“Boogie’n’roll a Vaie, provincia di Perth, Australia”
La serata è di quelle giuste. Più di mezza redazione di We Love Radio Rock sta per raggiungere Vaie, giusto all’imbocco della Val di Susa e a poca distanza dalla Sacra di San Michele, monumento simbolo della Regione Piemonte e teatro delle riprese del film “Il Nome Della Rosa”.
Roberto Remondino, nonostante lo scarso preavviso, giunge sotto casa con elvetica puntualità: Laura Aduso è già in auto, la formazione d’attacco è al completo. Qualche decina di chilometri autostradali ed eccoci sotto l’insegna del locale.
“Le Valvole-Music Dinner” mi è ormai familiare, potremmo dire che sono un habitué: conosco le foto degli artisti appese alle pareti, quelle che rivestono la superficie dei tavoli, le gigantografie, l’angolo bar, i menu che riproducono le copertine di storici 45 giri, ricalcandone le dimensioni.
Sono anche buon amico di Fulvio, il titolare che coraggiosamente mantiene alta la qualità delle proposte, sia in termini musicali che di somministrazione di cibo e bevande.
Laura e Roberto non ci erano ancora stati: i loro sguardi parlano, finché non si incantano alla vista di una console munita di gloriosi piatti Technics 1200 sui quali girano incessantemente i 7″ sapientemente miscelati da Maurizio Enrico, il resident dj del locale.
Intravedo Luca Re, cantante dei favolosi Sick Rose (a breve in uscita un disco del suo nuovo progetto, Il Senato): al suo fianco il tavolo sul quale si accingono a cenare i Datura 4, la creatura che dà sfogo all’anima rock-blues, venata di hard, dell’australiano Dom Mariani, da Perth.
Celebre negli anni 80 con The Stems (il loro “At First Sight, Violets Are Blue”, 1987, è uno dei dischi irrinunciabili del decennio) e successivamente coi DM3, il nostro Dom aveva sempre frequentato un genere a cavallo tra sixties garage e seventies power pop, con un leggero tocco psichedelico a condire il tutto, ma i semi da cui è germogliata la passione per la musica affondavano nel fertile terreno di Yardbirds, Led Zeppelin, Black Sabbath, Cream, e i Datura 4 sono il suo tributo a questo genere.
L’occasione di ritrovarci è data dalla tournée di supporto al nuovo album del gruppo, il terzo, intitolato “Blessed Is The Boogie” e basti il titolo a spiegarne il contenuto.
Veloci convenevoli di rito e ci accomodiamo al tavolo predisposto per noi e gli ulteriori amici in fase di arrivo: il nostro Andrea Pavan con Alfy, sua gentile consorte, la ferocemente duraniana Cristina, come sempre accompagnata da Paola (sue le belle poesie che ornano alcune pareti del pub) e da Marcello, mia sorella Marina con Gianni e i miei nipoti Davide e Andrea. Tra hamburger, agnolotti, stinco, annaffiati da birre e bottiglie di nebbiolo, il tempo passa piacevolmente, mentre in loce di popola di altre facce conosciute: il grande fotografo Lorenzo Mascherpa, Gianni Tarello di Rockerilla, e i nostri collaboratori Luca Sanna, accompagnato dalla moglie, e Veronica Vair, giovanissima ed entusiasta come sempre.
Si spengono le luci, solo uno spot illumina il palco che ospita solo il batterista Warren Hall e il tastierista Bob Patient (unico neozelandese del gruppo) attaccano un’improvvisazione acid jazz che scalda l’ambiente prima dell’ingresso inscena di Dom e il resto della ciurma: Stu Loasby al basso e il neo acquisto, chitarrista e vocalist, rispondente al nome di Jozef Grech.
Veniamo subito investiti dal potente suono di Evil People, Pt. 2, la canzone più psichedelica di “Blessed Is The Boogie”, molto basata sul suono d’assieme e il cui testo è praticamente limitato alla ripetizione del titolo. Un intro perfetta per proseguire con Trolls, brano tratto dal secondo album della band, l’ottimo “Hairy Mountain”: le chitarre (classica Gibson SG “diavoletto” rosso mogano per Dom, mentre Grech imbraccia una favolosa Gibson Firebird) macinano accordi, riff e assoli senza soluzione di continuità, sostenute da una ritmica precisa e sognante e da un organo (più raramente, un piano) che fa da collante e assurge spesso a ruolo di protagonista, il tutto al servizio di canzoni lunghe, dilatate.
Così sarà per tutta la performance, come appare immediatamente evidente col primo dei brani tratti dal nuovo album: Sounds Of Gold è la quintessenza del seventies sound, un concentrato di glam rock venato di hard e velato da uno strato psichedelico, accentuato dalla “presenza” del suono live.
Mi guardo attorno: vedo solo bocche spalancate e non c’è una sola testa, una sola gamba sotto i tavoli, che non seguano il ritmo.
I Datura4, dopo sole tre canzoni, hanno già il pubblico in mano e se lo porteranno dietro come il pifferaio coi topolini, quindi è ora di rievocare la title track del primo disco della band, “Demon Blues”, e vai di slide che è un piacere.
Looper, zeppeliniana, è un’altra novità ed è seguita dalla gustosa cover in salsa rock, pressoché irriconoscibile, del classico neorlensiano Ooh Pooh Pah Doo, inizialmente pubblicato nel 1960 dal suo autore, Jesse Hill, ma reso poi celebre da Wilson Pickett e che vanta alcune decine di cover, spesso illustri (la fece persino Mia Martini durante un Cantagiro d’inizio anni 70).
The City Of Lights rallenta il ritmo, è una ballata di stampo classico, molto evocativa e ottiene il giusto apprezzamento.
Black Dog Keep Running fa da preludio alla title track del nuovo disco, dal quale dovrebbe essere il primo singolo estratto: sono canzoni, queste, che mantengono altissimo il livello di una performance che catalizza sempre più gli astanti e confermano la bontà di un album che è perfetto per essere suonato dal vivo.
Cosa potremo aspettarci, ora?
Ma…? Questo riff…, questo ritmo…? Ma certo! Questa è Oh Well! La versione offerta dagli australiani è rispettosa dell’originale dei Fleetwood Mac (periodo Peter Green, prima di trasferirsi in California e diventare altro, facendo meritatamente sfracelli nelle classifiche), ma aggiunge quel tocco di giusta cattiveria che ne aumenta l’effetto e consente a Mariani di sfogarsi negli assoli.
Confide In Me è nuovamente tratta dalla seconda prova del gruppo e se finora l’esordio era stato appena sfiorato, Ain’t No Friend torna a rappresentarlo in tutta la sua potenza e porta a conclusione il concerto.
Ma il pubblico non ci sta, il pubblico de “Le Valvole” ne vuole ancora: le mani si spellano in applausi convinti, i musicisti sono invocati a gran voce e il richiamo fa breccia nel cuore di Dom, che commosso torna a imbracciare la chitarra e richiama la band sul palco.
Prima di lanciarsi in una sfrenata Mary Caroll Park, il leader rinnova un invito già espresso in precedenza: “You can dance, if you like it”.
Detto, fatto: We Love Radio Rock scende in pista e, con sprezzo del pericolo di rottura di caviglie e legamenti, Laura, Andrea, Roberto e il sottoscritto si scatenano in una danza sabbatica da far invidia a quelle dei juke joint del Mississippi negli anni 50. Siamo stremati, ma il gruppo ci sorprende con una versione stratosferica di I’m A Man, immediatamente riconosciuta per quel caratteristico riff e sottolineata da un organo che non fa rimpiangere quello di Winwood.
Nuovo tentativo di far riposare gli strumenti, nuova ovazione, nuovi sguardi d’intesa tra i musicisti e il quadro d’insieme del nuovo album viene collegato da Run With Lucy, a parere di chi scrive un potenziale hit single dal tiro micidiale.
Abracci, foto, autografi su copertine e scalette (che scopriremo difformi sa quanto visto sul palco: la grandezza di una band sta anche nel mutare il programma a seconda degli umori propri e del pubblico).Lasciamo che i ragazzi ottengano il giusto tributo da parte dei fan, ma siamo sornionamente in attesa di poter scambiare qualche battuta con Dom Mariani, abruzzese d’Australia e ormai vecchio amico, che ha promesso una breve intervista che meriterà di essere integrata alla prossima data in terra sabauda: il 15 ottobre saranno al Blah Blah, quindi replicheremo.
State in campana, ne leggerete ancora…