Live Reports

A Torino…va bene.

Parcheggi inesistenti e portici affollati da piazza Vittorio a via Po, al Blah Blah si arriva a fatica, in questa sera di febbraio in cui Torino e Berlino tornano a confondersi. “I viaggi verso questa destinazione sono soggetti a restrizioni” reciterà Google cento giorni più tardi ma qui in questo momento nessuno potrebbe immaginarlo.
“Garbo rimane lì, questa sera è venuto a salutarvi Renato”. A ripensarci oggi, con gli spettacoli vittime collaterali del Covid, viene da pensare che il  signor Abate (classe 1958 e quarant’anni di onorata carriera musicale) abbia delle doti divinatorie. Il concerto è l’ultima appendice di un tour dedicato alla produzione più strettamente New Wave, indiscutibilmente anche la più conosciuta, dell’artista un tempo conosciuto come Garbo (spero apprezziate il livello di questa licenza poetica).
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Quella Radioclima portata sul palco di Sanremo facendo coreografia con una vecchia radio a valvole è stata, nel 1984, il suo biglietto di ingresso nella mia vita. Come spesso capita era arrivato lì quando la carica eversiva di quei suoni stava volgendo già al termine ma il suo ruolo, insieme al primo Enrico Ruggeri, di anfitrione della nuova onda era riuscito: è anche grazie a lui che io e tanti altri abbiamo cominciato a guardare con entusiasmo a Litfiba, Diaframma, Neon e, perché no, gli inclassificabili Denovo.
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Il concerto si apre con un miniset di Eugenio Valente in arte Eugene, il sacerdote della nuova scena elettronica a cui è affidato tutto il tappeto sonoro di questo 8 febbraio. L’ultima esibizione dal vivo di Garbo è infatti minimale, ad accompagnare quella voce fattasi più profonda che mai, saranno i sintetizzatori, l’effetto è davvero quello di un viaggio nel tempo. Più verso il futuro però rispetto a quel passato da cui arrivano canzoni scritte, per ammissione dello stesso artista, tra la fine dei ’70 e la metà degli anni ’80. In scaletta c’è tutto quello che deve esserci, cento minuti cento all’ombra di una foto de Il Muro che fu rifugio o separazione a seconda delle idee ma senza dubbio ispiratore di grandi creatività (David Bowie e Iggy Pop tanto per far due nomi).
“A Berlino che giorno è se poi di notte guardiamo le vetrine. A Berlino, non penso mai, sì si può vivere, non sogno mai. A Berlino, che giorno è? Sì si può vivere, un giorno in più”. Il concerto si conclude dove tutto era iniziato, da quella prima copia a 33 giri arrivata nelle mani di un Renato ragazzo appena sfornata dalla stamperia Emi di Caronno Pertusella. Era il 1981 e sull’altra linea producevano La Voce del Padrone di Battiato dicono le cronache, c’è un che di esoterico nella vita e nelle opere di Garbo e la sala piena e partecipe sta lì a dimostrarlo.
Succederà ancora? Oggi che il futuro della musica dal vivo appare quantomeno nebuloso sarebbe bello sentire Garbo smentirsi, vederlo tornare sul palco e riaccendere le notti di Torino.
La scaletta? Più o meno questa: Mekong, Lili Marlene, Terre Bianche, In questo cielo a novembre, On the Radio, Scortati, Generazione, Vorrei regnare, Quanti anni hai?, Radioclima, Il fiume, Auf Wiedersehen, Moderni, A Berlino…Va bene.