IRA Live – Iosonouncane
Arena Puccini Bologna – 10 Giugno 2022
Bologna Brucia, e no non è un memento del ’77 quando Radio Alice imperversava nell’etere felsineo.
Sono le cinque e mezza e la città bolle, come sa fare ogni città in Pianura Padana quando l’anticiclone pesta duro da giorni. Con un colpo di culo stupefacente trovo parcheggio non troppo lontano dalla Stazione dove Luca, amico fraterno di sempre, in arrivo da Ancona mi attende.
Un abbraccio forte e ci infiliamo nel mercato ai piedi della Montagnola in cerca di un bar dove rinfrescarci e iniziare ad aggiornare i rispettivi file con quanto accaduto nell’ultimo anno, quello trascorso dall’ultimo appuntamento in questa città nel luglio precedente.
Le ore scappano via tra spritz e piadine ed è già ora di muoversi per raggiungere a piedi l’Arena Puccini, nel parco dietro la stazione centrale. Il posto, da decenni sede del dopolavoro ferroviario porta con se un fascino antico, fatto di decadenza vestita dei segni lasciati dal tempo,
Ci sediamo ai piedi del palco con due birre in mano in un’arena ancora semivuota che inizia a registrare qualche reazione vitale tra gli astanti boccheggianti solo nel momento in cui la cantautrice sarda Daniela Pes si offre solitaria al pubblico accompagnata da una semplice chitarra. La sorpresa è inevitabile quando in luogo della consueta folksinger ci si rende conto di avere di fronte un esploratrice delle radici di una terra enigmatica e profonda chiamata Gallura. Il canto in lingua è misterioso ed affascinante e si appoggia su note strappate con maestria mai scontata dalle corde dello strumento, i mezzi vocali sono indiscutibili e lasciano immaginare radici ancestrali riportate in vita da un territorio da decenni invaso da un turismo spesso superficiale e poco accorto. Gli scarni arrangiamenti non rendono vera giustizia alle potenzialità della Pes ed è sufficiente la visione di qualche clip su you tube per rendersene conto.
Quattro lunghi brani accolti da sincero entusiasmo ed è ora di lasciare spazio al buio pronto ad accogliere l’ingresso in scena di Jacopo Incani di Buggerru, Iglesiente, in arte “Iosonouncane”.
Il setup occupa ogni centimetro del palco, una sorta di scacchiera che vede fianco a fianco, apparecchiature elettroniche analogiche, laptop, e percussioni di ogni foggia antiche e moderne, qualcosa che allo stesso tempo sa di primitivo e di avveniristico.
Quando la musica inizia è come accedere ad una caverna scura in cui a malapena puoi intuire cosa ti attende. Il suono emerge piano si propaga, riempie l’area, il buio si accende, squarci di luce accompagnano crescendo impetuosi in cui propulsioni quasi techno trovano vigore in un impiego quasi tribale delle percussioni poste in prima fila, centrali, in mano ad una donna e ad un uomo, il che garantisce un impatto anche visivo notevole.
Tre donne e quattro uomini sul palco.
Jacopo a sinistra, una barba da pescatore, si destreggia tra manopole, pulsanti, corde di chitarra e interventi vocali.
Mentre la setlist senza significative soluzioni di continuita’ srotola davanti a noi il racconto di Ira, ultimo memorabile parto discografico , ci si trova immersi anima e corpo in una dimensione spazio temporale aliena.
Il modo in cui Iosonouncane tramite questa creatura a sette teste che riempie il palco, fa convivere un mondo ipertecnologico con uno ancestrale legato anche alla sua origine, l’industrial, il tribalismo, la psichedelia, addirittura la migliore melodia italiana degli anni sessanta, ha davvero dello straordinario.
In poco piu’ di un ora e mezza un’ampia parte del monolitico Ira viene offerta nella sua pienezza sonora agli astanti, con corollario di una Tanca (dal precedente “Die”) che riesce a far cantare gran parte della platea nonostante si sia ben lungi dal concetto di melodia tradizionale, e di due inediti che offrono nuove visuali a ciò che potrebbe arrivare in futuro.
E non può che essere l’onda montante, ossessiva, quasi estenuante di “Hajar” ad offrire all’improvviso quando piomba nel silenzio, la via d’uscita da questo tunnel incantato.
Non ci sono bis, non si può dare ad un climax di questo livello un qualunque tipo di seguito. Non avrebbe alcun senso.
Ho visto iosonouncane in formazione ridotta l’estate scorsa al todays festival di Torino.
Prendendo a prestito un verso di Mike Scott dei Waterboys
“Quello era il fiume, questo è il mare“
Quello cui ho assistito è tra le cose più potenti, originali ed emotivamente forti che ho ascoltato provenire da questo paese.
Come credibilità e personalità spendibili a livello internazionale a questo livello riesco a porre soltanto Area, Almamegretta e Casino Royale degli anni d’oro e primi Litfiba.
Jacopo Incani ha creato qualcosa di non facilmente ripetibile.
Sarà un enorme sfida per lui dargli un seguito.