, alla trasposizione in immagini dell’incubo di Roger Waters cantato in “The Wall” (1982), alla connection con Peter Gabriel per il commento sonoro a “Birdy”, molto più di un semplice contorno, e con Giorgio Moroder per quello di “Midnight Express”, al rutilante mondo di canzoni e balletti di “Fame”, alla Dublino “nera” nutrita di soul di “The Committments”, ai riferimenti al Cajun nella Lousiana di “Angel Heart”, sino all’ultimo musical: “Evita” di Andrew Lloyd Webber con una Madonna all’apice del successo, con la quale non mancarono punti di frizione in una delle pellicole più discusse della carriera del regista.
Riguardando indietro mi rendo conto che la mia conoscenza della filmografia di Parker è tutt’altro che omnia e che vi sono vistose lacune che la sua dipartita mi spinge a riempire. Su tutti “Shoot The Moon” (1982) e tutta la parte conclusiva della sua vicenda registica da “The Road to Wellville” a “The life of David Gale” passando da “Angela’s Ashes”.
L’Alan Parker che mi si è sedimentato dentro, in fondo, è quello della dozzina d’anni trascorsi tra “Midnight Express” e “The Commitments” ed ognuna di quelle pellicole, pur conoscendole a memoria, le potrei riguardare decine di volte ancora senza perdere un oncia del piacere che mi hanno sempre donato
Ma non e’ questa l’occasione di una disamina dell’opera omnia, ne’ di una analisi critica relativamente alla quale non avrei a dire il vero gli strumenti.
Questo è un semplice omaggio alla sua arte di raccontare, è un piccolo atto d’ amore per quanto ricevuto da uno dei registi che più è riuscito a parlarmi nell’epoca in cui il mio animo era un campo da arare e in cui seminare.
Se mi si chiede il motivo non saprei dare risposta.
Credo si possa parlare semplicemente di affinità elettive.

 

Ettore Craca

"Nel suono, nella pagina, nel viaggio, nell'amore io sono. In ogni altro luogo e tempo non sono".