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“Funeral”. Cioè, resurrection

“Molti calendari moderni guastano la dolce semplicità delle nostre vite col ricordarci che ogni giorno che passa è l’anniversario di un qualche evento perfettamente privo di interesse.”
(Oscar Wilde)

Il passato non è un pacchetto che si può mettere da parte.
(Emily Dickinson)

“And we take
What we like from them
And then say
“What do you want from me?”
(The Strokes, “Oblivious”)

Con mio grande disappunto, mi sono accorto ieri sera – troppo tardi per festeggiarlo almeno con una decente Rockanotte – che era appena passato l’anniversario di un album straordinario di un gruppo decisamente fuori dell’ordinario, così capaci da far innamorare della loro musica pure un artista del calibro di David Bowie. Alcuni di voi a questo punto avranno certamente capito che sto parlando degli Arcade Fire, e del loro “Funeral”. In album che, se non avete nella vostra collezione, dovreste correre oggi stesso a comprarlo. Ondarock ai tempi dell’esordio dell’album lo definì come l’apoteosi di “Quindici musicisti: voci, basso, chitarre, piano e batteria dominanti, ma archi, fisarmoniche, xilofoni e synth ben presenti a costellare le melodie e ad accatastarsi nell’horror vacui di queste dieci, stipate, stanze sonore.”.
Ad ogni modo, mentre mi autoriproveravo stancamente (vista l’ora tarda) per la mia deplorevole disattenzione, ho iniziato a ragionare su questi 15 anni passati dalla sua uscita. Un periodo che non è passato lasciando indenne la loro musica – diventata negli anni sempre meno corale, sempre più estrema in alcuni accenti elettronici – né tanto meno me stesso. Normalmente, ripensando ad un periodo così lontano da sé stessi, si tende a cercare di ricordare (non senza una buona dose di nostalgia) dove si potesse essere e cosa si stesse facendo. Ieri notte invece la domanda che mi è subito balenata in mente è stata che tipo di persona fossi 15 anni fa. E a ritornare a quel periodo – e a quel passato – ho ritrovato non una persona diversa (magari con meno capelli e decisamente meno pancia, più sogni e aspirazioni, più finte certezze e vuote ambizioni fini a sé stessi) ma assolutamente un’altra persona.

Non mi sono riconosciuto in quello che sono adesso, quasi fossi il riflesso in uno di quegli specchi magici che si trovano nelle attrazioni da circo, e che storpiano ridicolmente la tua persona portando a ridere te e coloro che ti accompagnano. Solo che a ridere nel vedere ciò che ero questa volta, diversamente da ciò che succedeva in un passato nemmeno troppo lontano, era il me stesso di adesso. È confortante la sensazione di un risveglio, in certi casi: simile a quella che si sente quando ci si tira su dal letto in un giorno di vacanza, con la prospettiva di una ricca colazione ed una bellissima spiaggia non affollata ad attenderci. Se si riesce a portarsela dietro istante per istante e giorno per giorno, rimane l’impressione di essere ritti in piedi a guardare la fine di un film capo né coda. Una specie di ‘Funerale’. Ma molto, estremamente, indiscutibilmente più sorridente: tipo una resurrezione.

Stefano Carsen

"Sentimentalmente legato al rock, nasco musicalmente e morirò solo dopo parecchi "encore". Dal prog rock all'alternative via grunge, ogni sfumatura è la mia".