Fate caso alle parole
Nulla determina chi diventeremo come quelle cose che scegliamo di ignorare.
(Sandor McNab)
Bisogna assomigliare alle parole che si dicono. Forse non parola per parola, ma insomma ci siamo capiti.
(Stefano Benni)
“Almost everything could be forgotten
Right thoughts, right words, right action”
(Franz Ferdinand, “Right thoughts, right words, right action”)
Saper scegliere è spesso molto più importante del ‘saper fare’: soprattutto quando la scelta riguarda le parole. Se poi le parole che si scelgono non sono le proprie, allora l’attenzione che bisogna metterci va moltiplicata, e – in quel caso – la concentrazione dovrebbe andare ben oltre l’annoiato sbadiglio con cui quella scelta viene condita. Vale lo stesso concetto che bisogna considerare quando si scelgono le canzoni da dedicare.
Vi faccio un banalissimo esempio: ancora oggi c’è chi dedica alla sua amata (o amato, visto che l’incapacità di scegliere il brano giusto è carenza unisex) la canzone “The Blower’s Daughter” scritta e cantata da Damien Rice. Non mi preme qui, adesso, stare a valutare la bellezza o meno della canzone in questione: ammetto che possa piacere, nonostante non sia assolutamente il mio genere di canzone d’amore. Il fatto è che la canzone, che durante il testo ripete chiaramente le parole “I can’t take my eyes off you”, viene spesso dedicata proprio per quelle parole: ‘mi è impossibile toglierti gli occhi di dosso’, o una cosa del genere. Sembra la scelta migliore che si possa fare, soprattutto quando l’amore incendia lo stoppino della vostra anima, vero? In effetti, invece, non è così. Perché andando avanti nella canzone, che prosegue a spron battuto su concetti come “la brezza che abbiamo dimenticato” e “le acque più fredde” arriva poi ad una conclusione che nessuno – di solito – valuta: ed è esattamente l’ultima frase, tra struggimenti e sospiri, quella che chiude la canzone e tronca (o per lo meno, dovrebbe farlo) ogni possibilità di dedica ad un amore ancora vivo e in piedi: “I can’t take my mind… My mind, my mind…’Til I find somebody new.” ‘Finché non mi troverò qualcun’altra’. Capite bene che, nonostante la primissima impressione che la canzone suscita sia quella del distillato di romanticismo, dire alla persona che si aspetta da noi per lo meno una scelta appropriata di un brano “fino a quando non me ne trovo un’altra” non è esattamente il concetto più adeguato da sussurrarle.
Ecco, per la scelta delle parole – soprattutto quando appartengono a qualcun altro – vale la stessa cosa. Perché l’incapacità di scrivere in autonomia è ancora perdonabile, soprattutto in tempi come questi fatti di correttori automatici, compilatori, wikipedici millantatori, bot casuali e analfabetismo di ritorno; ma l’inettitudine nella scelta dei brani, quella no. Non è cosa emendabile così facilmente. È roba da essere rimandati alle scuole, quelle dell’obbligo: dove, fra la risoluzione di una equivalenza, una interrogazione di inglese di base e la ripetizione delle ere preistoriche, ti insegnano nuovamente a parlare, scrivere e a fare attenzione. Senza ricreazione, stavolta.