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“Al cuore, Ramòn!”

Incominciai anche a capire che i dolori, le delusioni e la malinconia non sono fatti per renderci scontenti e toglierci valore e dignità, ma per maturarci.”
(Hermann Hesse)

Spesso il male di vivere ho incontrato:
era il rivo strozzato che gorgoglia,
era l’incartocciarsi della foglia riarsa,
era il cavallo stramazzato.
(Eugenio Montale)

Pain, will you return it?
I’ll say it again, pain
Pain, will you return it?
I’ll say it again, pain
(Depeche Mode, “Strangelove”)

Avete mai avuto momenti di indicibile smarrimento, densi di ansia, in cui anche respirare vi pareva – in quel momento – estremamente difficile?
Avete mai avuto la sensazione che, per quanto vi sforzaste, anche il più piccolo problema potesse diventare una montagna inscalabile, e che l’unica soluzione possibile fosse pertanto l’immobilità esistenziale assoluta?
Se dovesse mai capitarvi, allora di certo noterete come quella cura paia inizialmente funzionare: una sedazione dell’anima, il mondo intorno a voi che per un po’ si acquieta, e il dolore – quasi come per incanto – improvvisamente scompare.
Ma poi, come effetto indesiderato (ogni medicinale ne ha almeno uno, e nemmeno quelli esistenziali fanno dunque eccezione) vi rendete conto che gli occhi non si aprono più bene o, se lo fanno, vi rimandano immagini sfocate: quasi incomprensibili.
L’essere “piacevolmente insensibili” può di certo confortare per un po’, persino allietare (o per lo meno, darne l’apparenza); e forse sentire tanto, tutto e sempre, a volte fa davvero troppo male,
Ma vivere una vita da anestetizzati non vi farà mai essere davvero presenti: solo simulacri, tiepide immagini sfocate del moloch di voi stessi.
E sarà allora che vi renderete conto che la vita, il percorso, il dolore, non vanno anestetizzati; vanno abbracciati, e attraversati.
Ci si deve fare i conti, per forza.

“Hello
Is there anybody in there?”

Così, inizia “Comfortably Numb”, meravigliosa canzone tra le più conosciute dei Pink Floyd, il cui testo verte sulla solitudine e sulla richiesta di senso. Nel brano, uno dei più sentiti tra quelli contenuti nel concept album “The Wall”, Waters, descrive una situazione di smarrimento: il protagonista della scena è qualcuno che viene anestetizzato prima di entrare in scena.

“Capisco che tu ti senta giù
Io posso calmarti il dolore
Rimetterti di nuovo in piedi
Puoi mostrarmi dove ti fa male?”

La canzone, ad una lettura lineare, si riferisce ad un episodio appartenente alla vita musicale dello stesso Waters. Ma arrivando ad una comprensione e ad una analisi più profonda, lì dentro si parla di incomunicabilità. E si parla anche – in un senso del tutto metaforico – di quanto sia facile lasciarsi “aggiustare alla vita, anestetizzare” da allettanti ‘sedativi’ esistenziali, ma di come però questo comporti vivere ‘a distanza’, in un dislivello profondo che si crea tra la mente e la percezione del reale proprio a causa di quel sollievo artificiale: ‘Non c’è dolore ma ti stai allontanando. Una nave lontana che fuma all’orizzonte’.
Detto in altre parole: possiamo anche non soffrire, ma ciò non ci renderà più vivi; anzi, fuggire dalla vita e dai suoi problemi in realtà ci priva di qualcosa. Ci priva dell’anima, della caduta, del dolore, e quindi anche della crescita che deriva dall’accettazione di quelle cose, e dal loro superamento.
Pertanto, non c’è scampo: per vivere e crescere realmente, il dolore va dunque attraversato e accettato.
Anche se questo – nel momento in cui la ferita fa più male -non è sempre facile da ricordare.

 

 

Stefano Carsen

"Sentimentalmente legato al rock, nasco musicalmente e morirò solo dopo parecchi "encore". Dal prog rock all'alternative via grunge, ogni sfumatura è la mia".