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Michael Kiwanuka – KIWANUKA

Michael Kiwanuka – KIWANUKA
Polydor 2019

Lo dico subito: KIWANUKA è il capolavoro che i due album precedenti dell’artista londinese di origini ugandesi avevano fatto intuire potesse arrivare. Servono pochi ascolti affinché il suo terzo album si riveli per quello che è davvero: uno dei dischi più belli che siano usciti in questo decennio. Merce rara di questi tempi, questo è uno di quei dischi che più lo si ascolta e più si scovano segreti e finezze. Bisogna lasciarlo decantare e poi affrontarlo nuovamente, tornarci periodicamente e ascoltarlo in condizioni diverse aiuta a comprenderlo.
Il precedente “Love and Hate” per approccio, suoni e arrangiamenti aveva dato una decisa sterzata a una carriera iniziata con il pregevole esordio intitolato “Home Again”. Quel disco conteneva delle bellissime canzoni ma aveva l’unico difetto di apparire un po’ impersonale per quanto era legato alle figure classiche della musica nera. Il rischio era farsi caricare sul carrozzone di artisti retro-soul dal quale sarebbe poi stato molto difficile scendere.
Il nuovo lavoro sembra concepito come un flusso di coscienza continuo, spesso le canzoni hanno una loro introduzione e una loro coda e quasi ogni brano sfocia in quello successivo; lo stratagemma ha la funzione di proteggere la canzone centrale come uno scrigno che ne svela la bellezza poco alla volta per poi richiudersi quando questa finisce. Succede per Piano Joint (This Kind of Love) che presa da sola è una magnifica canzone che rappresenta anche il corpo centrale di un trittico: completata dalla sua Intro e dalla successiva Another Human Being che ne è la coda, si ha una mini-sinfonia soul che incorpora elementi tipici dell’Isaac Hayes più lussurioso, del Terry Callier mentre inventava Tim Buckley, e del Billy Paul più psichedelico. Succede anche per il singolo Hero che inizia come una demo registrata su un nastro traballante per poi svilupparsi compiutamente davanti alle nostre orecchie.
Non so se tra gli ascolti di Michael Kiwanuka oltre ai mostri sacri del funk e del soul vi siano le colonne sonore di film italiani degli anni ’70 e certa library music. Di certo è materia conosciuta da Danger Mouse, qui (insieme a Inflo) nuovamente in veste di produttore e in passato autore in proprio di un album come “Rome” che da quei generi attinse abbondantemente. In “Kiwanuka” riesce a dosarne perfettamente gli ingredienti che aggiungono insospettabili nuances al boquet di un suono che già di suo è uno spettacolo. Profumi e aromi che vengono sparpagliati un po’ dappertutto, chi è un po’ allenato può facilmente riconoscere alcuni degli stili cari ai vari Cipriani, Micalizzi, Trovajoli, ai De Angelis e, naturalmente, Morricone. Di questi sentori ne sono intrisi i brani dalla natura più cinematica come i minuti introduttivi di Hard to Say Goodbye, gli archi di Light e i cori di Piano Joint, ma incredibilmente lo sono anche i pezzi più ritmati (la sezione ritmica ha del miracoloso lungo tutto il disco), come lo scenografico ponte Italia-Africa dell’iniziale You Ain’t the Problem, miscela esplosiva di Motown e Cinevox e il lounge-soul Living in Denial.  Non voglio rovinare la sorpresa a coloro che ancora non hanno ascoltato il disco, ma non posso evitare di citare alcuni veri capolavori. Lo sono certamente Final Days, brano dal testo piuttosto deprimente (Such a heavy load, You know I really need a friend, You should walk with me, We belong in these Final days on the planet, Here we are, on the ground Every day, automatic Here we are, goin’ ‘round) e la sua meravigliosa coda Interlude (Loving the People), strumentale che introduce Solid Ground. Lo sono i quasi sei minuti della conclusiva Light, summa e compendio di tutto il disco dove le idee sviluppate durante il resto dell’album sono qui riassunte: l’arrangiamento dei cori, l’espressività degli archi, il lirismo del solo di chitarra fanno venire voglia di riportare la puntina sui solchi della prima canzone.
Se le alchimie sonore sono di un livello altissimo i testi non sono da meno e viaggiano sui piani dell’introspezione (My oh my, it’s bad enough, Could you stay with me, Don’t let me go Sadness and fury is all I knowPiano Joint) e della consapevolezza politica (Please don’t shoot me down love you like a brother It’s on the news again I guess they killed anotherHero; And for the first time The community was confronted with Negroes In places where they had never been Another Human Being).
Questo è un album con cui anche l’autore stesso si troverà a doversi confrontare, l’asticella è stata portata a una tale altezza che sarà per lui molto difficile poterla superare.
Il dipinto in copertina ritrae l’artista abbigliato e acconciato come un vero grande Re africano, Michael Kiwanuka è da quest’anno l’autore di uno degli album più belli di sempre per cui se lo può davvero permettere.

Roberto Remondino

"Wishin' and hopin' and thinkin' and prayin' Plannin' and dreamin' each night of her charms That won't get you into her arms So if you're lookin' to find love you can share All you gotta do is hold her and kiss her and love her And show her that you care".