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Autostrade digitali mitteleuropee – Florian Schneider (7/4/1947 – 30/4/2020)

Dobbiamo farcene una ragione, ma è così triste: l’età avanza per tutti, i nostri eroi musicali invecchiano e inevitabilmente diventano più fragilii, meno capaci di reagire all’aggressione delle malattie. Uno per uno, quindi, ci abbandonano lasciando l’impressione che nessuno possa afferrare il testimone e proseguire la corsa.
Sono passate poco più di 48 ore dalla scomparsa di uno dei più originali tastieristi della seconda metà degli anni 70, Dave Greenfield, ed ecco che una giornata che si era aperta con la perdita di Millie Small (cantante giamaicana che per prima fece finire lo ska nei top five inglesi con quel gioiello della sua poppissima versione di My Boy Lollipop), arriva a chiudersi con la notizia, ritardata per volontà della famiglia, della scomparsa di Florian Schneider, ovvero uno dei fondatori dei Kraftwerk, band teutonica di somma importanza per lo sviluppo della musica post-1974, anno in cui veniva pubblicato “Autobahn”.


Nati dalle ceneri degli Organisation, Ralf Hütter e il nostro Florian fondano la sigla che conosciamo. Interessati solo alla musica, per nulla a quisquilie quali il look o le pose da rockstar, fanno giungere ai negozi i dischi dalla confezione probabilmente meno accattivante di sempre: sfondo bianco sul quale campeggia un cono da segnalazione di quelli utilizzati per i lavori stradali, bianco e arancione sul primo album, bianco-verde sul secondo. Tutto questo, prima che i fondatori rimanessero gli unici depositari del marchio e “Ralf & Florian” sancisse definitivamente l’unità d’intenti tra Hütter e Schneider, mentre il resto della truppa costituirà un nuovo sodalizio chiamato Neu!, uno dei capisaldi del kraut-rock.
A questo punto, i due reclutano il batterista Wolfgang Flür, ripensano il concetto in chiave pop e danno alle stampe il primo capolavoro, “Autobahn”, ottenendo il primo clamoroso successo.
Da qui in poi, oltre alla svolta che li spinge ad intitolare e cantare in inglese le edizioni internazionali, nulla potrà arrestare la smania di sperimentare, né la filosofia di fondo che si immerge nel rapporto di amore/odio tra il progresso e l’Uomo: dalla Mitteleuropa di “Radio-Aktivität” (“Radio-Activity”, il primo al quale partecipa Karl Bartos, anch’egli percussionista) e “Trans Europa Express” (“Trans Europe Express”), alla riflessione sul rischio che la tecnologia prenda il sopravvento sull’essere umano, ridotto a robot, di “Die Mensch-Machine” (“The Man Machine”) e la definitiva consegna del mondo nelle mani dell’intelligenza artificiale di “Computerwelt” (“Computer World”). Tutti successi di grandi proporzioni, ovviamente e al tempo stesso inopinatamente, visto il genere.
Dopo un lustro sabbatico in cui succede un po’ di tutto, persino un serio incidente ciclistico occorso ad Hütter e ironicamente di poco successivo alla pubblicazione (1983) di un singolo intitolato Tour De France, nel 1986 esce “Electric Cafe” (che nel 2009, quando verrà rimasterizzato il catalogo, verrà ribattezzato “Techno Pop”, uno dei working title assegnati durante la registrazione), più che discreto ma non eccezionale se paragonato ai precedenti, seguito da “The Mix”, interessante ma pletorica riproposizione di successi rielaborati: una sorta di “remixed greatest hits”.

Proprio il singolo del 1983 torna (è proprio il caso di dirlo) in pista quando, persi per strada in tempi diversi Bartos e Flür, le due menti del gruppo decidono sia il momento di ri-registrare il brano, lavorare su altre “incompiute” e dare alle stampe quella che rimarrà la loro ultima produzione in studio, “Tour De France Soundtracks” (l’ultima parola sparirà nella versione rimasterizzata del 2009). Altra prova superba, più alto piazzamento di sempre (finiscono al numero 1 anche nella classifica tedesca, ed è la prima volta, mentre è altrettanto inedito il mancato ingresso nella Top 200 di Billboard).
Sarà sufficiente scegliere qua e là nel repertorio (decisamente non colossale: 10 album in poco più di trent’anni, volendosi fermare a “Minimum-Maximum”, live del 2005 che fotografa i concerti della tournée di  “Tour De France”, pubblicato nel 2005, anno dal quale si limiteranno a suonare dal vivo) per rendersi conto di quanta della “musica che gira intorno” sia debitrice al duo di Düsseldorf.
Dopo gli abbandoni, come abbiamo visto, di Wolfgang Flür (nel 1987) e Karl Bartos (1991) anche Florian saluta il vecchio amico nel 2008 e si ritira.
Per una sfortunata serie di circostanze, l’unica volta in cui riuscirò finalmente ad assistere a un concerto dei Kraftwerk sarà nel 2017, quando di membri originali vi era solo Ralf: fu ugualmente fantastico, ma mi rimarrà sempre il rimpianto di non averti visto, herr Florian Schneider-Esleben.

Massimo Perolini

Appassionato di musica, libri, cinema e Toro. Ex conduttore radiofonico per varie emittenti torinesi e manager di alcune band locali. Il suo motto l'ha preso da David Bowie: "I am the dj, I am what I play".