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The Rolling Stones – Living In A Ghost Town

Sono un fantasma
Che vive in una città fantasma
Puoi venire a cercarmi
Ma non posso essere trovato

Beh, le avvisaglie c’erano tutte: sapevamo che da qualche tempo si trovavano in studio, che nei loro interventi sui social e nelle interviste facevano riferimento a una ritrovata creatività, ma sembravano uscite estemporanee di arzilli vecchietti che non volevano darsi per sconfitti, o millanterie degne di ex pugili un po’ suonati.
Poi c’era stata quella lockdown version di You Can’t Always Get What You Want eseguita (benissimo, ça va sans dire) durante la kermesse One World: Together At Home del 18 aprile a farci realizzare che benzina ce n’era ancora, per davvero.  E ora eccoli qui: Living In A Ghost Town è stata pubblicata all’improvviso nel pomeriggio di un anonimo giovedì, giusto cinque giorni dopo.
La “botta”, in positivo, è stata notevole: si tratta di una canzone di spessore, suonata e cantata (ma che voce hai ancora, Mick?) divinamente, con un testo attualissimo e un video basato su un percorso accelerato nella Londra deserta e blindata, splendida ma soggiogata come una Beast Of Burden dall’emergenza causata dal Covid-19.
Pare che la canzone risalga a circa un anno fa e che il riferimento alla situazione attuale sia casuale: sono propenso a crederlo (anzi, penso che la scrittura risalga ancora a prima) ma un recente rimaneggiamento del testo sarebbe plausibile:

Once this place was hummin’
And the air was full of drummin’
The sound of cymbals crashin’
Glasses were all smashin’
Trumpets were all screamin’
Saxophones were blarin’
Nobody was carin’ if it’s day or not

(Un tempo questo posto era tutto un mormorio/ E l’aria era piena del suono dei tamburi/ Il suono dei cembali percossi violentemente/ Si sfasciavano bicchieri/ Le trombe gridavano/ I sassofoni squillavano/ A nessuno importava se fosse giorno o meno)
Quasi un riferimento all’impossibilità di tenere concerti, ai locali chiusi. E ancora:

Preachers were all preachin’
Charities beseechin’
Politicians dealin’
Thieves were happy stealin’
Widows were all weepin’
There’s no beds for us to sleep in
Always had the feelin’
It will all come tumblin’ down 

(I predicatori erano tutti a predicare/Implorando beneficenza/ I politici a negoziare/ Iladri felicemente a rubare / Le vedove a piangere/ Non ci sono letti per dormire, per noi/ Ho sempre avuto sentore/ Che tutto crollerà)
L’inerzia dei politici, la beneficienza che deve supplire alle carenze dello stato, le morti numerose, i senza tetto, l’incertezza del domani con la paura che tutto crolli…
Un testo importante, quasi ingombrante in un momento simile, quando siamo ancora immersi nella situazione e non abbiamo quel distacco necessario ad inquadrarla da una prospettiva che ci renda un quadro d’insieme.
E la musica?
Il primo ascolto, sin dalle prime battute, mi ha riportato a quei giorni del 1978 quando, quindicenne fresco di un mesetto d’immersione totale in “Some Girls”, decidevo che questi londinesi (dei quali in precedenza avevo solo una cassetta scrausa, praticamente inascoltabile, di quelle acquistate dai venditori abusivi sul lungomare, che riproduceva la raccolta “Made In The Shade”) meritavano tutta l’attenzione che già riservavo alle raccolte (rossa e blu) dei cugini di Liverpool: mi recavo ad acquistare qualche altro loro album e trovavo proprio il precedente, “Black And Blue”.
Ecco, l’effetto è stato più o meno il medesimo di Hot Stuff: questo incedere reggae-funk, così negroide da risultare sublime per ogni cultore delle Pietre Rotolanti, quelle chitarre indolenti, la batteria metronomica “con leggero ritardo”, il piano elettrico e l’hammond, i coretti “Uooho Hohooo”, l’armonica assassina (ancora, Mickie: da quanto non ce la facevi ascoltare così bene su un brano originale?).


Bella novità, bellissima: adesso basterebbe che nel nuovo album, che a questo punto attendiamo bramosi, ci fossero anche una ballata della forza di Memory Motel, un lento della caratura di Fool To Cry, un jazz-blues alla Melody
Insomma: se il livello fosse quello del triennio 76/78 che bell’uscita di scena sarebbe, ragazzi? Ammesso che vi passi per la testa l’idea di smettere, prima o poi: noi non abbiamo fretta, eh?

 

Massimo Perolini

Appassionato di musica, libri, cinema e Toro. Ex conduttore radiofonico per varie emittenti torinesi e manager di alcune band locali. Il suo motto l'ha preso da David Bowie: "I am the dj, I am what I play".