Live Reports

CALIBRO 35 – Hiroshima Mon Amour 20022020, Torino.

La prima volta fu nel 2015, esattamente una settimana dopo i fatti del Bataclan. L’Hiroshima Mon Amour per lo strascico emotivo lasciato da quel tragico evento era pieno solo per metà e la metà dei presenti aveva spesso le testa girata verso l’uscita anziché verso Gabrielli & Co.
La seconda fu per il giro di presentazione di “Decade”, il disco che nel 2018 suggellava nel miglior modo possibile (è un capolavoro) i primi dieci anni di carriera del gruppo. L’Hiroshima, come spesso accade per via di una programmazione fitta e accurata, era bello pieno di gente.
La terza è stata la sera del 20 febbraio per il concerto del Tour di lancio al nuovo e fiammante Momentum”, album uscito in gennaio per Record Kicks e celebrato da ogni testata italiana e internazionale, Il locale di Via Bossoli 83 era pieno all’inverosimile, a certificare l’ennesimo sold-out di questa prima tornata di concerti.
Intorno alle 22:30 un’asettica e robotica voce femminile, sconsiglia di visualizzare il concerto attraverso gli schermi dei telefoni, suggerisce nel caso non se ne possa proprio fare a meno l’utilizzo degli hashtag “Calibro 35”, “Momentum” e “Live” per il lancio dei filmati sui social e augura buona visione.
Augurio che per la fruizione di un concerto privo di qualsiasi elemento visuale e scenografico, al netto della bontà delle luci utilizzate, poteva apparire inadeguato, è invece  perfettamente azzeccato, perché quella che si materializza sul palco in real 3D è, no contest, la miglior live band italiana: Massimo Martellotta chitarre, tastiere e aggeggi vari, Fabio Rondanini con la sua minimale batteria, Luca Cavina al basso e Enrico Gabrielli nascosto dietro a tastiere e fiati è la formazione schierata in questa tournee, priva degli Esecutori di Metallo su Carta presenti in quella precedente.
Quattro fuoriclasse in perfetta simbiosi, normalmente impegnati in progetti paralleli e singolarmente richiestissimi per suonare con altri artisti, ma sempre pronti e ispirati quando la Mothership chiama a raccolta.
Si comincia con la stessa sequenza di brani che apre il nuovo album, Glory Fake Nation e Stan Lee (priva della parte rappata) escono con prepotenza dai PA e i tre subwoofer posti ai piedi del palco pompano in sala un grande e turgido suono di basso e gran cassa come se ne sentono raramente. La raffinatezza degli arpeggi e dei fraseggi di Death of Storytelling (che brano meraviglioso questo) rendono altrettanto bene: merito di Tommaso Colliva, mente del progetto, produttore e responsabile dei suoni che si sentono in sala e sui dischi è un elemento fondamentale e insostituibile. Superstudio arriva da “Decade” e sarà l’unico brano a rappresentare quel magnifico disco in una scaletta dove figureranno tutte e dieci le canzoni del nuovo lavoro. Sorte migliore tocca a “S.P.A.C.E.” da cui arrivano diversi brani perché album era sì in continuum con i loro precedenti ma testimone di una decisa sterzata verso uno stile atto a mischiare elettronica vintage, space jazz, psychedelia, Africa retro-futurista, hip-hop e krautrock, anticipatore della modernissima linea che gira adesso nel mondo con sigle come The Comet is Coming, Szun Waves, Sons of Kemet e artisti del calibro di Makaya McCraven e Damon Locks, Moses Boyd e Robert Glasper. Segno evidente della straordinaria larghezza di vedute di questo pugno di artisti che dodici anni fa chiudevano la portiera e accendevano il motore di quella Giulia 1300 per iniziare questo meraviglioso percorso musicale.


Il pubblico segue il concerto con attenzione e concentrazione e il consiglio della robotica voce iniziale sembra aver sortito l’effetto voluto perché il numero dei telefoni alzati per filmare è una volta tanto a un livello sopportabile. Il quartetto sembra gradire e sforna una prestazione stupefacente, un vortice impetuoso che ingloba il Morricone più lounge e quello più sperimentale, il Carpenter di “Distretto 13” e l’Antonio Margheriti de “I Diafanoidi Vengono da Marte”,  maelström da cui schizzano fuori come scintille Tom Dowd, Automata e Bandits on Mars, come lingue di fuoco  4×4, Ungwana Bay Launch Complex e Thunderstorms and Data e come una tempesta solare la nuova One Nation Under a Format miscelata alla “vecchia” Trafelato: un oceano incandescente dove collimano e collidono dissonanze, funky, rock e derive noise supercontrollate, pantaloni a zampa d’elefante e occhiali a specchio, Funkadelic, Heliocentrics, Tortoise e Sun Ra.
I bis viaggiano su strade sicure tracciate in rosso su vecchie mappe: Clbr35, Giulia Mon Amour e Notte in Bovisa chiudono la serata lasciando il pubblico in tripudio. Un concerto fantascientifico.
Che meraviglia”, “Fantastici, da non crederci”, “Me ne avevano parlato bene ma non pensavo fossero davvero così bravi”, “Non vedo l’ora di poterli rivedere”, “Aspetta che al banco del merchandising hanno il POS”…sono alcuni dei commenti captati uscendo dalla sala.
La prossima volta, la quarta, credo saranno necessari spazi più capienti. Le premesse ci sono tutte.

 

 

Roberto Remondino

"Wishin' and hopin' and thinkin' and prayin' Plannin' and dreamin' each night of her charms That won't get you into her arms So if you're lookin' to find love you can share All you gotta do is hold her and kiss her and love her And show her that you care".