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Renato Striglia, una voce nella notte

L’ultima volta che lo vidi, René era da Rubber Soul, il negozio di dischi che ospitava la presentazione dell’album di Rosalba Guastella. Era venuto perché apprezzava il lavoro, ma anche perché Alba era una collaboratrice di Radio Banda Larga, l’ultima creatura radiofonica di un uomo che nelle radio era immerso da tutta la vita. Personalmente, l’avevo conosciuto alla fine degli anni 70, un pomeriggio per me molto triste: ero andato a trovare mio nonno, che abitava in via Gioberti ed era ormai così malato da non riuscire quasi a parlare. Un tumore ai polmoni se lo stava portando via, aveva capito che anch’io già fumavo e mi pregò di smettere (Ci ho messo trent’anni, nonno, ma ce l’ho poi fatta). La mia reazione, in quel momento, fu quella di uscire per accenderne subito una. Ero abbastanza abbattuto, stranito. Decisi di fare due passi prima di riprendere il tram verso casa. Ripercorrevo tratti di strada che avevano visto la formazione della mia famiglia, le strade che mio papà percorreva per incontrare mia mamma, cui non si era ancora dichiarato, ma le donne, si sa, ci arrivano ben prima.
Non so bene perché, ma invece di proseguire verso via Sacchi, girai a destra e proseguii su quella via San Secondo che avevo esplorato solo di sfuggita, ma nell’altro senso. Giunto all’incrocio con Corso Sommeiller, mi fermai a osservare la locandina del cinema Arlecchino (all’epoca mono sala e affiancato da un dancing). Era appena passato il tram numero 16, quello che mi avrebbe riportato a casa, quindi decisi di attraversare il corso e proseguire sulla via per vedere cosa vi fosse oltre. Al termine, proprio quasi all’angolo con via Magellano, rimasi sorpreso di trovarvi un negozio di dischi, ma quando vidi l’insegna capii subito. Oggi sembra impossibile, a pensarci, ma all’epoca di negozi di dischi indipendenti ce n’erano tanti, mica dovevi uscire dal quartiere per trovarli: io ne avevo ben tre a breve distanza da casa (beh, sì: due erano negozi di elettrodomestici con un piccolo reparto dedicato e scarsa assistenza per chi volesse esplorare oltre il panorama Baglioni-Tozzi e ciò che vi stava in mezzo) ed era la prima volta che mi recavo dai nonni da solo, quindi non mi era mai balenata prima l’idea di scoprire cosa fosse quella realtà della quale sentivo parlare su certe radio locali che passavano la musica che piaceva a me. Non ricordo se quella volta vi incontrai Albert (Alberto Campo) o René, ma so che c’erano un sacco di tipi molto variegati, il che mi piacque.
Da quella volta cominciai ad arrischiare spesso delle visite al sabato, riuscendo a instaurare una sorta di dialogo proprio con quel giovane dal volto affilato e il naso prominente. Dico sorta di dialogo perché Renato Striglia non era così immediato nelle sue relazioni, o almeno non lo fu con me: dipendeva un po’ da come lo prendevi, dalla giornata e da quanta preoccupazione avesse per la partita all’indomani. Il Toro, ecco l’argomento che ci consentiva di trovare un terreno comune di dialogo, perché per quanto riguardava la musica il suo era un monologo, data la mia scarsa competenza al tempo.
Naturalmente, poi, c’era la radio. Avevo mosso casuali ed incerti passi presso un’emittente commerciale, senza neppure accarezzare l’idea di poter continuare, e commisi l’errore di dirglielo: mi squadrò con un’espressione che non scorderò mai, più o meno quella che doveva avere dipinta in volto Pietro Micca quando scacciò l’imbranato collega “pì lung che na giurnà sensa pan“.
Nel frattempo, ero rientrato a Torino dopo un anno di scuola disastroso in quel di Vercelli, periodo fugace che mi lasciò solo alcune belle amicizie recentemente rivitalizzate, e l’impegno scolastico doveva necessariamente passare attraverso una diminuita disponibilità temporale nei confronti del cazzeggio, quindi mi limitavo ad ascoltare “Puzzle” su Radio Flash prendendo nota di qualche richiesta da effettuare al negozio vicino, in modo da far impazzire la commessa (che anni dopo avrei scoperto essere la madre di un amico di uno dei migliori giornalisti musicali sulla scena odierna: piccolo, il mondo).
Rock & Folk cambiò sede, finendo prima nel piano inferiore della libreria Campus (e lì avrei conosciuto quello che oggi è un altro caro amico, all’epoca commesso e competente spacciatore di musica) e quindi in via Viotti, prima di trovare sede definitiva ove ancor oggi sta, in via Bogino.
L’importanza della combinazione creatasi tra quella radio, quel negozio e locali come il Big Club, il Tuxedo, lo Studio 2 e via di seguito (incredibile quanti locali “rock” vi fossero in città) era evidente nella quantità di concerti “importanti” che vi si svolgevano e nelle serate (impensabile, oggi, immaginarle altrettanto frequentate) animate dagli stessi conduttori e commessi proprio di quella radio e quel negozio. E Renato era sempre parte della scena, che fosse evidente o meno. Lo vedevi sotto il palco, poi scoprivi che magari chi si esibiva l’aveva portato lui, oppure ti capitava di vederlo suonare, o lo vedevi confabulare con Gigi Restagno (accidenti, quanto manca anche lui…).
E lo sentivi anche in Rai, con quel programma magnifico che fu Stereodrome.
In tutti quegli anni ci si salutava, qualche volta ci si abbracciava, poi per un po’ ci si perdeva di vista, finché quando mi trovavo ai Murazzi o all’Hiroshima, casualmente lui non c’era mai, e non me lo dimenticai ma neanche lo cercai.
Poi, una sera a cavallo del nuovo millennio, me lo vidi spuntare al Rimba Club, un piccolo circolo in cui passavo tutte le mie serate, uno di quei posti in cui si facevano jam session lunghe tutta la notte e in cui avrei organizzato concerti leggendari (Phil Guy, fratello di cotanto Buddy, per esempio, grazie a Dario Lombardo) e che purtroppo ebbe vita breve, soprattutto per via delle lamentele del vicinato,  data la collocazione all’interno di un cortile condominiale. Passammo una bellissima serata, sull’onda dei ricordi musicali, calcistici, di conoscenze comuni. Finché non toccai il tasto dolente: gli rivelai di non essere un fan di Capossela, specificando che ne capivo la probabile grandezza ma che a me non “arrivava”. Riecco quell’espressione alla Pietro Micca (credo che la mia associazione all’eroe sabaudo fosse dovuta al fatto che Radio Flash per molto tempo ebbe sede nei sotterranei di Palazzo Carignano, proprio a fianco ai camminamenti percorsi dai soldati piemontesi durante quella guerra coi cugini francesi).
Lo rividi ancora un paio di volte, in via Po e a un Torino Film Festival, prima di incontrarlo stabilmente proprio da Rubber Soul: non mancò quando presentammo la ristampa di ” ‘Nzalla” dei Truzzi Broders, né quando Gianni Tarello (Rockerilla) ed io raccontammo la storia della Motown Records. Ci fece persino i complimenti, in quell’occasione.
Poi, appunto, la presentazione di “My Little Songs”, il bel disco di Rosalba. Fu molto cordiale, ma ci salutammo consapevoli del fatto che non sapevamo quando ci saremmo rivisti.
Da ieri sappiamo che non ci sarà più un momento d’incontro, René ha lasciato un grande vuoto in città, sia nell’etere, che nei locali notturni, che sotto i palchi, fino allo spazio che occupava in Curva Maratona. E ripenso a quella sera del Rimba Club, in cui c’erano anche Dino Pelissero e Pino Russo (e non vorrei sbagliarmi, ma mi sa che ci fosse anche il compianto Gianni Branca), altri due personaggi delle notti musicali torinesi che ci hanno lasciati a inizio anno, entrambi colti da improvviso malore al momento di salire su un palco, Dino proprio la notte di Capodanno. E ripenso che se n’è andato da poco anche Massimo Fogliato
Torino vi piange, Torino non vede potenziali sostituti all’orizzonte.
Ciao René, ciao ragazzi della notte.

Ringraziamo Cristina Scanu per la concessione della foto di Renato Striglia con Willy DeVille

Massimo Perolini

Appassionato di musica, libri, cinema e Toro. Ex conduttore radiofonico per varie emittenti torinesi e manager di alcune band locali. Il suo motto l'ha preso da David Bowie: "I am the dj, I am what I play".