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Travelin’ Thru: The Bootleg Series Vol. 15 1967 – 1969 (1 di 2)

Tracking Dylan in cash country

L’avventura delle Bootleg Series di Bob Dylan partita nel 1991 con “The Bootleg Series Vol. 1 – 3 1961-1991” negli ultimi anni ha preso velocità. “Travelin’ Thru” segue “More Blood, More Tracks” dello scorso anno, “Trouble No More” del 2017 e “Cutting Edge” del 2015. “Travelin’ Thru” è un documento toccante che ci ricorda la grande affinità musicale tra questi due giganti, il rispetto che avevano l’uno per l’altro e la loro forte integrità artistica. E ci rammenta la rilevanza della nascita del country-rock nell’espansione sociale e politica degli Stati Uniti.
Nel settembre del 1969 Merle Haggard pubblicò la canzone “Okie from Muskogee”. Nel testo Haggard esaltava i principi tradizionali di ogni buon americano dritto in faccia alla Summer of Love, gli hippies e i movimenti della controcultura. “We don’t smoke marijuana in Muskogee/We don’t take our trips on LSD/We don’t burn our draft cards down on Main Street/We like livin’ right, and bein’ free.”
Poche settimane prima a Bethel, nello stato di New York, si era tenuto il Woodstock Music and Art Festival. E questa è storia nota.
Due cittadine, due opposte culture. Lo stesso paese, gli Stati Uniti.
Negli anni Trenta, la sinistra aveva il suo troubadour in Woody Guthrie; alla fine degli anni Sessanta, la destra aveva Merle Haggard. Così lo stesso anno in cui la Woodstock Nation si crogiolava in amore, erba e fango, gli strateghi repubblicani fecero di Haggard materia calda. La coscienza di classe era sempre stata debole nella musica country, ma il suo nuovo populismo rendeva il genere, normalmente sprezzante, più sensibile e ostile allo sradicamento della tradizione che tendeva essere ancorata più all’idea di nazione che al mercato. Il nuovo atteggiamento del paese, la “ribellione redneck”, stava riformulando l’iconografia politica americana. Le tensioni tra, da un lato, l’anelito alle radici e al passato e, dall’altro, il vortice della modernità, diedero alla musica country un’identità politica attraente, ribelle seppur conservatrice.
Nell’immaginario pubblico, luoghi come Muskogee, Oklahoma, si erano trasformati in un contrappunto politico e territoriale a Woodstock. Uno era sudista, occidentale, maschile, operaio e bianco, l’altro era nordista, orientale, radicale, ricco e multiculturale. L’uno beveva whisky, l’altro fumava droga; l’uno per Richard Nixon, l’altro per George McGovern.
Se Muskogee era country, Woodstock era rock. Allora quella cosa chiamata country-rock avrebbe potuto esserne la sintesi dialettica. Secondo Jann Wenner, fondatore di Rolling Stone, il country-rock era diventato la musica della riconciliazione, un tentativo di colmare il divario tra la sinistra rock e la destra country, tra i segnali del movimento giovanile e il mondo operaio. Al di là delle generalizzazioni e dei massimalismi, la tendenza del rock a incorporare banjo e armonie bluegrass divenne un totem dell’identità americana.
L’artista avrebbe lavorato per la nazione, non per un movimento o una élite culturale. Nonostante tutte le doverose critiche liberal alla cultura redneck, niente come il country-rock esplorò il fallimento della sinistra americana nel creare una sintesi culturale alternativa che potesse attrarre anche la classe operaia bianca. La ricerca di autenticità aveva fallito, la generazione di Port Huron, documento che dal 1962 era il riferimento della controcultura americana, era crollata di fronte alla politica formale. Da quelle macerie era emersa una liberazione culturale individuale più realizzabile seppur limitata.
La sintesi era vecchia almeno quanto Hank Williams, tuttavia, il filo rosso che attraversava la Sun Records fino a “Nashville Skyline” di Dylan, arrivò alla definitiva maturità quando nel 1969 Bob Dylan con Johnny Cash apparve a Nashville sul palco del Grand Ole Opry. Nel frattempo, i “Basement Tapes” (registrati nella Red Room della Big Pink, proprio a Woodstock) nel 1967, avevano evidenziato l’avanzata di una generazione che aveva ormai rinunciato alla politica. Dylan era finito in un vuoto culturale.
Il suo percorso negli anni Sessanta era stato, per la sua gran parte, il ritiro da ciò che egli vedeva come paese e mondo reale verso il connubio tra una politica dell’innocenza e l’autenticità personale. Il country-rock raggiunse l’apice con gli album di Gram Parsons e con i “revenant” texani degli anni settanta (Mickey Newbury, Townes Van Zandt, Guy Clark). Negli primi anni settanta Jerry Garcia dichiarò: “Siamo, in linea di principio, parte della scuola di Buck Owens e Merle Haggard.”. E nel 1971 proprio i Grateful Dead sul palco del Fillmore East suonarono “Okie from Muskogee” con i Beach Boys.
Così emersero in modi diversi tutte le frustrazioni.
L’album d’esordio di Bob Dylan fu pubblicato negli Stati Uniti il 19 marzo 1962, ma non fu un successo. Come interprete di classici del folk e del blues, Dylan era già un artista piuttosto noto, ma la sua scoperta e lo sviluppo della sua forma artistica non aveva ancora raggiunto i risultati desiderati. I signori della Columbia, che avevano comunque apprezzato il nuovo puledro della scuderia di John Hammond, si erano irritati per i dati di vendita piuttosto modesti. Ma proprio in quella circostanza Dylan ricevette un aiuto inaspettato: Johnny Cash. Cash lo difese e nel 1964 scrisse una famosa lettera a “Broadside”, difendendo Bob proprio quando cominciava a palesarsi la sua svolta elettrica. “Shut up and let him sing!” era il messaggio di Johnny. E lo stesso anno consegnò a Dylan la sua Martin, la prima volta che si incontrarono, al Newport Folk Festival.
“Johnny wrote the magazine to shut up and let me sing, that I knew what I was doing. This was before I had ever met him, and the letter meant the world to me. I’ve kept the magazine to this day.” (Bob Dylan)
Molti anni dopo, nel 1999, Bob Dylan apparendo a un concerto tributo per Cash cantò una sentita “Train of Love”, e introducendola, in modo commovente, ringraziò Johnny per averlo difeso.
Si erano incontrati nel 1966, duettando su “I Still Miss Someone”. Cash aveva già registrato diverse canzoni di Dylan, tra le quali “Don’t Think Twice, Its All Right”. E quando Dylan si rivolse alla musica country, Cash lo accompagnò nel regno del country. Non si trattava di un’epifania per Dylan. Già nel febbraio del 1966 aveva terminato a Nashville le sessions di “Blonde on Blonde” e aveva vissuto e respirato musica country fin dall’infanzia, ascoltando Hank Williams, Jimmie Rodgers, Ernest Tubb. La registrazioni di “Blonde On Blonde” a Nashville erano già state una mossa coraggiosa, ma con “John Wesley Harding” e “Nashville Skyline” Dylan fece un ulteriore passo in avanti.
Il tempo intercorso tra “Blonde On Blonde” (1966) e “John Wesley Harding” (1967) non fu poi così lungo, ma sia nella voce, sia nei testi lo stile è molto diverso. Se “Blonde On Blonde” terminava con la lunga “Sad-Eyed Lady of the Lowlands”, “John Wesley Harding” finiva con i tre versi brevi e concreti di “I’ll Be Your Baby Tonight”. Il cambiamento nello stile divenne ancora più radicale su “Nashville Skyline”.
Cosa accadde veramente nel 1967-1969? Il viaggio di Dylan a Nashville in autunno, portò a “John Wesley Harding”, uscito il 27 dicembre. “Nashville Skyline” fu registrato in febbraio e pubblicato il 9 aprile 1969, Dylan viveva ancora a Woodstock con la sua famiglia. L’apertura di “Nashville Skyline” fu naturalmente il duetto di “Girl From The North Country” con Cash, ma questa fu solo una delle tante canzoni che Johnny e Bob registarono in studio.
Il duetto dei due nel programma televisivo di Cash, il Johnny Cash Show, è ancora oggi leggendario. L’icona della cultura di protesta e il bardo del conservatorismo bianco che insieme fanno musica, era una chiara dichiarazione politica. Nonostante la guerra in Vietnam, nonostante la controcultura, l messaggio era chiaro: l’America era grande, non doveva separarsi.
Dopo la morte di Cash nel 2003, Dylan in una intervista a Rolling Stone dichiarò: “Mi è stato chiesto di lasciare una dichiarazione sulla scomparsa di Johnny e ho pensato di scrivere un brano intitolato “Cash Is King”, perché questo è il modo nel quale veramente lo percepisco. In parole povere, Johnny era ed è la mia stella polare; potresti farti guidare da lui – il più grande dei grandi di allora e di oggi”. Più tardi, approfondì il concetto su “Chronicles”: “I Walk the Line era una canzone che avevo sempre considerato in cima, lassù, una delle più misteriose e rivoluzionarie di tutti i tempi, una canzone che attacca tutti i tuoi punti più vulnerabili, parole taglienti di un maestro. Quando sentii per la prima volta Walk the Line, suonava come una voce che gridava: “Che ci fai lì, ragazzo? Spalanca i tuoi occhi”.

 

Riccardo Magagna

"Credo in internet, diffido dello smartphone e della nuova destra, sono per la rivalutazione del romanticismo e dei baci appassionati e ho una grande paura dell'information overload"