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Countless Branches: Bill Fay (Dead Oceans 2020)

Bill Fay ha 77 anni, quasi l’età dei miei genitori, un paio d’anni in meno.
Ascoltandone la voce mi è  quasi inevitabile pensare a loro. E’ una voce fragile come cristallo ma morbida come velluto, una voce che è come uno zaino carico di giorni goduti e patiti, vissuti con tutti i loro doni e le loro perdite, uno zaino che si è riempito per la strada di tenerezza, amore, gioia per quella sorpresa continua che è la vita umana.
Da tempo cerco di provare ad immaginare come sarò in grado di affrontare quel momento cruciale dell’esistenza che è  la vecchiaia. Cerco di leggere nel modo di affrontare il crepuscolo da parte di chi mi ha dato la vita i segnali di quello che potrebbe essere il mio destino futuro. Quanta serenità, quanto coraggio, quanta tristezza, quanto sconforto, quanta paura, quanta pace interiore conterranno le mie giornate da persona anziana ?  Quale spirito vitale riuscirà a mantenersi acceso durante gli anni in cui il corpo progressivamente abbandona le forze e la mente perde l’elasticità e la rapidità dei giorni migliori ?
Forse per questa ragione mi lascio toccare profondamente dalla musica di quegli artisti che dopo aver scritto pagine importanti nel libro che racconta la storia della musica degli ultimi sessant’anni sono giunti a confrontarsi faccia a faccia con lo spettro della terza età.  E così mi sono immerso a piene mani nel Cash delle American Recordings, nel Reed che intingeva la penna nel dolore e nella morte di “Songs for Drella” e “Magic and Loss”, nel Cohen che si accomiatava dalla vita di “You want it Darker”, nella Faithfull che mestamente raccoglieva insieme le perdite, i ricordi, ed i rimpianti in “Negative Capability”, in quel Bowie, supremo celebrante del matrimonio tra arte e vita che, come rito definitivo, univa a nozze con la prima persino la morte sotto la luce di una stella nera, in un Battiato che si arrendeva definitivamente ad una salute troppo cagionevole con quell’ultimo dolente omaggio  che mestamente prometteva: “Torneremo Ancora” . Tutte opere, quelle menzionate, che hanno donato emozioni profonde ma altresì cariche di tristezza e mai scevre della inevitabile amarezza che accompagna la pre-visione della fine del proprio viaggio terreno.
Non cosi accade all’ascolto di quanto Bill Fay ha scritto e cantato negli ultimi otto anni da quando nel 2012, dopo un silenzio più che quarantennale, è tornato a cantare la vita con quel capolavoro puro come un giglio che porta già nel titolo “Life is People” la cifra di un uomo davvero speciale. A quel ritorno incantevole ha fatto seguito, tre anni dopo, un’altra scintillante gioia intitolata “Who is the sender ?” Chi è il mittente ?.
“Countless Branches” Il terzo atto di questo ritorno miracoloso che ha pochi eguali nella storia della musica tutta è giunto a rasserenare l’animo nei primi giorni di questo 2020.
Ancora una volta è sufficiente scorrere i titoli dei brani per ritrovarsi  immersi nella profonda serenità e spiritualità  che sgorgano dal cuore di questo quasi ottantenne che parla di sale della terra, di mani umane che si emozionano toccano qualcosa di reale, della bellezza di una vita che cambia costantemente, del suo intento di rimanere tra le colline della sua giovinezza alla ricerca della verità mentre il tempo va… da qualche parte, della meraviglia che riempie il suo spirito di fronte al mistero dell’esistenza, dell’amore che rimarrà  per sempre.
La scelta di Fay e del fidato produttore Joshua Henry di spogliare questa musica di quasi tutti gli abiti che avevano meravigliosamente vestito i brani dei due dischi precedenti e il passo uniforme delle canzoni, prive dei momenti più  vivaci presenti  in quegli album, conferisce all’opera una cristallina fragilità  ed una intensa intimità  che riportano ad altri dischi dal taglio analogo, “White Chalk” della Harvey, “Mid Air” di Paul Buchanan, “Pink Moon” di Nick Drake. Ma dove i sentimenti che albergano in quelle opere sono intrisi di oscurità, rimpianto, malinconia e dolore, qui c’è sempre una luce accesa a rischiarare i passi che percorrono la scaletta del disco. La luce di chi, grazie ad una virtù non comune, riesce a  godere della bellezza e della ricchezza della vita umana e a riconoscere l’armonia del creato al di la delle paure, delle ansie e degli acciacchi della vecchiaia.
I sette brani che arricchiscono la versione de luxe sono in gran parte versioni rivestite di quanto presente nel disco originale e ancora una volta gli arrangiamenti pieni e ariosi scelti dalla coppia Fay-Henry sono in grado di far volare le canzoni su ali sicure in modo che planino leggiadramente nell’animo di chi ascolta.
E’ un altro miracolo questo “Countless Branches”, un incantesimo che mantiene l’opera di Fay ad un livello raggiunto da pochissimi nell’ultimo decennio.
Non a tutti è dato invecchiare come questo splendido anziano signore britannico, ma certamente a chiunque abbia la fortuna di ascoltare questa musica celeste, puro balsamo per l’anima, è dato immaginare di poterlo fare.
Un dono estremamente prezioso in questi anni faticosi.

 

Ettore Craca

"Nel suono, nella pagina, nel viaggio, nell'amore io sono. In ogni altro luogo e tempo non sono".