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The Magnetic Fields: 20 anni da “69 Love Songs”

“Those parts of thee that the world’s eye doth view, want nothing that the thought of hearts can mend” (“Sonnet 69” – Shakespeare)

Stephin Merritt voleva fare un musical. Ormai il dado era tratto. C’erano già i manifesti sparsi nella sua San Francisco. Doveva chiamarsi: “100 Stephin Merritt Love Songs”. 100 canzoni da comporre. Questa volta ci avrebbe messo addirittura il suo nome nel titolo. Niente più moniker dietro i quali nascondere la sua timidezza, le sue composizioni brillanti, sarcastiche, depresse e folli, felici e stranianti, eppure così semplici ed immediate.
Nei primi 2 album, Stephin, non aveva neanche osato inserire la sua voce, così profondamente bassa da farti vibrare tutti i tessuti del corpo. Quando ha iniziato a farlo, però, la magia si è proporzionalmente amplificata. Ha timidamente provato con l’EP “The house of tomorrow” per lanciarsi definitivamente nel magnifico “The Charme of the Highway Strip”. Per la prima volta la sua voce è l’unica a cantare tutti i brani dell’album. Chi altro avrebbe potuto raccontare con la stessa intensità in “Born on a train” la sua infanzia difficile? Cresciuto senza padre (che scoprirà poi essere il musicista folk Scott Fagan), con una madre fuori dagli schemi che lo trascina da un concerto all’altro, da una casa all’altra (33 in 23 anni).
Me lo immagino, nel suo locale gay preferito, nel momento in cui si rende conto che questo maledetto musical non sarebbe riuscito a farlo, che sarebbe stato veramente troppo difficile, ma che le canzoni stavano nascendo, erano belle e parlavano d’amore. Me lo immagino mentre diventa tutto chiaro: Un disco! È questa la soluzione! Come non averci pensato prima!? Ma comporre 100 brani è improponibile…40? Che numero anonimo…69? Si! 69! Per quello che rappresenta e per come visivamente riempie la cover dell’album. Che “69 Love Songs” sia! Il moniker continua a essere quello dei Magnetic Fields ed è anche corretto che sia così perché per rendere il disco più fluido le voci di Merrit, di Claudia Gonson e Dudley Klute si alternano continuamente in questi 3 cd da 23 canzoni l’uno. Usciti separati, ben presto tutti si resero conto che da soli il loro destino sarebbe stato quello di sprofondare nell’anonimato. Vengono quindi pubblicati in un unico, enorme, triplo album, per la felicità del suo autore, che sempre così se li era immaginati.
È “Un disco che parla di canzoni d’amore, non di amore” ci tiene a precisare Stephin. La magnetic filedsdifferenza è poi così grande?
Più di 100 strumenti utilizzati (ma sempre in numero limitato, in ogni brano) e innumerevoli generi musicali attraversati in queste 69 gemme preziose, sempre filtrati attraverso la formazione classica del suo autore. Dà l’impressione di non essere un caso che sia uscito nel 1999, quasi a voler riassumere, attraverso la propria lente, tutta la musica, anche solo vagamente, racchiusa sotto la dicitura “pop”, genere che proprio nel XX secolo è nato, morto, e rinato infinite volte in infinite forme che solo il caos creativo può creare e può capire.
Si passa dal Country-Folk di: “A chicken with its head cut off”, “Reno Dakota”, “I think a need a new heart, “The one you really love”, “Kiss me like you mean it”, “I’m sorry I love you”, “Queen of the Savages”, al meraviglioso non-sense di: “Absolutely Cuckoo”, “Punk Love”, “Wi’ Nae Wee Bairn Ye’ll Me Beget”, ”Experimental Music Love”, “Xylophone track”, “Zebra”, al Synth-pop di: “I don’t want to get over you”, “Fido, your leash is too long”, “Parades go by”, “No one will ever love you”, “If you don’t cry”, “(Crazy for you but) Not that Crazy”, “Long forgotten fairytale”,” I shatter”, “Underwear”, “Love in the shadow”, “I can’t touch you anymore”, “How to say goodbye”, “Strange Eyes”, allo Shoegaze di: “When my boy walks down the street”, al Dream Pop di: “Yeah! Oh, Yeah!” al Reggae di: “It’s a crime”, al Rockabilly di: “Meaningless”, al Blues di: “Blue you”, alla musica orchestrale di: “Very funny”, alla World Music di: “World Love” ecc…Potrei continuare ancora per molto ma alla fine quello che importa è gettare il cuore oltre l’ostacolo. E come non farlo davanti al romanticismo di: “Washington D.C.”, “The book of love” (molto famosa la cover di Peter Gabriel), “Nothing matters when we’re dancing”, “Gran Canyon”, “Papa was a Rodeo”, “Asleep and Dreaming”, “The way you say good night”, “Busby Berkeley dreams”, “Two kinds of people”, “The night you can’t remember” e soprattutto “Time enough for rocking when we’re old”: la mia preferita. Ho voglia di rileggermi il suo dolcissimo testo, ma prima clicco play sul mio telefono e mi faccio cullare dalla tenera melodia e dalla rassicurante e calda voce di Stephin Merritt mentre canta: “There’ll be time enough for sex and drugs in Heaven, my love and time enough for rocking when we’re old”.

 

 

Andrea Castelli

“All I want in life is a little bit of love to take the pain away, getting strong today, a giant step each day” (“Ladies and Gentlemen we’re floating in space” - Spiritualized)