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Luca Morino ritorna pioniere nel suo “DeWest”

«Un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via. Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra c’è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti».

In questo famosissimo pensiero estratto da “La luna e i falò” – romanzo eccezionale e ancora perfettamente attuale vergato nel secolo scorso dal langhigiano Cesare Pavese – sono racchiuse così tante sfumature di senso, immagini mentali e concrete, e possibilità semantiche, da costituire esso stesso un racconto nel racconto.
C’è quel senso e quella voglia di appartenenza, che consente di non smarrire mai il proprio ‘Io’ anche quando si è persi in mezzo al mondo; ma c’è anche la voglia di andarsene, di troncare quel cordone ombelicale che – se pure ‘nutre’ e lega, e rassicura e abbraccia – può anche arrivare a stringere così tanto da ‘strozzare’ ogni voglia di crescita racchiusa in noi. C’è poi anche una volontà di rimanere legati alla terra, nel senso agricolo del termine, di essere parte di un tutto panteistico da cui trarre nutrimento per lo spirito, in cui rimanere saldi anche nella tempesta, in cui ramificare radici così lunghe e forti da riuscire a comprendere il mondo intero; o, per lo meno, buona parte di esso.
Certi ritorni non sono sconfitte: e sebbene chi parte, e dice addio, spesso lo fa per emanciparsi e ricominciare, ritornare sui propri passi a volte è segno di maggior comprensione, di coscienza, di sapienza del vissuto e – per questo – di scelta consapevole e vivificante.
Cammini nuovi ma non troppo, insomma: ‘nuovi’ corsi impiantati su sentieri conosciuti, ma valevoli di una nuova esplorazione.
In un certo senso – personale e consapevolmente ricercato e percorso – è quanto ha cercato di fare il torinese (ma ormai moralmente langhigiano) Luca Morino, nel suo nuovo progetto solista DeWest: un viaggio che ha valore di un ritorno, ma anche una permanenza che porta nel suo spirito il senso di un ‘nuovo percorso’.
‘Pionieri’, insomma, ma in un senso del tutto inconsueto.
“I nuovi pionieri sono diventati coloro i quali scendono dai propri mezzi, che rallentano, che cercano il silenzio (anche quello dei dispositivi elettronici, ndr), che riesplorano a piedi luoghi che credevano conosciuti, ma che nella realtà – visti a velocità rallentata – presentano ancora parecchi lati singolari e inesplorati. In questo rivisitato “elogio della lentezza” si può ritrovare anche un nuovo senso pioneristico della vita” indica Luca Morino, che – ironia della sorte – incontro telefonicamente proprio mentre, fermo ad un distributore, sta facendo benzina alla propria auto.
Già fondatore, autore e cantante dei Mau Mau, Luca Morino con DeWest è al suo terzo progetto solista, nuova tappa di una già lunga carriera iniziata nei Loschi Dezi ormai più di 40 anni fa. Un viaggio nel lontanissimo West, che per un viaggiatore torinese quale è Luca può benissimo essere individuato in quell’Ovest piemontese che è l’Alta Langa; in mezzo a grandi vigne e colline ci si può ritrovare in un mondo ‘antico’, immersi in tradizioni dal sapore quasi misterioso, poco “fashion” e di certo ormai inusuale. Una realtà presente ed esistente, ma così occultata dalla realtà attuale, da riuscire a compiere un intero movimento di rivoluzione attorno alla luce abbagliante della modernità, ammantandosi così di un sapore di novità.
DeWest nasce proprio da questa voglia di uscire dalla confusione, e cercare quasi un nuovo silenzio (scientificamente ricercato ad esempio da Gordon Hempton – le cui ricerche ad un certo punto Luca mi cita, proprio a suffragare la propria ricerca di una nuova via, di un nuovo linguaggio musicale – un ecologo americano che da oltre 30 anni gira il mondo per mappare i suoni del nostro pianeta e  ricercare il silenzio, quello più raro in natura).
Particolare che un musicista sia così affascinato dal silenzio; ma forse nemmeno troppo, se si vede in questo proprio la perfezione di un ‘suono’ che è assenza di rumori e fruscii: risultato di una voluta inazione, che è quasi la stessa che si incontra ad un certo punto nel “vecchio” del testo di Visi Pallidi: “C’era un grande polverone, una troppa confusione. Solo un vecchio si abbronzava”.
Fermarsi diventa quasi un manifesto programmatico, e forse lo è anche un po’ proprio all’interno del brano in questione, forse quello un po’ più ‘politico’ (nel senso allargato e non deteriore del termine) di DeWest. “Se vogliamo, quel ‘vecchio’ è paradossalmente quasi lo stesso che si può ritrovare nella figura dell’eremita dei tarocchi, un saggio che cammina con la lanterna in mano, che non si capisce se stia andando in avanti alla scoperta di qualcosa, o indietro alla ricerca di qualcosa che non c’è più”.
In questo sottobosco culturale si muove l’album, un progetto la cui idea è sorta 4 anni fa in quell’ormai lontano sabato 14 novembre del 2020;  pieno periodo Covid, quando l’unica formula che il teatro poteva proporre era quella dello streaming, e laddove Luca Morino decise di lanciare nell’etere “Dewest – Deserti immaginari per lupi solitari“, uno studio musicale e sonoro tra Langhe e Arizona, sul tema della solidarietà e sulla trasfigurazione dell’immaginario generato dai topoi letterari e musicali contenuti nei celebri spaghetti western.
Un concerto di circa 25 minuti in cui la sua voce risultò immersa in un paesaggio sonoro di suoni elettronici e registrazioni sul campo, e sulle cui ‘ceneri’ nacque l’idea di questo album. Lavoro le cui referenze si possono ricercare anche nel mito del cinema di Sergio Leone e e Werner Herzog, e – per l’appunto – nella musica di un certo Ennio Morricone, che quel genere incarna musicalmente nell’immaginario ormai di ogni cinefilo mondiale.
“Non cercavo certo una ripetizione della sua musica, anche perché quei lavori sono irripetibili. Il mio approccio è stato esplorativo, con umiltà certo, ma anche con grande ambizione. Il voler trovare un modo diverso per andare avanti con certe sonorità. Si parte con l’evocazione del west, ma poi la vera esplorazione è interiore. Ed è quella che io propongo con questa musica”.
Non ci sono infatti singoli, pezzi sornioni e fondamentalmente “radiofonici”, che vogliono per forza arrivare al grande pubblico “anche se l’ambizione c’è sempre” come ammette lo stesso Morino; ma la modalità è stata quella di trovare un percorso personale, un costrutto poetico da configurare in un nuovo percorso, in un mondo che si avvicina ad un West da riscoprire ed esplorare, senza farlo però coincidere con esso.
“Per la prima volta nella mia carriera, con DeWest, ho costruito un album selezionando i brani tra quelli che avevo scritto appositamente, e che erano quasi più del doppio (rispetto ai 10 inseriti nel lavoro in questione, ndr), scegliendoli proprio per la loro organicità; non cercando cioè in essi una ‘radiofonicità’, ma piuttosto una coerenza rispetto ad un organismo finale che avevo in mente. Una idea che, per assurdo, ho avuto proprio dopo aver composto tutta questa musica. Mi sono reso conto della direzione giusta per mettere a fuoco quella idea, e l’ho seguita”.

Un materiale, quello scartato, che però non andrà perso, visto che “lo porterò live nei miei concerti, mescolando brani inediti e non, in un saliscendi emozionale che mi piacerebbe fosse simile a quello che si può vivere – con le dovute ed evidenti differenze del caso – all’interno dei concerti dei Daft Punk, ad esempio.” Dunque, un tentativo più che riuscito e benissimo calibrato di creare una atmosfera, un mood univoco, pur raccontando a volte situazioni differenti l’una dall’altra: situazioni.
Questo venerdì pertanto (10 Maggio, al Bunker di Torino ore 21.30, ndr), in un mood cinematico e filmico, ci saranno anche dei momenti molto dinamici e in ‘crescendo’, un tiramolla emozionale e musicale che creerà, nelle intenzioni di Morino, un live a ‘strattoni’, anche un po’ seguendo ciò che accade nell’album, nel quale in almeno due episodi (Tiritera e Titoli di coda) compare l’elemento tecnico della ‘cassa in quattro’ (di solito usata proprio nella musica dance anni ‘70): “un modo per riportare quegli echi che,in alta valle, fanno risuonare ciò che al sabato sera succede nei ‘capannoni’ langaroli” usando le parole dello stesso Morino. E allora, vale davvero la pena di andarlo a percorrere insieme a Luca, venerdì sera, questo percorso musicale, questo “canto all’ombra” esistenziale e solare, questo movimento sonoro andato paradossalmente alla ricerca di un silenzio della modernità.
Un ritorno a qualcosa che ci appartiene prima di conoscerlo: un west fatto di tempo dilatato, fatto di “Rami secchi come sculture piantate nel fango, ormai secco \ pilone votivo, e donne private \ Proverbi ignoranti. poi brutta fatica, e salita” come in Selvatico, ma con una visione lontana come un’avventura, verso una terra “da desiderare sulla linea dell’orizzonte” come quella che c’è in Terralta.
Una terra a cui appartenere, in una sapienza antica che, anche quando si è soli, non sa mai di solitudine.

 

(Photo di Paolo Pavan)

“DeWest”

1 – Mina nella scia
2 – Vagar
3 – Selvatico
4 – Tiritera
5 – DeWest
6 – Cieli rossi
7 – Terralta
8 – Visi pallidi
9 – Dancing Paradiso
10 – Titoli di coda

 

 

Stefano Carsen

"Sentimentalmente legato al rock, nasco musicalmente e morirò solo dopo parecchi "encore". Dal prog rock all'alternative via grunge, ogni sfumatura è la mia".