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Betty Wright, il flauto umano (21/12/1953 – 10/5/2020)

Le note sono solo una delle parti che compongono l’elemento che rientra sotto il nome generico “Musica”. Vi sono, per esempio, le chiavi, gli accordi, i ritmi, i modi, i toni e i registri. Qual è il registro più alto della voce umana? Quello chiamato “registro di fischio” o “di flauto”.

Miami, Florida, 21 dicembre 1953. Nascere in una famiglia che ha già altri sei figli può provocare due fenomeni conseguenti: i genitori lo ritengono una benedizione, ma solo se la loro fede nel Signore è grande (molto grande), e hai già bell’e pronto un gruppo gospel di famiglia.
Bessie Regina Norris sin da bambina ha la voce giusta per diventare un piccolo fenomeno in seno alla comunità della chiesa locale: ha solo 2 anni quando i fratelli costituiscono gli Echoes Of Joy e iniziano ad esibirsi professionalmente con lei nel circuito gospel dello stato, per la gioia di mamma Rosa Akins Braddy-Wright e papà McArthur Norris. Il gruppo dura una decina d’anni, ma nel 1965 si giunge a una rottura per dissapori famigliari e Bessie, che nel frattempo ha assunto il nome d’arte di Betty Wright, a soli 11 anni si ritrova caparbiamente a reclamare il proprio diritto ad esprimersi in un linguaggio che sente congeniale: è sempre più attratta dal rhythm & blues, dal soul, la musica dell’anima che dal gospel sta traghettando le istanze “black” in ambito secolare.
Betty ha una vocalità molto duttile e matura, per essere così giovane, e vince spesso i contest organizzati dai talent scout di Miami: incide un paio di singoli per un’etichetta locale, ma soprattutto dimostra di aver appreso molto dall’ambiente, tanto da risultare lei stessa una precoce cacciatrice di talenti, al punto da scoprire e segnalare ai discografici, già nel 1967, future glorie del calibro dei coniugi George e Gwen Mc Crae.
Non ha ancora compiuto i 15 anni quando, rubando tempo agli studi e col permesso dei genitori, incide le session che produrranno Girls Can’t Do What the Guys Do, brano scritto da Clarence Reid e Willie Clarke che verrà edito a 45 giri dalla Alston, etichetta creata dall’ex idolo delle ragazzine Steve Alaimo, assieme a Brad Shapiro, appositamente per pubblicare quanto prodotto dal team Wright-Reid-Clarke presso i T.K. Studios. La label sigla un accordo di distribuzione con l’Atlantic e il singolo verrà spinto su scala nazionale raggiungendo la 15esima posizione della classifica R&B e la 33esima in quella Hot 100, ma attirandosi le accuse del movimento femminista che contestava la doppia morale del testo (verrà comunque ripresa da Dusty Springfield nel 1972).
Il successo convince e il brano aprirà l’album “My First Time Around”, licenziato dalla ATCO, sussidiaria della Atlantic. Il disco si apre con il singolo e Clarke e Reid scrivono la maggior parte dei brani, ma la ragazzina si prende la soddisfazione di registrare due brani che recano la sua firma: Watch Out Love, scritta con Brad Shapiro e Willie Clarke, e la sorprendente (la ragazza ha pur sempre 15 anni), totalmente autografa, Circle Of Heartbreak, nella quale evidenzia la capacità di raggiungere gli alti registri. Non mancano cover azzeccate come Cry LIke A Baby (composizione di Dan Penn e Spooner Oldham resa celeberrima dai Box Tops pochi mesi prima) o la splendida I’m Thankful, scritta da Alaimo con Sam Cooke e il suo produttore J.W. Alexander, la cui interpretazione manifesta l’abitudine nel maneggiare testi gospel: la voce compie un intero percorso, elevandosi per raggiungere il Cielo per poi ritornare alla fisicità terrena.


Escono altri singoli meno significativi sul piano del riscontro commerciale, ma pezzi come Pure Love (1970) sono talmente perfetti che verranno comunque inseriti nell’LP successivo: la caratteristica di cui sopra, quel registro del fischio che Betty dimostra di raggiungere con facilità, dovrebbe essere convincente circa la bontà di un investimento su di lei, ma nessuno sa esattamente come maneggiare la cosa, quindi viene sfruttato raramente.
Ci metterà un altro paio d’anni a terminare il corso di studi, la nostra Betty (quelli gli accordi presi con la madre all’epoca del primo LP), quindi anche la Alston deve attendere prima di farle incidere un nuovo album e la preoccupazione che il pubblico si sia dimenticato della ragazza è comprensibile: bisogna trovare una hit sicura, che la renda nuovamente protagonista assoluta.  Stavolta il successo arriva travolgente e insperato già col singolo che lo precede, nonostante i dubbi della protagonista: “Devo ammettere che non mi aveva impressionata molto, né che fossi convinta che potesse diventare un successo per me. Ma il titolo e il ritmo mi sembravano  accattivanti e speravo che il pubblico avrebbe apprezzato almeno queste due caratteristiche” (da un’intervista del marzo 1972 riportata nel libretto della ristampa in cd dell’album su Water, 2006).
Il singolo Clean Up Woman (1971, sempre firmato Reid-Clarke) comincia a vendere sostanziosamente, così viene ripubblicato griffato Atlantic e abbinato alla hit precedente sul lato B. Risultato: numero 2 R&B (battuta solo da un certo Al Green con Let’s Stay Together…), numero 6 in quella Hot 100 di Billboard. Ed è anche una risposta alle critiche di due anni prima: in un mondo dominato dallo sfoggio maschilista di conquiste femminili a getto continuo, una donna che risponde a tono battendoli sullo stesso terreno aiuta non poco il successo, specie se sostenuto musicalmente da un lavorio continuo di basso e chitarra di questo livello. Tocca al long-playing, ora.
I Love The Way You Love” (1972) è un album che offre esattamente quanto fa presagire la copertina, con quella foto in controluce virata in rosso: musica seducente, sensuale e che comincia a inserire elementi funky: la scuola di Curtis, Marvin, Sly & co., sta raccogliendo adepti e Miss B. non si fa cogliere impreparata. All’ormai collaudata squadra si aggiunge Willie “Little Beaver” Hale, che trova un’ottima intesa con Clarke e che successivamente offrirà una sua versione della title track (realizzata sulla traccia esistente). Cercando i credits sotto I’ll  Love You Forever Heart And Soul  si legge “B. Wright” tra gli autori, e non a caso la voce vola sugli acuti. Solo due le cover: I Found That Guy, versione al femminile di un brano dei Jackson Five (I Found That Girl, 1970) e una Ain’t No Sunshine che rende giustizia al classico di Bill Withers. E provate a star fermi ascoltando All Your Kissin’ Sho’ Don’t Make True Lovin’, classico funky che finirà sul lato B del singolo sulla cui facciata principale compare I’m Gettin Tired Baby. Le radio, ovviamente, iniziano a spingere il primo lato, il 45 giri si blocca sulla 44esima posizione della Billboard R&B chart, mancando del tutto nella Hot 100. Ma quando i dj girano il 7” e cominciano a proporre la flip side nei loro programmi, il singolo ricomincia a salire e manca solo di un’inezia  i Top 20 R&B, fermandosi al numero 21.
Non si è ancora spenta l’eco del 33 giri che Betty annuncia di avere per le mani quello che “sarà un clamoroso successo, persino migliore di Clean Up Woman”. Alla Alston pensano che sia il caso di battere il ferro finché è caldo, così Is It You Girl, ancora poggiata su un ritmo à la James Brown, raggiunge rapidamente i negozi e viene programmata dalle radio: il risultato sarebbe lusinghiero per un’esordiente, ma Ms. B, come viene ribattezzata dalle riviste musicali, è già entrata nei Top 10 e un 18esimo posto – per di più solo nella categoria R&B – di una canzone sulla quale si era puntato molto, lascia un po’ di amaro in bocca.
Niente di meglio che pubblicare un’altra registrazione già pronta. Baby Sitter è una delle prime composizioni di Betty, rimasta in un cassetto fino a quando non vi rimette mano con Clarke e Reid: finirà al numero 6 nella chart R&B, ma ancora una volta non centrerà l’ingresso in quella “generica” Hot 100. L’album che segue, “Hard To Stop”, completa la trasformazione in donna consapevole: Betty appare in copertina nell’intento di abbracciarsi, l’espressione è seria, l’acconciatura tribale rende giustizia a un volto bellissimo, la fotografia seppiata, virata sui toni marroni.
A conferma del nuovo corso, l’apertura è affidata a I Am Woman, canzone di Helen Reddy, che l’aveva composta (con Ray Burton) e portata al successo nel 1971, quando veniva subito adottata dal Movimento per l’Uguaglianza della Donna quale colonna sonora delle manifestazioni. Naturalmente, la versione della Wright aggiunge drammaticità, grazie anche alla differente pigmentazione dell’interprete che carica il brano di ulteriori significati.
Lo stile delle produzioni Alston è ormai codificato, ha una sua personalità che lo distingue da Stax, Motown, Fame, Hi Records… Betty è sicuramente una degli artefici, visto il contributo già offerto in precedenza, ma stavolta si occupa direttamente di alcuni arrangiamenti: oltre a I Am Woman, Gimme Back My Man, arricchita da fiati squillanti e una linea di basso memorabile, e  We The Two Of Us, molto pop. Ma è soprattutto il “Miami Sound” a caratterizzare l’album: come in If You Think You’ve Got Soul, perfetta sintesi dei ritmi che risentono dell’influenza della massiccia immigrazione caraibica nella città della Florida.
E che dire di Let Me Go Down (firmata da Al Kooper), dove finalmente la voce può raggiungere le vette che le competono, con tanto di raggiungimento del famoso registro? O del brano di chiusura, It’s Hard To Stop (Doing Something When It’s Good To you), con quell’atmosfera che trasuda erotismo?
Nel 1974 sarà la volta di “Danger High Voltage”, album ancora molto fortunato ma il sound si sta commercializzando, come capiterà a buona parte delle produzioni “black” del periodo: la disco bussa forte alle porte, l’anno successivo sarà quello in cui sfonderà a livello planetario e per un lustro ci saranno solo due generi: punk e New Wave da una parte, disco dall’altra.
L’introduttiva Everybody’s Was Rockin’ e Where Is The Love (scritta da Betty, otterrà persino un Grammy come Best R&B Song)spiegano al meglio il concetto appena espresso. Shoorah! Shoorah!, il cui feeling neorlensiano rivela la scrittura di Allen Toussaint, ottiene moderato successo. Ma sarà Tonight Is The Night ad avere la storia più strana: pubblicata in formato 7” raggiungerà la 28esima posizione della classifica R&B, ma quattro anni dopo, inserita in “Betty Wright Live” e allungata ad oltre 8 minuti (comprensivi di un monologo e qualche passaggio di Pure Love), tornerà nella stessa classifica, attestandosi all’11esimo posto, mentre Secretary si fa onore sulle onde radio.
Da questo momento la carriera di Betty Wright assume contorni meno netti: avrà ancora varie hit, ma soprattutto si dedicherà alle produzioni. Nel 1985 creerà la Miss B Records, grazie alla quale potrà fregiarsi, tre anni più tardi, del titolo di prima artista femminile di colore ad ottenere il disco d’oro con un album inciso per una propria etichetta (“Mother Wit”, 1987).
Tra le sue produzioni potremmo nominare solo Gloria Estefan, Jennifer Lopez e Joss Stone, e scusate se è poco. E che dire del lavoro fatto assieme a Steve Greenberg e Michael Mangini per Tom Jones (una cover di The Hitter di Springsteen e More Than Memories di Carla Thomas, entrambe su “24 Hours”, 2008)?  Nel 2009 lo stesso trio produce l’esordio di Diane Birch, “Bible Belt”, realizzando uno splendido lavoro di pop-soul (consigliato!).
L’ultima prova in studio la offre assieme ai mai troppo lodati The Roots: “Betty Wright: The Movie” non colpisce quanto si poteva immaginare, un disco appena discreto, ma provate ad ascoltare Baby Come Back, cui partecipa Lenny Williams, o a non rimanere a bocca aperta quando, in Surrender, il flauto umano dà il meglio di sé…

(Betty Wright ci ha lasciato il 10/5/2020 dopo una breve battaglia contro il cancro, a soli 66 anni).

Massimo Perolini

Appassionato di musica, libri, cinema e Toro. Ex conduttore radiofonico per varie emittenti torinesi e manager di alcune band locali. Il suo motto l'ha preso da David Bowie: "I am the dj, I am what I play".