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Poppy – “I disagree”

Seguo assiduamente X Factor Italia dalla prima puntata della prima stagione, quando ancora era un prodotto Rai, e non me ne vergogno. Perché dovrei dopotutto? È vero che ci sono stati, e continuano a esserci, concorrenti esclusivamente televisivi e che molti degli aspiranti artisti più promettenti della trasmissione, spesso, al di fuori del contesto ovattato del programma, deludono profondamente. È anche vero, però, che trovare nella televisione generalista un programma musicale altrettanto valido, o che per lo meno provi ad esserlo, è difficile. Ricordo ancora oggi, a distanza di più di 10 anni, come pendevo tra le labbra dei vari giudici che rappresentavano la quota alternativa del programma. Ho imparato tanto da Morgan, ad esempio, quando nelle prime edizioni era un fiume in piena di proposte e conoscenza. Continuo ad imparare tanto anche oggi. Quest’anno “la quota” è tornata ad essere rappresentata da Manuel Agnelli che ha assegnato ad un suo gruppo molto interessante (Melancholia) una cover di una controversa artista/influencer venticinquenne americana dal nome Poppy.
La prima strofa di “BLOODMONEY” recita:
“What do you believe when everyone is watching? What do you believe? What do you believe when nobody is watching? What do you believe?”. Il ritornello invece inchioda l’ascoltatore con queste parole: “Keep telling yourself that you’ve been playing nice and go beg for forgiveness from Jesus the Christ”.
Me ne sono subito innamorato.
La traccia è tratta dall’album: “I disagree”, “Io non sono d’accordo”. Non ci potrebbe essere titolo più a fuoco per quello che la sua musica rappresenta. Un crossover continuo di generi che si mischiano l’uno all’altro senza soluzione di continuità. Un essere mutaforma, un virus parassita, che si annida utilizzando uno spillover perenne tra metal, elettronica, industrial, punk, teen-pop, noise, grime, glitch, classic rock, progressive e quasi qualunque altra cosa vi venga in mente. Un po’ quello che avrebbero dovuto provare a fare gli Sleigh Bells dopo il fulminante esordio del 2010, anziché tentare (inultimente) di ripetere il miracolo dell’esordio. Ogni traccia è tutto ed è niente. Ogni pezzo nasconde mille letture alternative, innumerevoli sotterfugi sonori, nell’ambizione, già in passato perpetuata da altri artisti (M.I.A. ad esempio), di avere mille piedi in mille scarpe, di voler essere tutto e voler essere niente. Profondamente alla moda e profondamente immune alle mode. Intensamente terrificante ma tutto sommato rassicurante. Un gioco in cui i confini sfuggono perché rimangono solo quello che sono: idee virtuali buone giusto per l’iperuranio ma per nient’altro. La cover dell’album rappresenta Poppy con il viso trafitto da lunghi e profondi chiodi. Un moderno Gesù Cristo donna. Per abbattere i confini, ancora una volta.

Andrea Castelli

“All I want in life is a little bit of love to take the pain away, getting strong today, a giant step each day” (“Ladies and Gentlemen we’re floating in space” - Spiritualized)