Tra celebrazione e festa, i Marlene Kuntz si fanno in due – 30:20:10 MK LIVE @Phenomenon
“Forse, davvero, ci piace, sì ci piace di più…”
Che Cosa Vedi quando ti volti a guardare il tuo passato? Spesso un lungo cammino, fatto di sfumature multicolori che vanno dal nero dei momenti peggiori, al Bianco (Sporco) di quelli più felici.
Trent’anni. In genere, per un essere umano rappresentano la raggiunta piena maturità, il momento in cui tutte le esperienze vissute e le conoscenze acquisite nel tempo diventano substrato per arrivare finalmente a mettere in atto i sogni o i progetti coltivati durante gli anni della giovinezza. Per una coppia, invece, è un periodo di tempo piuttosto consistente, un lasso di tempo più che sufficiente per imparare a conoscere alla perfezione ogni aspetto interiore, ogni più piccola mania, tutti i più fastidiosi piccoli difetti così come tutte le più emozionanti piccole qualità (che, se amor accompagna, a volte coincidono pure) che compongono la figura del proprio compagno (o compagna) di vita.
‘Trent’anni’, da qualsiasi angolazione lo si guardi, è un periodo lunghissimo, enorme: eppure può capitare che – una volta passato – si abbia l’impressione che sia durato poco più di un respiro, un lieve sussurro scivolato a fior di pelle. “Poi ti volti a guardarli e non li trovi più” cantava De Gregori in ‘Buffalo Bill’, riferendosi però ai vent’anni. Ma c’erano pure quelli ieri – i vent’anni – compresi nel prezzo delle rughe sparse sui nostri volti e assorte (come noi) ad ascoltare, e sparpagliate nella sapienza delle loro mani e nel ruvido calore delle loro voci, che ci incantavano dal palco. I venti anni di “Ho ucciso Paranoia”, terzo album dei Marlene Kuntz, sono la premessa – ben più che il presupposto – del tour autunnale dei quattro rockers cuneesi (più uno ormai d’adozione) che dopo la tappa cesenate di ieri, toccherà ancora sette città italiane. In totale, dieci tappe, così come dieci sono gli album registrati in studio durante la loro carriera: di qui il nome del tour, “MK 30/20/10”, che è una festa (non assolutamente ‘mesta’) ben più che una celebrazione; e chi si aspettava di vedere i ‘Marleni’ per la prima volta spenti dopo i quasi 1600 concerti della loro lunga – ma, speriamo tutti, ancora in divenire – carriera, ha dovuto e dovrà ancora ricredersi: Vile lui e chiunque non c’è stato. Perché a Fontaneto D’Agogna, in un Phenomenon carico di musicali aspettative e roboanti certezze, si è vista una band in tiro assoluto, un autentico meccanismo oliato da umanissimo lubrificante musicale e ben provvisto di batterie cariche di acustico litio e di elettrico cadmio: un piacere per orecchie, occhi, pelle e sangue.
Un sangue – quello dei fan presenti – purificato da una prima parte acustica (un set di 8 brani pescati in maniera assolutamente non casuale dalla loro produzione musicale, più la recentissima versione di “Bella Ciao”) che, come fosse quindi una terapia Catartica, ha trasportato a ondate, da cervello a cuore, le liriche cantate da un Cristiano Godano certamente molto ispirato, e in gran forma. Intorno a lui, i suoi amici di sempre: alla sua destra Riccardo Tesio – monolitica certezza fatta chitarrista – e alla destra Luca Bergia – schiaffeggiante collante ritmico fatto di pelle e acciaio. Loro, i tre moschettieri, decani di un gruppo che in trent’anni ha regalato – a migliaia di seguaci cresciuti, maturati e invecchiati con loro – brani di metallo pesante così come pezzi lirici, carichi di una poesia musicale ossigenante e quasi Senza Peso.
Nel primo set, il filo che ci trasporta da ‘Lieve’ (primo brano della serata) a ‘Musa’ (ultimo prima della pausa e del set “ad alto volume”) è teso tra capi immaginari e legato a due delle colonne portanti della loro musica: arte e libertà. In mezzo, la grande sonora passione dei Marlene, completata e incorniciata egregiamente dal basso poderoso di Luca Lagash, e da tutti gli strumenti (immancabile violino compreso) di un sempre più che perfetto Davide Arneodo.
E la libertà e la lotta avverso la sua negazione – che, come racconta Cristiano tra un brano e l’altro, è destinata a soccombere sotto i colpi dell’arte e del suo fiero diritto ad essere futile – sono proprio nella trama e nell’ordito di quel filo sopra il quale i nostri cinque cavalieri camminano in perfetto equilibrio. Poi una pausa, più che doverosa e quantomai corretta, per lasciare che quelle note così dolci scorressero giù per i nostri padiglioni auricolari. E si riprende quindi con la seconda parte, l’altra faccia di una band che, in realtà, mostra finalmente il suo spirito primigenio. Quello fatto di puro, autentico rock. Ed è quindi il momento in cui eseguono quasi tutti i brani di ‘Ho ucciso Paranoia’. O meglio, tutti tranne Uno: Il Naufrago (e chissà perché, visto che nella rumorosa festa ci sarebbe stata alla stragrande).
Si passa dalla stupenda “L’odio migliore” alla evocativa “Infinità”, per arrivare agli ultimi due brani dell’album (“In delirio” e “Un sollievo”), non senza però ricordare che a scriverle, eseguirle e suonarle in tour con loro, venti anni or sono, c’era Dan Solo. E prima di avviarsi alla fase conclusiva dei festeggiamenti, tra le note progressive e armoniche della loro classica versione di “Impressioni di settembre”, Godano ci tiene a sottolineare che di certo trent’anni potrebbero essere molti – forse addirittura troppi – per tutti, ma non per loro: sono ancora in piedi, e se ne hanno viste tante insieme, e sono ancora lì pieni di passione a coinvolgere tutti con la loro musica, allora non c’è dubbio: squadra che suona (e vince) non si cambia.
E forse è anche un modo per esorcizzare quel messaggio ambiguo, quel “(dopo) Si cambia pagina…per sempre!” (che però stride ancora un bel po’ nelle mie orecchie di fan invecchiato assieme a loro) lanciato via etere poco prima dell’inizio del Tour. Ma tant’è: c’è ancora il tempo per infilarci nei Ricoveri (non) virtuali che sono gli ultimi scaletta, quei brani che non possono mai mancare, quelli che puoi tenere con te, nei tuoi occhi, nelle orecchie: Nella tua luce personale, anche a fine concerto.
Quando arriva il momento di “Sonica” sai già che il sipario sta per scendere: “è la nostra canzone manifesto”, come dice Godano nel suo libro uscito da pochi mesi. Che si conclude con una coda distorta, un ultimo gioco elettronico tra le pedaliere, un vero ‘rumore d’amore’. Si finisce con un abbraccio, fisico, reale: e ad essere sinceri, anche il qui presente non ha potuto fare a meno di chiederne alcuni per sé. Siamo cresciuti insieme, loro, la loro musica, ed io. E pur se il rock mantiene giovani, io questi trent’anni e questi dieci album, me li sento tutti addosso: e voglio che lì rimangano tutti, non un brano di meno. Un consiglio però, a voi che leggete, mi sento di darvelo: andateci anche voi, alla loro festa. Perchè non è detto che, per il prossimo album e tour dei Marlene Kuntz, non possa doverci volere una Lunga Attesa.