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Game, Set, Match.

La più antica e potente emozione umana è la paura, e la paura più antica e potente è la paura dell’ignoto.
(Howard Phillips Lovecraft)

“George: No, no, no, no… io non faccio mai leggere a nessuno le mie storie.
Marty: E perché no?
George: E se non piacciono? Se mi dicono che non valgo niente? Lo so che è una situazione difficile da capire…”
(George e Marty Mcfly, “Back to the future”)

“Scary monsters, super creeps
Keep me running, running scared
Scary monsters, super creeps
Keep me running, running scared”
(David Bowie, “Scary Monsters (and Super Creeps)” )

In gergo tennistico, si dice “avere il braccino”.
Tanto per spiegarlo a tutti quelli fra di voi che – per motivi di poca dimestichezza, o sedentarietà, o magari odio nei confronti di attività sportive in cui vada utilizzata una racchetta o una palla o entrambe allo stesso tempo – hanno poca familiarità con le questioni legate allo sport più bello del mondo (si, lo so, questa è una considerazione del tutto personale), “avere il braccino” è una locuzione che si utilizza quando in un match di tennis si sta assistendo ad una prestazione assolutamente superba da parte di uno dei due contendenti, con una superiorità sull’avversario evidente; ma che poi, al momento di dare la zampata finale per ottenere la meritata vittoria, fallisce clamorosamente magari uno, due, tre matchpoint, dando così all’avversario l’energia e la possibilità effettiva per riprendersi, rimontarlo, e alla fine arrivare alla vittoria.
Ti viene il “braccino”, non riesci a mettere la dovuta forza, precisione, efficacia ai tuoi colpi per una temporanea mancanza di lucidità: è la famosa paura di vincere. Che razionalmente può quasi sembrare ai più una ridicola contraddizione in termini; di solito si ha paura delle cose ‘brutte’, che ti tolgono o non ti fanno afferrare qualcosa, non delle cose ‘belle’ che dovrebbero aggiungertene. Tipo le vittorie, insomma. Ma nelle vittorie, per quanto paiano molto più semplici e gradevoli da gestire, si nasconde anche sempre un piccolo ostacolo da affrontare: quello del cambiamento.
Perché le vittorie, di solito, non lasciano mai inalterato ciò che investono con la loro deflagrante euforia: spesso portano con sé dei cambiamenti profondi, fatti di quella sostanza causate da ciò che le persone si aspettano da te dopo averle conseguite (fosse anche solo il dover lucidare la coppa della vittoria e non saper quale prodotto sia meglio utilizzare). E si sa, affrontare i cambiamenti fa di solito molta più paura che non dover invece proseguire con le solite tranquille, anestetiche, tediose abitudini di tutti i giorni. Ma è anche molto meno inebriante: molto meno ‘vitale’, visto che la vita altro non è che una lenta trasformazione, un cambiamento continuo e incessante. Pertanto, non fatevi venire il braccino quando vi capiterà lo smash a campo aperto proprio sul match point.
Non chiudete gli occhi: teneteli ben aperti, fate partire il braccio e, a cose fatte, salutate il pubblico imbracciando la vostra coppa.
A lucidarla, tanto, penserete poi.

 

Stefano Carsen

"Sentimentalmente legato al rock, nasco musicalmente e morirò solo dopo parecchi "encore". Dal prog rock all'alternative via grunge, ogni sfumatura è la mia".