Top Stories

I Mostri, quelli belli.

(R.E.M., “Monster”, pubblicato il 27 settembre 1994)

Venticinque anni fa. A dirlo ora fa un po’ impressione perché ripensi a quando eri giovane, con “tutta la vita davanti”, prima che questa espressione accompagnasse la generazione successiva.
I R.E.M., gli amatissimi ragazzi di Athens, Georgia, i sudisti meno southern di sempre, hanno alle spalle una sfilza di capolavori, una discografia impeccabile. Due anni prima hanno pubblicato “Automatic For The People”, mirabile sintesi di tutti i generi espressi in precedenza e degno successore del loro vero e proprio “breakthrough” nel mondo del pop universale: i fans si chiedono come potranno fare di meglio, tutto il mondo vuole ancora singoli di successo.
Il 5 aprile del 1994 Kurt Cobain si spappola il cervello con in colpo di fucile.
Quei quattro, novelli “Fab Four”, ne rimangono sconvolti.
Peter Buck e Michael Stipe sono suoi amici, non si sono solo incrociati qua e là, abitavano fianco a fianco con lui, Courtney e la loro bimba a Seattle, mentre la band registrava lì i suoi gioielli. Michael cercava di tenerlo lontano dall’eroina, gli organizzava session con gruppi estemporanei, ma in quel periodo d 1994 era dall’altra parte degli States, a Miami.
Le registrazioni del nuovo disco ne risentiranno indelebilmente, a partire dall’utilizzo delle chitarre di Kurt per ottenere un suono più duro, più “rock”, rispetto al recente passato.
“Monster” nasce così, tutto avviluppato a protezione di Let Me In, la ballata nella quale Stipe riversa tutta la propria frustrazione per non essere stato in grado di penetrare lo strato difensivo, la corazza che il tossico pone a protezione del proprio atteggiamento autodistruttivo:

“Avevo il animo di cercare di fermarti
Fammi entrare, fammi entrare
Ma i miei piedi sono impantanati nel catrame e non riesco a vedere
Tutti gli uccelli guardano in basso e ridono di me
Che, goffamente, tento di strisciare fuori dalla mia pelle
Ehi, fammi entrare
Fammi entrare”

Il “Mostro” è quello dell’incomunicabilità, lo si avverte già da “What’s The Frequency Kenneth?”, una delle più efficaci opening track della storia (ma in questo i R.E.M. sono maestri, da sempre), pubblicata come primo singolo e memorabile nella sua cantabilità, elemento che contraddistingue tutti i brani del disco, ma capace di ispirare riflessioni sul tema.
L’album debutterà direttamente al numero 1 delle classifiche statunitensi (ma anche in altri sei o sette Paesi) e produrrà ulteriori singoli, commercialmente vincenti e artisticamente altrettanto: Bang And Blame, Strange Currencies e lo spettacolare esercizio Motown-soul di Tongue.
Le liriche sono attinenti al titolo: dicevamo del mostro dell’incomunicabilità, ma questa deriva dal disagio di essere assurti a una notorietà planetaria, l’appartenere allo stardom, il dover fare i conti con le pressioni causate dalla celebrità (King Of Comedy; Star 69; Circus Envy).
Di chi potersi fidare? Come ti vedono, ora, i vecchi amici? Brutta bestia, questo Mostro, se non fai attenzione alla sua gestione.
Puoi tentare di salvarti col trucco (Crush With Eyeliner), o sostituendoti ad altri (I Took Your Name).
E, sopra a tutto e in chiusura, la ricerca di un affetto puro e stabile rappresentata da You, ultima in scaletta e non a caso.

Da sei anni mancavano dalle scene, i georgiani, e il tour mondiale sembrava irrinunciabile. Verranno anche a Torino, in una data che non sarebbe stata memorabile (tranne che per me, essendo funestata da un lutto famigliare di poche ore precedente che mi avrebbe condizionato e reso amaro l’incontro con quelli che consideravo degli amici), soprattutto per motivi di acustica, irritante per la band e per gli spettatori, tanto che in molti ancor oggi ritengono migliore la performance dell’opening act, i Grant Lee Buffalo, freschi di pubblicazione di “Fuzzy”.
Ma la tournée rimarrà memorabile anche per il pesante tributo richiesto: tre membri del gruppo sarebbero stati ricoverati, in momenti diversi, per vari disturbi, finché Bill Berry, il più seriamente colpito (aneurisma cerebrale), subito dopo le registrazioni di “New Adventures In Hi Fi” si chiamerà fuori e i R.E.M., a partire da “Up”, diventeranno qualcosa di diverso.

Rimarrà altissimo il livello: anche il minore dei loro album, qualunque sia quello che ritenete tale, è comunque più che degno di nota.
Ma, soprattutto, avranno il coraggio di dire basta prima di diventare la cover band di se stessi.
E ditemi quanti ne conosciamo, così.
Ah, sì: quegli altri quattro.

 

Massimo Perolini

Appassionato di musica, libri, cinema e Toro. Ex conduttore radiofonico per varie emittenti torinesi e manager di alcune band locali. Il suo motto l'ha preso da David Bowie: "I am the dj, I am what I play".