News

In Silence We Trust

Il dolore ha una forma strana, irregolare, come un masso di quelli in cui si inciampa cercando di attraversare un fiume. Forse quelli che rotolano giù da una scogliera, insieme a un corpo che cade.
Ci vogliono migliaia di anni perché un sasso sia levigato dall’acqua, smussato dal vento, consumato dal tempo. E la vita di un uomo non li ha migliaia di anni.
Per questo il dolore per la perdita di un figlio è pesante, massiccio, praticamente eterno. Qualcosa che costringe verso il basso sempre, che affoga, qualcosa che ci si deve trascinare dietro, ovunque: che sia una piccola cittadina inglese o una grande città americana, quel dolore lascia lividi ad ogni battito di cuore.
E questo vale per ogni genitore, idraulico, tassista o insegnante. Vale anche per un padre musicista.
Il dolore fa un suono strano, sordo, cupo, come dita agitate e furiose sui tasti di un pianoforte scordato. Non ha armonia il dolore, fa eco, risuona. Come se quel sasso continuasse a volare giù dalla scogliera all’infinito e il rumore del tonfo restasse sospeso nel mezzo delle notti cosparse di incubi.
Soprattutto, il dolore per la morte di un figlio è cieco, e non lo sa dove colpisce: una madre casalinga, un padre pompiere, una madre fotomodella o un padre poeta . Il dolore se ne frega, se con quel masso dentro al petto chi resta continua la sua vita sotto un ponte o nel salone di una villa, se per reagire si converte o si droga, si avvicina o si perde.
Dovrebbe bastare questo per reagire con compostezza, sensibilità e premura.
Col silenzio, piuttosto.
Perché anche se il padre di quel quindicenne è definito un sacerdote del rock, anche se la sua rabbia prende a picconate quel sasso fino a farne schegge e poi note e poi musica, ogni frammento continua a ferire, come un pugnale. E solo anime piccine e opache possono filtrare quella sofferenza, sminuirla suggerendo che altre donne, altro sballo, altri successi l’hanno soffocata.
Che ne sapete?
Che ne sapete di un vuoto riempito di pietre? E dell’aria satura in cui respirare a fatica che all’improvviso vibra scossa da una nuova frana?
Ancora.
Un altro figlio, caduto dal basso di un precipizio invece che dall’alto di una scogliera. Eppure, un altro volo fatale, ché anche quando si è già all’inferno lo schianto è una nuova condanna mortale.
Nick Cave ha chiesto silenzio, dopo la morte di Arthur, sette anni fa. E dopo quella di Jethro, due giorni fa.

Non c’è niente da ringraziare.
Niente.
E se non lo capite, forse non è nel rock che cercate rifugio, sollievo e cura, ma è nel fango che preferite sguazzare.

Valeria Di Tano

"Vivo circondata da storie e parole per lavoro e soprattutto per passione. Le uso come mattoni per costruire, come labbra da baciare e come aria da respirare. Leggo, scrivo e sorrido. Tutto in equilibrio sui tacchi a spillo."