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La sera tardi (dopo i concerti).

Ehi, Paul! Le primavere da ieri sono 78: auguri!
Quando iniziai ad appassionarmi alla Musica, ti conobbi in coppia con Garfunkel: il Lungo e il Corto, per fortuna senza un Pacioccone, altrimenti un’intera generazione cresciuta a Zecchino d’Oro e Mago Zurlì vi avrebbe perculato per sempre.
A quei tempi possedevo il “Greatest Hits”, la colonna sonora de “Il Laureato”, “Bookends”, mentre dei tuoi album solisti avevo letto poco e male, forse perché chi ne parlava era geloso, invidioso, presuntuoso, chissà, e li avevo ignorati.
Solo che le tue canzoni erano dei piccoli capolavori, così magnificamente cesellate, con quei testi che aderivano perfettamente ai ritmi e alle musiche: uno dei più grandi autori di sempre, e non lo dico per piaggeria solo perché ti sto scrivendo.
Ma fu anche una piccola fortuna che io non avessi ancora incrociato i tuoi primi capolavori solisti, perché imparai a conoscerti con quello che, all’epoca, era considerato il capitolo più debole della tua storia musicale.
Accadde così.

Era l’estate del 1981.
Paolo era un ragazzo di 27 anni, ben più grande rispetto ai miei 18, ma si trovava in villeggiatura nello stesso posto in cui ero rientrato da un soggiorno-studio in Inghilterra.
Ci era finito per caso, abbandonato da una ragazza poco prima di partire: avevamo fatto amicizia in spiaggia, corteggiando inconsapevolmente la stessa ragazza.
Quel pomeriggio vedemmo i cartelloni: la Premiata Forneria Marconi avrebbe tenuto un concerto allo stadio di Pietra Ligure, poco lontano da Borghetto S.S. (SV).
Erano passati due, forse tre anni dal mio primo concerto, proprio della Pfm e proprio allo stadio di Borghetto S.S., ma potevo considerarmi un veterano rispetto ai soliti “colleghi di spiaggia”, avendo pesantemente infoltito il curriculum da allora.
Insomma, finì che Paolo passò a prendermi con la sua Lancia Delta e ci recammo al concerto.
All’andata parlammo fitto dei concerti già visti (lui poteva vantare addirittura un Jethro Tull a Novara nel 1972, concerto al quale partecipò anche uno dei miei migliori amici di sempre), poi ci godemmo la performance di Di Cioccio & co. (che, nel periodo intercorso, avevano pubblicato ben due dischi, rendendo di fatto diversissima la scaletta rispetto alla volta precedente) e infine, uscendo appagati ma assetati, ci buttammo sul primo paninaro per comprare due birre e ci sbattemmo su una spiaggia loanese per scolarcele, chiacchierando del più e del meno. Era ancora abbastanza presto, si poteva fare una puntatina a Le Vele di Albenga.
Salimmo in auto e l’autoradio mandava musica non in sintonia con la serata: Paolo prese una cassetta dal cassetto del cruscotto. Non era all’inizio, per cui avevo percepito una musica piuttosto ritmata che sfumava, quindi partì un pezzo molto blues:

“When I was born
My mother died
She said,’Bye bye, baby, bye bye’
I said,’Where you goin? I’m just born’
She said,’I’ll only be gone for a while’
My mother loved to leave in style
That’s why God made the movies”

Ammazza, che allegrone!
Riconobbi la voce, ma non volevo interrompere il flusso di coscienza che sgorgava dal mio amico, che aveva già cambiato idea rispetto alla discoteca e si limitava a girovagare in auto, percorrendo l’Aurelia e raccontandomi della sua ex (sono sempre stato un buon ascoltatore).
Il secondo pezzo che udii era quello che intitolava l’album, One-Trick Pony, registrato dal vivo: era un disco suonato in maniera ineccepibile, questo, e certe soluzioni ritmiche mi ricordavano la recentissima scoperta di una tal Rickie Lee Jones.
Riuscii a infilare quel nome tra una considerazione e l’altra del buon Paolo, ridestandolo dalla trance cupa e triste legata ai suoi pensieri in libertà circa i rapporti con l’universo femminile:
“Ah, sì: la donna di Tom Waits. Beato lui. Beh, questo è di Paul Simon: è la colonna sonora di un film, una roba su un rapporto tormentato con una che…”.
Niente: era rientrato in loop sul suo argomento preferito di quella notte, accompagnato dal suono di Ace In The Hole, How The Heart Approaches What It Yearns, Long Long Day…
Su tutte, quella sera risultava perfettamente attuale Late In The Evening, alle mie orecchie qualcosa di inedito, ma Simon aveva già dato coi ritmi centro (e sud) americani anche nei dischi precedenti e persino in quelli con Garfunkel.
Fortunatamente, a un certo punto Paolo si rese conto di essere in riserva e, non essendoci al tempo distributori automatici in zona, optò per il rientro, con mio grande sollievo.
Mi lasciò sotto casa mentre Late In The Evening sfumava nuovamente e con una gran voglia di riascoltare il disco: mi dissi che il giorno seguente gli avrei chiesto di prestarmi la cassetta per farmela duplicare da un altro amico che aveva un radiolone “double deck recorder”.
Solo che la mattina dopo il mio amico non era in spiaggia: al mio rientro a casa trovai nella buca un biglietto in cui si scusava per non avermi salutato, ma aveva deciso di rientrare a domicilio: mi augurava ogni bene, ricordava con piacere la serata precedente ma, mannaggia la pupazza, non faceva cenno ad alcun recapito.
Mi sarebbe piaciuto mantenere un contatto con lui, peccato.
Chissà che fine hai fatto, amico di pochi giorni, ma sappi che ti penso ogni volta che riascolto quell’album immediatamente acquistato al mio rientro in città: quello che mi ha fatto riscoprire (e, da allora, amare) Paul Simon.
Grazie.

Massimo Perolini

Appassionato di musica, libri, cinema e Toro. Ex conduttore radiofonico per varie emittenti torinesi e manager di alcune band locali. Il suo motto l'ha preso da David Bowie: "I am the dj, I am what I play".