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Restano Stanze Vuote

Stanze: Massimo volume (1993)

E’ un riquadro nelle prime pagine, quelle dedicate ai nuovi nomi, di Rumore la mia bibbia musicale personale per tutti gli anni novanta a mettermi per la prima volta in contatto con un nome che è di per se stesso una dichiarazione di intenti: MASSIMO VOLUME, un nome che te lo dice chiaro in faccia che non sono previste vie di mezzo e che quello che ascolterai potrai soltanto amarlo o odiarlo.
Il riquadro presenta il primo demo di questa banda di trapiantati a Bologna e lo fa in termini entusiastici. del resto non e’ abitudine per la rivista concedere tanto spazio ad un demo, di un gruppo italiano poi…..Massimo VolumeLe antenne si rizzano, il nome viene registrato. E’ il 1992 ho ventisei anni, la stessa eta’ di Emidio Clementi, il cantan….ehm ….no Emidio Clementi non canta. Emidio Clementi mormora, declama, esemplifica, racconta, riporta, esclama, ripete, sussurra, recita…ma non canta. E questo è già sufficiente per capire che questi non sono come gli altri gruppi di cui brulica l’underground italico di questi anni, questi sono diversi. Questi fanno storia a se.
Ma tutto ciò l’avrei scoperto molto dopo, ci vorrà infatti un anno o giù di lì per riuscire ad ascoltarli, il tempo che intercorre tra il demo e la pubblicazione di Stanze, l’album di esordio. Riesco ad accaparrarmene una copia in CD acquistandola direttamente nel negozio di dischi di Bologna di cui l’etichetta e’ filiazione: UNDERGROUND RECORDS.
Il primo ascolto di “Stanze” disegna una O sulla mia bocca. E’ qualcosa di alieno rispetto al fitto sottobosco di proposte che riempiono quegli anni dorati per la musica “indipendente” italiana, alieno eppure umano, fin troppo umano grazie ad un uso della parola da parte di “Mimi’” Clementi che suona vero, concreto, universale, mai banale, nuovo, anche a confronto di esperienze precedenti ad essa avvicinabili (ad esempio i CCCP). La musica prodotta da Egle Sommacal Vittoria Burattini e Gabriele Ceci, non dimenticando il basso di Mimì, è originale, non riconducibile a nulla di analogo nel belpaese e difficilmente assimilabile anche ad altre esperienze estere. E’ musica che evoca nevrosi, rabbia, ansia, desolazione, noia, sensazioni in gran parte negative che purtuttavia sono molto presenti nella banale quotidianità di ognuno di noi. Ed è questo scavare nelle emozioni più crude e amare che rende i Massimo Volume un gruppo non per tutti. Non tutti infatti riescono a godere di questo mettersi a confronto, faccia a faccia, con le parti più intime, dolenti e faticose della propria vita. Ma allo stesso tempo la loro è musica che racconta di voglia di cambiamento, di riscatto, di energia potente, di entusiasmo per il nuovo, tratti che sembrano sfuggire ai detrattori che quando sentono “Massimo Volume” si limitano a commentare: “troppo deprimenti” evocando uno dei proprietari dello studio in cui “Stanze” venne registrato che, dopo averlo ascoltato con gli occhi sbarrati, se ne uscì con un “Ragazzi io l’unica cosa che mi chiedo è: cosa vi ha fatto la vita ?”.
I Massimo Volume arrivano alla registrazione di “Stanze” dopo una acre e dolorosa separazione da Umberto Palazzo che era stato il motore dei primi passi del gruppo ma la cui visione si era progressivamente allontanata da quella di Mimì e Vittoria in un accumularsi di tensione che era deflagrata poco tempo prima di andare in studio. Al momento della separazione i tre restanti sanno già che il posto di Palazzo verrà occupato da Egle Sommacal chitarrista feltrino che stava facendo ottime cose con i Detriti ma che accetta di buon grado la proposta.
Egle si innesta alla perfezione nel tessuto già imbastito da anni di prove e porta idee e riff incisivi e originali che vanno a completare il quadro portando all’appuntamento con la sala di incisione un gruppo pronto ed estremamente motivato anche grazie all’appoggio di Vanni il proprietario di Underground records che vuole fare esordire la propria nuova etichetta con i Massimo Volume. Viene chiesto a Manuel Giannini degli Starfuckers (altra band bolognese estrema e di avanguardia) di occuparsi della produzione artistica cosa che accetta di fare di buon grado pur non avendo precedenti esperienze.
Egle: “Andammo a registrare poco dopo la mia entrata, in estate, registrammo in diretta, con qualche sovraincisione come i rumori in “Stanze Vuote”, poco altro. Era un piccolo studiolo nel modenese specializzato in liscio, o quantomeno il grosso del lavoro veniva dai gruppi di liscio, ma si chiamava Rockhouse. Uno dei due tecnici non ne poteva più, il riff di “in nome di Dio” lo faceva diventare matto. Fu abbastanza scosso dall’esperienza, andammo lì perché ci avevano registrato gli Starfuckers, era vicino e abbastanza economico”.
Mimi: “un brano finiva con un larsen lunghissimo, il fonico dopo dieci secondi fermò il registratore: “basta con ‘sto larsen” e noi “no, porca puttana”. Li vicino c’era una coop, per pranzo ci facevamo fare i panini al salame e li mangiavamo nel parchetto, la sera tornavamo a casa”
Manuel Giannini: “non andammo in studio alla cieca, l’insieme era pronto, toccammo qualche cosina qua e là, il disco fu fatto tutto dal vivo, in due o tre giorni. In quegli anni si registrava tutto su nastro. Tant’è che il tipo ci chiese se volessimo comprare il nastro, perchè lui di solito conservava la registrazione per due o tre mesi e poi cancellava tutto per riutilizzarlo.”
Vittoria: “non lo comprammo e adesso chissà cosa ci sarà sopra. Ci chiesero 800 mila lire, ma nessuno di noi le aveva, ne’ avevamo qualcuno che potesse prestarcele. Tutto era scandito da quello che avevamo a disposizione”.

(Interviste tratte da “Tutto qui. La storia dei Massimo Volume” di Andrea Pomini edito nel 2010)

Evidentemente quel nastro non fu cancellato e in qualche modo i Massimo Volume sono riusciti a rientrarne in possesso dato che quello che dopo ventisei anni si è riusciti ad avere  in mano è la stampa su vinile e cd rimasterizzata da quel nastro, edita in uno splendido cofanetto in uno con la stampa in vinile di un concerto del 1994 tenutosi al Csoa ex anagrafe di Rimini, un documento emozionante nell’asprezza dei suoi suoni recuperati da qualche registrazione pirata che ci porta in casa l’entusiasmo, la carica e la determinazione di un gruppo pienamente conscio di avere intrapreso una strada unica.
“Stanze” apre il disco con un muro di riff in qualche modo debitore del noise americano (degli Helmet in particolare) ma quello che ci è innestato sopra è nuovo, perlomeno in ambito italiano. Il recitato ansiogeno di Mimi affiancato dalla voce di Vittoria è frontale e arriva dritto alle orecchie parlando di giorni vuoti e ripetitivi in ambienti chiusi.
“Insetti” è un ulteriore passo in avanti nella descrizione di un banale evento quotidiano che diventa metafora della condizione limitata in cui l’uomo si dibatte da sempre, pur se tende a dimenticarlo. La musica è tesa, i tom di Vittoria costruiscono tensione fino al momento liberatorio “……sfidando l’ira di Dio” che sfoga in una rabbiosa coda conclusiva.

A seguire arriva “Un sapore, tutto qui”, il momento di gloria di Vittoria che per la prima e unica volta nella storia del gruppo si cimenta nella recitazione di un testo che parla di nevrosi e di pensieri oscuri su un tessuto di chitarre chirurgicamente costruito da Sommacal e Ceci.
Dopo l’intermezzo che fa incontrare Webern e un ronzio urbano sotto il titolo”Sfogliando “l’amore e’ un cane che viene dall’inferno” parte uno dei cavalli di battaglia dei primi Massimo Volume, forse il pezzo maggiormente in grado di farti esclamare: “una cosa così io non l’ho mai sentita”.
“Ronald Tomas e io” o meglio “Roffe” per gli amici, poggia su un martello ritmico costruito da chitarra e cassa della batteria su cui Mimi snocciola in modo asettico il racconto autobiografico di tre studenti che si arrabattano in una vita ordinaria in una città altrettanto ordinaria. Il suono esplode, il lavoro delle chitarre è magistrale, riff tra il noise e il metal, feedback e arpeggi che costruiscono un atmosfera urbana dinamica, quasi violenta. La chiosa di Mimi che ricorda il proprio voto fatto cinque anni prima di non tornare più alla casa materna è lapidaria e memorabile.

“Vedute dallo spazio” segue aprendo nuovi orizzonti sonori atmosferici, tra slide acide e sgoccolii sinistri in un atmosfera inquietante che mette ancora una volta a confronto la finitezza e il limite dell’umano di fronte all’immensità dell’universo, il noise psichedelico che chiude il brano introduce l’altro classico per eccellenza dei primi live dei Massimo Volume: “Ororo” dall’attacco poderoso che si stempera in una semplice melodia chitarristica di quattro note che punteggia il brano mentre Emidio declama angosciato le parole di un altro testo autobiografico che cita momenti di vita vissuta o forse solo immaginata ( “è un sole che scende e diventa sangue, Tu, nella Kadett verde di Vittoria con tutta la mia collezione di dischi cacciata dietro aspetti me che immergo le mani fino ai polsi nel fango per ripartire diretti non so dove”)
Il brano più potente del disco è piazzato all’inizio del secondo lato della versione in vinile. Lo introduce il suono robotico creato dalla chitarra di Egle, un suono che evoca una sorta di alfabeto Morse, qualcosa di ingabbiato, di bloccato, di ripetitivo, di autistico. “Alessandro” racconta la malattia fisica e mentale e lo fa in un modo talmente potente che ogni volta, quando attacca “Ma ci sono pensieri che non riesce a trattenere…” provoca un brivido dalla nuca che cola per tutta la spina dorsale. Il testo è una delle cose più incisive e paradossalmente poetiche che Emidio ha mai scritto.
Mimi: “Quando ero a Calderara in servizio civile, al pomeriggio stavo in una biblioteca con annessa ludoteca frequentata da ragazzi. Alessandro era un ragazzo che non muoveva un lato del corpo e che passava lì tutti i pomeriggi e diventammo amici. Era molto impegnativo, arrivavo stanchissimo alla fine della giornata, portavamo i ragazzi in piscina e dovevo badare a lui per ogni cosa. Seppe del testo e ne fu molto orgoglioso”

Il blitz rapidissimo quasi metal di “15 agosto” suona quasi come un coitus interruptus, era in effetti parte della “Processione della Madonna dei Porci” uno dei cavalli di battaglia live del gruppo con Umberto Palazzo.
Arriva quindi il momento di “Stanze Vuote” sorta di angosciante labirinto in cui la mente si perde tra echi, sussurri, feedback lancinanti, che tolgono ogni riferimento. “Chiudiamo pezzi di vita dentro scatole, restano Stanze vuote”. E’ la descrizione di traslochi fisici come metafora di traslochi mentali, in quel momento in cui la mente è confusa mentre abbandona quello che eravamo senza ancora sapere quello che saremo.
Il riff matematico di “In nome di Dio” rimette le cose in ordine…..fin troppo in ordine nel suo andamento psicotico che sottende la narrazione di una scena di banale quotidianità -“allora comincia a pensare a come tutto possa esplodere all’improvviso e non resta altro che guardare i disegni sulle mattonelle del pavimento”- un quotidiano che diventa quasi paradossalmente epico nella frase conclusiva “….vorrei un paio di stivali proprio come quelli di John Wayne”
Il disco si chiude su “Tarzan” che torna a richiamare il suono noise statunitense come sfondo ad un testo che è un manuale di sopravvivenza.
Egle: “il mio testo preferito è Tarzan. La fotografia di una situazione di merda , che però da energia positiva. Nonostante il testo sia pesante ti da delle dritte per muoverti. Ma è strano perché ha due parti antitetiche, prima ti dice che “cambiare il corso delle cose è una regola che bisognerebbe darsi, non importa trovare qualcosa di meglio, basta qualcosa di differente”, poi invece che quando sei nella merda “è meglio non fare troppi movimenti perchè si va a fondo più lentamente”.
Mimi: “Me ne resi conto già mentre lo scrivevo Ma i due tronconi funzionavano insieme e lo lasciai cosi. Ero veramente una spugna, mi bastava vedere una puntata di Tarzan per trovarci qualcosa, riuscivo a catturare da quasi ogni cosa che mi passava di fronte la scintilla per mettermi a scrivere. Non credo di essere più cosi ricettivo”.
“Tarzan” sfocia in “Cinque Strade” un omaggio a Faust’O “aka” Fausto Rossi a creare un legame con una delle esperienze sonore italiane più di rottura del decennio precedente, un legame che si sarebbe rinforzato chiamando lo stesso Rossi alla produzione del successivo disco “Lungo I Bordi”, quello che fu lanciato in grande stile dal contratto major con la Wea, dalla storica copertina di Rumore condivisa con i La Crus, dal primo tour vero e proprio organizzato nei club di tutta Italia che mi diede l’occasione di vederli per la prima volta all’Usignolo di Castelnuovo del Garda.
Ma questo e’ un altro capitolo di una storia bellissima che, fortunatamente, continua forte ed emozionante oggi come ieri.

“Tutto qui “

Ettore Craca

"Nel suono, nella pagina, nel viaggio, nell'amore io sono. In ogni altro luogo e tempo non sono".