Giovanni Lindo Ferretti, non sono come tu mi vuoi.
“Su 100 punk, 50 sono diventati politici, gli altri sono morti per droga”. Parola di Marco Philopat che nel 1985 sommerse (ricambiato) di verdure il palco leoncavallino dei CCCP-Fedeli alla Linea e che è oggi uno dei più credibili narratori della controversa scena italiana di quegli anni.
“Ognuno ha l’immaginario che si merita” affermava in quegli stessi anni il robusto ciclostile della band filosovietica, col senno di poi qualcosa di vero doveva però esserci. Perché già all’epoca l’Unione Sovietica era stata scelta più per la propria immagine di impero in decadenza che per posizionamento politico. Noi non lo potevamo capire, non lo potevamo sapere, Ferretti sì.
C’era dell’ambiguità nell’appartenenza di Giovanni Lindo da Cerreto Alpi (Reggio Emilia, “la più filosovietica tra le province dell’impero americano”) al variegato mondo della Sinistra? Verosimilmente no, anche se vista a posteriori quell’Ortodossia porta con sé già i semi del conservatorismo.
Nel frattempo, sono passati quattro decenni “è morto Berlinguer, qualcuno ha l′AIDS, qualcuno il PRE, qualcuno è POST, senza essere mai stato niente” e Giovanni già nel 2004 aveva già provveduto a chiarire tutto definendosi “Orfano di Sinistra”. “Vuol dire che una famiglia, genetico-politica, l’avevo. Che non l’abbia più, l’ho vista morire l’ho sepolta, non significa che sono disponibile al farmi adottare. Ho superato la fase del lutto e del cordoglio, mi tengo disponibile, se il caso, per il pianto rituale”. Al di là delle provocazioni, che sono la sua eterna cifra stilistica, oggi rimane il più inclassificabile tra gli artisti, di sicuro quello che più di tutti ha scelto di fare quasi esclusivamente “quello che gli pare”.
E “quello che gli pare” ha portato anche al pubblico accorso il 16 luglio al Flowers Festival, spezzando la maledizione del Covid che aveva cancellato lo show di un anno e mezzo fa all’Hiroshima Mon Amour. Si parte con Aria di Rivoluzione, omaggio a un altro grande irregolare come Francesco Battiato, e si ascoltano le prime (e uniche) parole in prosa della serata: “Per te ho ballato, lanciando lode all’eterno all’inviolato. Non sei passato invano quaggiù. Sei stato e resti un dono per questa nostra povera patria”.
Non ci sarà spazio per commenti, battute o dibattiti, i 250 minuti successivi verranno riempiti solo del canto “sbilenco” di questo quasi 68enne in gilet e camicia, dal violino e dalla chitarra di Ezio Bonicelli, dall’altra chitarra e dal basso di Luca Alfonso Rossi. C’è tanto CCCP: Morire, Tu Menti, Mi Ami?, Oh! Battagliero, Valium Tavor Serenase, fino a quella Curami che rompe gli argini e i ragazzi seduti non li tieni più. Se c’è stato qualcosa di punk nella serata è proprio stato questo, i ragazzi si sono guardati intorno e sono allegramente tornati a zompettare sotto il palco. Potenza della musica, senz’altro, ma più ancora della saturazione da divieti e restrizioni.
Il suono è perfetto, il canto quasi, il luogo è sontuoso e gestito dallo squadrone di HMA, uno dei più rodati d’Italia. Bello, bellissimo ma, nonostante la scaletta dica il contrario, di Punk davvero rimane solo la capacità evocativa di queste canzoni, “accordi secchi e tesi segnalano il tuo ingresso nella mia memoria”.
Emilia Paranoica arriverà, quasi in fondo, pronta a scardinare le ultime difese emotive di quelli dai capelli bianchi, mentre ai 20/25enni zompettanti non potrebbe fregargliene di meno: quelli hanno pogato pure su Cupe Vampe. Quasi una trentina alla fine i brani: tanto di CCCP, quasi tutto il resto CSI, la sola Pons Tremolans dal repertorio solista, nulla dei PGR e per due volte Battiato (verso fine serata arriverà infatti anche E ti vengo a cercare).
Discutibile forse solo l’arrangiamento con ritmiche elettroniche di Annarella, un tentativo non riuscitissimo di cambiare qualcosa che per il medio seguace di Lindo Ferretti è e rimarrà sempre intoccabile.
“Lasciami qui lasciami stare lasciami così
Non dire una parola che non sia d’amore
Per me per la mia vita che è tutto ciò che ho
È tutto quello che io ho e non è ancora finita”
Poche parole che hanno battezzato con il fuoco una (e forse più) generazione intera, scritte pensando al padre e regalate alla Benemerita Soubrette nel momento in cui la storia dei CCCP palesemente mostrava definitivamente la corda. L’ultimo brano dell’ultimo disco fedele alla linea, nel 1990 quando la fine dell’URSS e quella del gruppo di Ferretti e Zamboni presero a intrecciarsi decretando di fatto la fine di un’epoca.
Il concerto invece termina con Spara Jurj, aperta dalla Bang Bang di Sonny and Cher, e lascia addosso il gusto della soddisfazione, per esserci stati ma ancor più per aver sentito come la certezza che sotto la patina lucente c’è ancora il vecchio punkettone. Giovanni Lindo Ferretti sorride, in fondo sa di poter continuare a dire: “non sono come tu mi vuoi”.