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A CHERASCO PER UN CONCERTO SPECIALE – Francesco Magnelli racconta

L’infinito tour di Ginevra Di Marco, Francesco Magnelli e Andreino Salvadori sabato 11 marzo torna al Teatro Graziana Salomone di Cherasco. Il trio ha un rapporto speciale con la “città delle mura stellate” e i 230 posti sono andati velocemente esauriti già in prevendita, per l’occasione, cosa più unica che rara, Magnelli conferma che “rimetteremo in piedi alcune delle canzoni di Un Giorno di Fuoco, il concerto del 1996 dedicato a Beppe Fenoglio quando con i CSI suonammo nella chiesa di San Domenico ad Alba.Torneremo a brani che non suoniamo più da un sacco di tempo, tipo Guardali negli occhi, Cupe Vampe o Irata, interpretate come una sorta di passaggio a tutto il lavoro che abbiamo fatto dopo”. In scaletta anche canti della Resistenza italiana, come Pietà l’è morta di Nuto Revelli, dei movimenti democratici latinoamericani, come Sólo le pido a Dios scritta da León Gieco e resa immortale dalla voce di Mercedes Sosa, e un estratto dall’ultimo disco “Quello che conta – Ginevra canta Luigi Tenco”.

Quasi impensabile, fino a qualche anno fa, immaginare i tre alle prese con il cantautore nato in Val Bormida, meno di cento chilometri da Cherasco, e tragicamente scomparso durante il Festival del 1967. “Un lavoro arrivato da uno stimolo di Mario Setti, un ragazzo fiorentino con il quale da anni facciamo cose insieme. – chiarisce Magnelli – All’arrivo di questa proposta Ginevra è tornata con il pensiero indietro negli anni, recuperando i ricordi e quanto Tenco fosse sempre stato presente in casa: con sua madre, con suo zio, d’estate al mare. Lo ha in qualche modo riscoperto”.

E tu?

“Per quello che riguarda me avevo e ho un disco di riferimento, quel Brown Plays Tenco con cui il fondatore dei Tuxedomoon, Steven Brown, lo ha omaggiato, colpito dalla sua vicenda artistica e umana. Essendo un grande amante dei Tuxedo e delle loro derivazioni, quel disco lì mi piacque da subito molto anche se alla fine noi lo abbiamo rivisitato con un altro occhio. Mentre Tenco dava l’impressione di parlare più a sé stesso, di passare i testi che scriveva attraverso la macerazione personale, Ginevra è come se li cantasse per gli altri. Ci hanno detto, facendo secondo me un bel complimento, che Ginevra ha in qualche modo tolto un po’ della sua parte crepuscolare”.

Magnelli prosegue raccontando di come in occasione di quel lavoro abbiano ricevuto proposte interessanti come quella di usare “gli arrangiamenti di archi originali e quindi di scrivere tutti gli arrangiamenti dagli archi originali” e a proposito della voce di Tenco fa il paragone con “un sax ritrasportato sulle linee melodiche”.

Dopo Tenco è arrivata la ristampa in vinile di Trama Tenue, il primo album solista di Ginevra, l’operazione sottintende al ritorno a canzoni scritte da voi?

“Stiamo scrivendo già delle cose. Abbiamo fatto due brani nuovi per  Questo grande villaggio globale, lo spettacolo in cui ripercorriamo la vita di Margherita Hack (con l’astronoma i tre hanno condiviso per lungo tempo il palco portando in giro per l’Italia il progetto L’anima della terra vista dalle stelle), altre tre o quattro si possono ascoltare in Donne Guerriere che portiamo avanti con l’attrice Gaia Nanni. Ci sono anche altri spunti, lo confermo: stiamo tornando alla composizione che abbiamo affrontato un po’ meno in questi anni. La ristampa dei dischi in vinile però è soprattutto per restituire nuova vita ad album mai usciti con quel supporto”.

Arriviamo, è terminata solo qualche settimana fa, da un’edizione del Festival della Canzone molto discussa, una volta tanto non solo per i gossip ma anche per i contenuti. Partendo da questa, che volenti o nolenti è una vetrina importante per le produzioni musicali, e dalla tua lunga e variegata esperienza di musicista, come vedi il panorama attuale del Pop italiano?

“Io credo che per anni Sanremo sia stato una vetrina poco rappresentativa, per non dire quasi per niente, di quello che era il panorama musicale italiano reale. C’era un segmento pop ma, poi, tantissimi cantautori che hanno fatto la storia della musica italiana non ci andavano o ci bazzicavano molto molto di rado. I gruppi rock uguale per cui poi alla fine quello che smuoveva i ragazzi, migliaia di persone, a Sanremo non ci andava. Il Festival era un po’ l’emblema della canzonetta italiana, il palco dove confluivano molti degli artisti che poi spesso finivano a suonare nelle feste di piazza durante la stagione estiva. Da qualche anno a questa parte invece è diventato il posto dove confluiscono gli artisti di nuova generazione, che fanno i numeri più alti e che sono il riferimento di tantissimi giovani e non solo. Come musicista quello che mi viene da pensare, parlando chiaramente per linee generali, è però che c’è stato un appiattimento mostruoso della cultura e che questo ha avuto un riflesso anche sulla musica e le canzoni di Sanremo lo confermano, visto che sono più o meno scritte nella stessa maniera. A parte poche eccezioni c’è questo misto tra il cantare su poche note e il rappare, caratteristiche che fanno parte dello stile di un nuovo cantautorato. Ci sono questi piani battuti, le chitarre, se fosse il caso di un artista o di due artisti ti potrei dire che è una loro prerogativa ma è un fatto generalizzato. Tanto è vero che anche gli artisti più vecchi arrivano a Sanremo e cercano in qualche modo di adeguarsi invece che portare sé stessi. È una continua rincorsa delle visualizzazioni, del successo, c’è un adeguamento e un livellamento verso la mediocrità”.

Il quadro che dipinge è quello di una mediocrità estrema.

“Sì e questo mi dispiace, perché avendo passato in prima linea tanti decenni pensavo che la musica sarebbe andata a finire da qualche altra parte. Sicuramente non pensavo a questa morte lenta, poi è chiaro se cerchiamo troviamo la canzoncina più carina, quella meno carina, quella brutta, però sempre nell’ambito della mediocrità. Il problema, io credo, è che le nuove ondate nascono sempre dagli estremi, se tu gli estremi li ammazzi completamente, non gli dai spazio, non gli dai possibilità, non li fai sentire da nessuna parte, non c’è una radio che li passi, non c’è un teatro che li programmi perdi inevitabilmente questa possibilità”.

Cosa intendi per cose estreme?

“Io penso, ad esempio a quello che possono essere stati i CCCP – Fedeli alla linea all’inizio. Tu li vedevi come degli alieni e dicevi ma che cazzo fanno questi qui?”, poi da quella roba lì piano piano crei un tuo mondo, un modo di portare avanti un tuo pensiero e le persone ti seguono. Avendo distrutto gli estremi, o almeno ci saranno ma non sono visibili da nessuna parte, rimane questa mediocrità che passa attraverso la rete. Una rete che da un certo punto di vista sembra democratica, poi però di fatto, se hai un artista di riferimento, ti indirizza in qualche modo ad altri che fanno quelle canzoni lì. Addirittura, senza tanto rompersi i coglioni, con quel pianino battuto lì e più o meno con quelle melodie e quei testi lì. Prima, con le case discografiche, se c’era, per dire un nome a caso, Biagio Antonacci, tutti i cloni di Biagio Antonacci che volevano fare successo non uscivano. Biagio Antonacci era l’unico che riusciva a uscire fuori, perché era lui il primo ad aver centrato una sua idea. Oggi funziona all’incontrario, oggi non lo ascolti neanche più, se hai un clone di Calcutta che si chiama Pallino: ah è il clone di Calcutta lo ascolto e gli regalo milioni di visualizzazioni”.

Cosa manca?

“Manca tutto, manca il disco, manca la casa discografica, manca lo scouting, mancano i posti, manca tutto. Manca diversificare, hanno cercato di omologare per cercare poi di non far pensare. Come sempre d’altra parte, perché la cultura in generale, che sia libro, teatro, cinema o musica non cambia, se fatta bene ti pone degli interrogativi. Per cui nessun interrogativo e andiamo diritto così. Poi, ripeto, ci sono piccoli casi che escono fuori, molti altri non arriveranno mai all’ascolto di nessuno di noi perché non c’è modo neanche di poterli ascoltare. Probabilmente ci sono perché è quasi impensabile in un periodo storico come questo con le problematiche che il mondo tira fuori che nessuno abbia voglia di urlare tutto quello che sta succedendo”.

Un pezzo come Ognuno è libero di Luigi Tenco oggi farebbe fatica a venire fuori.

E questo è un dramma. Nel disco noi abbiamo volontariamente voluto far ascoltare anche il Tenco legato più ai temi sociali, far capire che non era solo un cantante confidenziale. Tenco non è solo il cantante di Mi sono innamorato o Lontano Lontano. Se pensiamo poi che la sua produzione è stata scritta tra i 20 e i 28 anni, mi sembra davvero di vedere una specie diversa rispetto ai giovani di oggi che cantano. In realtà in questo concerto di Tenco faremo solo un pezzo, quella E se ci diranno che consideriamo un po’ il pezzo simbolo del disco ed è particolarmente incentrata sui temi sociali”.

Francesco se snoccioliamo l’elenco delle tue collaborazioni vengono i brividi: Litfiba, Diaframma, Moda, Beau Geste, ma anche Cisco o i Timoria e naturalmente CCCP-Fedeli alla Linea, Consorzio Suonatori Indipendenti e Per Grazia Ricevuta. Ma con tutte le esperienze e, diciamolo pure, i pezzi di storia che hai scritto, hai ancora un sogno da realizzare?

“A dir la verità un sogno ce l’avrei nel cassetto, però è un lavoro lungo lungo e non so se riuscirò mai a portarlo in fondo. Mi piacerebbe poter rimettere in scena Ci ragiono e canto con artisti di riferimento di oggi. Quello mi piacerebbe molto, anche perché se guardi bene già nel titolo c’è già molto, poi Ci ragione e canto per me rimane una delle cose più eversive che si possano dire: oggi, nel 2023, un tempo in cui ragionare prima di aprire bocca sembra una roba quasi impossibile. Soprattutto nel primo spettacolo, quello del 1966, la musica popolare e i dialetti venivano usati per raccontare i fatti quotidiani, come se fosse il rap del momento. Mi piacerebbe riattualizzarlo, poter raccontare l’oggi con quel concetto lì, con quel stilema lì, in quel modo lì”.

D’altra parte se c’è un’artista che porta avanti lo spirito di Sandra Mantovani, Giovanna Marini, Caterina Bueno, Giovanna Daffini, Caterina Bueno, Sandra Boninelli o Rosa Balistreri è proprio Ginevra.

“I punti di riferimento in Italia sono quelli, un po’ di più forse Bueno e Balistrieri, e a livello internazionale una come Chavela Vargas piuttosto che Mercedes Sosa”

L’album La Rubia canta la Negra direi che lo testimonia molto bene.

“Sì ma se ci pensi noi siamo davvero fuori dalle logiche discografiche, noi di fatto esistiamo solo per il pubblico. L’anno scorso abbiamo fatto 42 concerti in sei mesi, sempre pieni di gente che viene a vederci e non posso negare che io stesso alle volte mi chiedo come sia possibile. Viene un po’ sovvertito tutto quello che si intende normalmente, noi facciamo un lavoro di promozione personale abbastanza forte ma siamo soli. Soli con il pubblico che ci viene a vedere, è il nostro rapporto diretto con le persone a fare la differenza. Anche questo concerto nasce dal lavoro di due amici come Licia e Silvio e dell’ufficio di promozione turistica del comune di Cherasco”.

Io credo abbiate costruito una comunità e che i vostri concerti alla fine siano anche un po’ la scusa per ritrovarsi, oltreché ritrovarvi.

“Sono in tanti a dircelo e in effetti ovunque andiamo la gente ci segue”.

Siamo riusciti a chiudere la chiacchierata senza parlare mai di quello che è stato e di cosa potrà essere dei CSI.

“Già e noi siamo stati bravi, ognuno alla propria maniera, a proseguire l’attività seguendo un percorso artistico e umano personale e non omologato”.