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To Do List – Summer Edition

Dopo un intero anno sotto torchio per il lavoro, il mese di agosto è il momento perfetto per riprendere in mano le passioni e stringerle forte. Ecco per voi i suggerimenti di Weloveradiorock.com su che cosa ascoltare e leggere. Praticamente i compiti delle vacanze più belli che abbiate mai fatto. 

Per i libri ci ha pensato Valeria Di Tano, per i dischi Roberto Remondino.

La letteratura degli ultimi anni ha incrociato spesso la musica: sono di quest’anno i lavori narrativi di due musicisti americani di grande qualità.
Willy Vlautin (leader dei Richmond Fontaine e ora dei Delines) con “Verso Nord”, il suo secondo romanzo appena uscito per la Jimenez, riprende temi e lingua nientemeno che da John Steinbeck per raccontare un Paese desolato e personaggi sconfitti eppure intrisi di un forte sentimento poetico: la protagonista di questa storia è una donna incinta, alcolizzata, sognatrice e combattiva, alla ricerca disperata di una nuova occasione.
E Josh Ritter, cantautore folk rock, autore di “Una grande e gloriosa sfortuna” (NN): il protagonista è Weldon Applegate, un novantanovenne cresciuto tra i boscaioli dell’Idaho che sul letto di morte ripercorre la sua vita, rendendola una favola gotica fuori dal tempo, una lettura metaforica che mescola superstizioni, vendette, amori e sacrificio.
Ma non solo gli americani sanno dondolare tra musica e letteratura: Emidio Clementi, fondatore dei Massimo Volume, con all’attivo già numerosi romanzi e raccolte di racconti, pubblica “Gli anni di Bruno” (Playground), la storia dolce e amara di una famiglia, raccontata attraverso lo sguardo diagonale dei suoi membri, quello che non si concentra sulle cose appariscenti e visibili ma che scandaglia spazi e cuori alla ricerca del dettaglio più tenero, crudele o in apparenza insignificante e che restituisce al lettore una storia semplice, schietta e concreta.

Il tempo e i viaggi attraverso presente e passato sono da sempre un tema appassionante per la letteratura, che ogni autore si è divertito a reinterpretare secondo la propria chiave personale: Deborah Levy in “L’uomo che aveva visto tutto” (NN) riesce a scrivere una storia che intreccia musica (e non musica qualunque, ma quella iconica dei Beatles), amore e politica e attraversa Inghilterra e Germania in un’altalena temporale che solo nelle ultime pagine si ferma in pieno cielo lasciando il lettore meravigliato (e forse un po’ confuso). Daniel Kehlmann in “Te ne dovevi andare” (Feltrinelli) aggiunge al divertissement del viaggio temporale una sfumatura misteriosa e quasi horror per un romanzo brevissimo ma che lascia il segno, oltre a una inspiegabile inquietudine: uno sceneggiatore con moglie e figlia sono chiusi in una casa in mezzo alle montagne quando la realtà comincia ad assumere contorni sempre più angoscianti (potrebbe ricordarvi la trama di un romanzo di Stephen King, lo so).

L’ambiguità di personaggi e soprattutto dei finali è una delle caratteristiche dei romanzi più dibattuti, perfetti per scatenare accese conversazioni nelle notti estive: Silvia Cossu ne “Il confine” (Neo) dà ottima prova della sua capacità di confondere il lettore: la protagonista è una scrittrice, il protagonista un terapeuta, le verità di entrambi raccontate insieme alle loro bugie, alle loro interpretazioni della realtà e del rapporto che li lega; serve arrivare alla fine per domandarsi perché non si possa ricominciare tutto daccapo per cercare indizi e prove che aiutino a trovare risposte definitive (ma è impossibile: resterà il dubbio). Raccontare una storia da diversi punti di vista è il modo migliore per rendere la lettura una specie di caccia al tesoro, una ricerca della versione più credibile, più vera: Hernan Diaz scrive così “Trust” (Feltrinelli) magnifico romanzo americano, incentrato sul mondo dell’alta finanza, quella luccicante e dannata degli anni ’20. E’ una storia che insegna molto dei meccanismi finanziari, degli equilibri di potere, dei rapporti d’affetto e d’amore, una specie di gigantesco manuale sul potere della creazione letteraria, sulla ferocia dell’ambizione, in una giostra di sentimenti meravigliosamente descritti.

Altrettanto affascinanti sono i romanzi corali, che raccontando uno a uno diversi personaggi ne svelano le relazioni e gli intrecci, rendendo la lettura alternativamente divertente, commovente, provocante: è il caso di “Victoria Park” (Atlantide) di Gemma Reeves con i dodici racconti (uno per ogni mese) che dipingono vite e coincidenze, sovrapposizioni, legami tra gli abitanti di un quartiere; allo stesso modo Simone Innocenti ne “L’anno capovolto” (Atlantide) assegna un capitolo ad ognuno degli amici che prendono parte alla consueta cena di Capodanno: di ciascuno rivela vizi, segreti, ossessioni e debolezze, fino a una insospettabile resa dei conti subito dopo la mezzanotte.
Naturalmente, trattandosi di compiti per le vacanze estive, non può mancare l’indicazione di un romanzo come “L’estate che resta” (Guanda) di Giulia Baldelli: la storia di una amicizia a tre che è amore profondo, coinvolgimento politico, attrazione e distruzione, scritto in modo incantevole.

 

King Hannah – I’m Not Sorry, I Was Just Being Me
L’esordio sulla lunga distanza del duo di Liverpool è uno di quelli indimenticabili. Hannah Merrick e Craig Whittle mostrano di saper trattare scrivere delle canzoni bellissime e una grande maturità raggiunta in breve tempo. Se vi piacciono i tempi dilatati, le atmosfere scure e le chitarre distorte ed evocative questo è il disco che fa per voi. Il loro primo album è zeppo di canzoni bellissime, dai suoni solo apparentemente grezzi e lo-fi, con forti richiami a band e autori che amiamo. Tracce evidenti di Opal, Neil Young, Portished, Bill Callahan, certi Walkabouts, le Trinity Sessions, ma la coppia dimostra grande personalità e la qualità della scrittura è già elevatissima. Più che una promessa, una bella realtà. E’ d’obbligo il recupero del già notevole EP “Tell Me Your Mind and I’ll Tell You Mine”. I King Hannah sono già “nostri”.

Lady Blackbird – Black Acid Soul
Un altro esordio coi controfuochi è quello di Marley Munroe, in arte Lady Blackbird, che ci regala un album fantastico fantastico fatto di 11 brani, quattro originali e sette cover, dove mette in mostra le sua grandi capacità interpretative. Lei è dotata di una voce incredibile e può permettersi di affrontare con piglio e sicurezza grandi canzoni scelte dai repertori di Nina Simone, della James Gang , di Sam Cooke e Tim Hardin. La soffusa Fix It e Five Feet Tall, scritte di suo pugno, non sfigurano affatto se messe a fianco alle impressionanti riletture di una It’ll Never Happen Again e una Lost and Looking che ascoltate in sequenza tolgono letteralmente il respiro, di una College virata soul-jazz e di una emozionante Blackbird di Nina Simone. Un disco che forse non ha avuto l’attenzione che merita, il titolo in effetti è un po’ fuorviante. E’ vero, l’album è del 2021 ma se lo avete mancato recuperatelo, vi sorprenderà e lo ascolterete a lungo. 

Horsegirl – Versions Of Modern Performance
Un altro disco che sembra uscire dagli anni ’90 è questo “Versions Of Modern Performance”, primo album del terzetto tutto al femminile che arriva da Chicago. Dodici tracce per un minutaggio striminzito che invoglia a premere il tasto repeat, il primo disco di queste ragazze (sì, nessuna supera i vent’anni!) è uno dei più divertenti usciti quest’anno. L’imprinting impartito dai Sonic Youth, come dai Dinosaur Jr. e dai Pavement è evidente ma le canzoni proposte da Penelope Lowenstein, Nora Cheng e Gigi Reece sono fresche e accattivanti. Chrome 8, Anti-glory hanno dalla loro un bel piglio radiofonico, come anche World of Poets and Pans, mentre Dirtbag Transformation (Still Dirty) veleggia su acque care agli Yo La Tengo.
Da tenere d’occhio.

Kevin Morby – This is a Photograph
Nel caso Kevin Morby dovesse sbagliare un disco avvertiteci perché finora la sua produzione, siamo già a sette album in nove anni, non è mai scesa dal livello di eccellenza. Questo nuovo capitolo è forse il suo più ambizioso a livello di arrangiamenti, Sam Cohen in cabina di regia, e la scrittura si fa sempre più matura. Un viaggio in Tennesse, lo scorrere del tempo, una fotografia appesa a casa dei genitori che porta a galla vecchi ricordi. Ne vengono fuori canzoni bellissime: Bittersweet, TN con Erin Rae alla seconda voce da il via a un trittico difficilmente dimenticabile. Al suo centro svetta Dissappearing con un finale che è al contempo un monito e un sentito ricordo di Jeff Buckley: “If you go down to Memphis, please don’t go swimming in the Mississippi River. If you must, if you do, Take off your jacket and take off your boots”. Buckley ritorna anche nella successiva A Coat of Butterflies, assieme a Leonard Cohen e Ritchie Valens. La title track ha un crescendo ritmico quasi voodoo, Rock Bottom è un rock’n’roll divertente e appiccicoso, Five Easy Pieces ha un finale d’archi commovente. Un gioiello.

Wilco – Cruel Country
Sintetizzando: dopo alcune prove un tantino opache questo è il miglior disco della band di Chicago da “Sky Blue Sky”. “Cruel Country” non è ancora disponibile in formato fisico ma si può ascoltare su tutte le piattaforme di streaming. E’ necessario lasciare alle sue 21 canzoni per oltre 70 minuti di durata il tempo di sbocciare, raggiunta la piena fioritura saremo ripagati con un bouquet straordinario. La parola Country del titolo è fuorviante, qui non c’è nessun rischio di imbattersi in robaccia sdolcinata da bovari in calore e, come già successo in passato i Wilco approcciano il genere con spirito progressivo e fantasioso.
Registrato in presa diretta nel loro covo, The Loft, “Cruel Country” è un album che racconta l’America attuale attraverso lo sguardo attento di un Jeff Tweedy in stato di grazia, supportato da un suono solo all’apparenza disadorno. In realtà i Wilco hanno raggiunto un livello di coesione tale che gli abbellimenti alle canzoni avvengono in modo naturale, spontaneo e sempre più misurato: il corno che si sente in Hints, il pianoforte che impreziosisce Ambulance, gli archi e i fiati dal sapore un po’ retrò sullo sfondo di Country Song Upside-down, e poi tante chitarre, twang quella in Falling Apart, in libera uscita quelle sul finale della lennoniana Many Worlds e in Bird Without a Tail /Base of My Skull, elegantemente intarsiate in Hearts Hard to Find, una delle canzoni più belle scritte dal leader.
Il secondo singolo Tired of Taking It Out On You, è un classico istantaneo, poi si fanno notare la distesa All Across the World e l’ombrosa The Empty Condor. Quasi in chiusura ci si imbatte nei deliziosi contrappunti di Sad Kind of Way, un inatteso e delicato acquerello che ricorda un po’ la Penguin Cafè Orchestra, un brano breve e prezioso in un disco di gran classe al quale si perdona facilmente il parziale immobilismo.

Michael Head & the Red Elastic Band – Dear Scott
Ispirato alla carriera dell’autore de “Il Grande Gatsby” Francis Scott Fitzgerald,  “Dear Scott” è un disco che sorprende per la ricercatezza delle melodie e una produzione di alto livello ( Billy-Rider Jones) al servizio di una serie di canzoni magistrali. Nel nuovo album Michael Head, già nei Pale Fountains e The Strand, dà maggior risalto ad archi e fiati, la struttura sonora ne esce irrobustita e il suo un folk-pop è ora più accattivante e radiofonico rispetto alle prove passate. La cosa ha permesso a “Dear Scott” di raggiungere un ragguardevole sesto posto nelle classifiche Inglesi e il numero uno in quelle indipendenti. Difficile trovare cadute di tono tra i dodici brani proposti, Geace And Eddie, Klamet, Broken Beauty, American Kid le frecce scoccate da un arco teso al massimo colpiscono nel centro quello che era il bersaglio preferito dai vari Paddy McAloon, Microdisney e Deacon Blue e, in tempi recenti dal migliore Josh Rouse. Se amate il chamber-pop venato di soul e jazz questo è un disco da non perdere.

The Smile – A Light For Attracting Attention
Nonostante i Radiohead siano discograficamente fermi dal 2016 Tom Yorke e Jonny Greenwood non riescono a smettere di suonare. Entrambi portano avanti progetti paralleli e pubblicano con elevata frequenza colonne sonore e album solisti. Nel disco a nome The Smile incrociano la loro strada con quella di Tom Skinner, il batterista dei Son Of Kemet uno dei tanti progetti di quell’alieno col sax che di nome fa Shabaka Hutchins. Se questo primo lavoro (ci sarà mai un seguito?) fosse uscito targato Radiohead lo avremmo salutato come uno dei loro migliori.
Prodotto dal fidato Nigel Godrich , il disco merita tutta l’attenzione ricevuta e ci sono ottime possibilità possa piacere anche a chi non apprezza i Radiohead o poco sopporta la voce di Yorke che qui canta benissimo. I tre si trovano a meraviglia e quasi tutte le canzoni sono di alto livello, Free In The Knowledge, presentata da Yorke in versione solista nel 2021, forse le mette tutte in fila per il suo malinconico magnetismo. Ma non mancano le sferzate più rumorose e rock (You Will Never Work in Television Again), e incursioni nel funk e nell’afro-beat (The Smoke, The Opposite). Radio-Heads.

Bodega – Broken Equipment
Quello a cui abbiamo assistito il 20 aprile di quest’anno è stato uno dei concerti più divertenti di sempre. I Bodega sono una macchina sonora che sfoga nella sua dimensione live la sua vera attitudine. Un’energia straripante molto difficile da intrappolare in uno studio di registrazione e infatti Thrown riesce a trasmetterne solo una parte. Nonostante questo “Thrown” è un disco godibilissimo. I Bodega suonano come un succoso estratto di band newyorkesi come Sonic Youth, Strokes, Velvet e Talking Heads, ok ci avevano già pensato gli LCD Soundsystem,  ma con l’aggiunta di aromi Devo, X e B52’s l’apporto vitaminico diventa esplosivo. Shakerando bene escono dal mixer una serie di calici da sorseggiare come un cocktail fresco e non impegnativo (Statuette on the Console, Thrown, NYC (Disambiguation), Doers, tutte molto saporite) ma se volete davvero stordirvi per bene avrete bisogno della loro versione alcolica andando a vederli dal vivo. Inebrianti.

Fontaines DC – Skinty Fia
Terzo disco in cinque anni per la band irlandese che anche questa volta ha fatto le cose con cura e personalità. Uscito all’inizio dell’anno “Skinty Fia” (La Maledizione del Cervo la sua traduzione) ha una densità di suono che dimostra la grande coesione raggiunta dal gruppo. Una serie di ottime canzoni e la maturazione del cantante Grian Chatten – si notano più sfumature nella sua voce, una maggior ricerca della melodia e uno stile meno declamatorio che in passato (e, soprattutto assomiglia meno a un Gallagher scazzato) – rafforzano la posizione dominante raggiunta in breve dagli irlandesi sull’attuale scena post-qualcosa.
La parte del leone continuano a farla la grande sezione ritmica e le chitarre, ma il suono ombroso e possente  di “Skinty Fia” rivela l’utilizzo di nuove textures che lasciano intuire ulteriori sviluppi.  Facendo un paragone con gli altri irlandesi ultra famosi, i Fontaines D.C. sono ancora nella fase “Boy” / “October”, ben lontani dal successo mondiale che li investì, e forse è un bene per tutti.
Un gruppo da tenersi stretto, di cui siamo ancora un po’ gelosi.

Maria Chiara Argirò – Forest City
Tra i tanti dischi italiani meritevoli di attenzione usciti finora (C’mon Tigre, Alessandro Fiori, le due prove dei Calibro 35 tra gli altri), ci piace segnalare questo disco della pianista romana formatasi in Inghilterra. “Forest City” è una bella sterzata alla sua carriera, che nei primi due album l’ha vista esplorare i territori del jazz contemporaneo. La virata è molto ambiziosa, ora Maria Chiara gioca sullo stesso terreno di Caterina Barbieri, Kelly Lee Owens e…dei Radiohead. L’unico, piccolo difetto di “Forest City” è la sua durata (26 minuti, se ne vorrebbero tanti di più), ma straripa di suoni ricercatissimi e l’equilibrio delle canzoni tra suggestioni jazz, sospensioni quasi ambient e beat più quadrati è ineccepibile. Bonsai, Clouds i brani migliori piazzati proprio al centro del programma.

Dieci sono pochi? Eccone altrettanti:

Big Thief – Dragon New Warm Mountain I Believe In You

Black Country, New Road – Ants From Up There

Kelly Lee Owens – LP.8

Moderat – More D4ata

Almamegretta – Senghe

Aldous Harding – Warm Chris

Modern Nature – Island of Noise

Rolling Blackouts Coastal Fever – Endless Rooms

Father John Misty – Chloe And The 20th Century

Wu-Lu – Loggerhead