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David Keenan: ‘uno tra di noi’, ad aprire la stagione concerti del Circolo della Musica di Rivoli

Non è difficile notare le similitudini tra popoli di diversa nazionalità: basta avere un minimo di sensibilità, qualche nozione base di sociologia, e un pizzico di spirito di osservazione. Ancora meno complicato è scovare lati comuni tra esseri umani, a prescindere da categorie di genere e di ceppo linguistico e nazionale: serve solo la volontà di confrontarsi con persone sconosciute e la capacità di non ragionare per stereotipi.


Non è strano che certe analogie escano allo scoperto in certi modi di comportarsi, o di pensare, e nella loro generalizzazione verbale: i modi di dire, ad esempio, esprimono quella tipica saggezza di popolo che, a ben vedere, riguardno più la natura umana che non il volto del popolo in questione.

Tanto per intenderci, una sorta di “Italiani e greci, una faccia una razza” che, alla prima occasione, i soldati\amici del film “Mediterraneo” di Salvatores riascoltano nella versione del trafficante turco Aziz “Italiani e turchi, una faccia una razza”: un modo per accomunarsi quando, in realtà, non ce ne sarebbe bisogno essendo tutti della medesima razza. Quella ‘umana’, per essere più specifici.
Accade così che, in una tiepida sera ottobrina, ci si renda conto che ci si può sentire meno isolati, e parte di un gruppo di persone anche in una sala da concerti. Se poi l’essere umano in questione – con il quale sentirsi tanto accomunati e vicini da poter pensare “Ecco, vedi? Italiani e irlandesi, stessa faccia stessa razza” – è un talentuosissimo autore e cantante di Dundalk (capoluogo di contea del Louth nella Repubblica d’Irlanda) David Keenan, il sentimento di contiguità umana diventa così forte da essere quasi palpabile ed epidermico.


Palpabili come le note levigate che fuoriuscivano dalla sua chitarra
Silverstone bianco panna, immersi negli spazi all’apparenza sterminati del Circolo della Musica lo scorso lunedì, durante il concerto di apertura della nuova stagione musicale della bellissima venue rivolese: una scelta di ottimo gusto, opera del comandante in capo del circolo, Gianluca Gozzi, pescato tra le rotte delle sue navigazioni musicali. David ha la capacità di riuscire ad entrare da subito empaticamente in contatto con il suo pubblico, e di far percepire quegli spazi come se fossere pieni, anche laddove c’è invece una distanza sostanziosa tra una persona e un’altra.
La sua musica è un superfluido limpido e riconciliante, un mondo dotato dalla completa assenza di viscosità e di entropia, capace di insinuarsi negli spazi e di riempirli di note, di voce e della sua presenza. Le sue liriche sono piccoli poemi metropolitani, perfettamente incastonati in un tappeto musicale che offre, a chi ascolta, il piacere della comunanza e della vicinanza. Sono mondi aperti con vista sulla sua interiorità: uno spirito di poeta, capace di avvicinare l’universale partendo dal proprio particolare. E se tra le sue poesie non è così infrequente perdersi, camminandoci con lo sguardo come se si fosse all’interno di un bosco di parole e frasi, nella sua musica ci si ritrova perfettamente, immersi in sè stessi come unicità finalmente luminosa, e negli altri, come umanità confortevole.


Nonostante l’esiguo numero di persone presenti – pochissimi eletti e fortunati che mai si scorderanno di questo concerto – Keenan ha eseguito dal vivo – e in solo – alcuni dei suoi brani più conosciuti, quali James Dean (I had a dream that James Dean was alive and well today \ Looking for the quiet life, working for Irish rail \ And in me father’s clothes with a bloody nose I sang “Isn’t it so sweet?” \ There by the slot machine, there’s James Dean out cold beneath my feet) o la davvero bellissima Unholy Ghosts (Here’s to the fathers of the lost sons and the unholy ghosts\It’s the ones that seem destined to get left behind\Interest me the most), ma anche alcuni di quelli che faranno parte del suo prossimo disco – in uscita il prossimo 11 novembre – e che porterà il titolo di Crude.
Un titolo che, tradotto nelle sue declinazioni significanti, porta in sé parecchie sfumature che vanno dal “grezzo” e “rozzo”, fino a “immaturo” e “triviale”, e che promette di essere ancora più vicino all’essenza, all’ intimo e allo spirito di lui – viaggiatore e artista genuino –  nel pieno senso della parola, e in ogni sua sfumatura: come le scabrosità che escono dalla sua chitarra quando intona Back to the pavement, uno dei singoli già usciti, estratto del nuovo lavoro, in cui quelle note scagliate e pestate fanno il paio con una narrazione nella quale si vede gettato nuovamente per terra, “di nuovo sul pavimento, al quale appartengo”: che, però, è più un memento per sé stesso,  per ricordarsi da dove proviene, e che il successo (o, eventualmente, un fallimento) non può definire mai né lui né nessun altro (I am the fool who has been granted fortune \ I’ll stagnate then I’ll thrive it goes on \ I drink coffee and write like a bastard \ In search of courage \ In search of meaning \ In search of song). Un artista di capacità, che sa portare il suo cuore in mano, per mostrarsi così com’è a chi lo ascolta e lo guarda.


An áit a bhfuil do chroi is ann a thabharfas do chosa”: un modo di dire irlandese, che suona più o meno come “i tuoi piedi ti porteranno là dov’è il tuo cuore”, che alla fine è un po’ simile al nostro ‘Buttare il cuore oltre all’ostacolo’. E così è normale ritrovarsi di fronte a Keenan, a fine concerto, sceso tra di noi a salutarci uno per uno, a parlarci della sua musica, della sua Irlanda, di come quello appena finito sia stato il suo primo concerto solista in Italia, del suo entusiasmo per questo primo ‘GIG’ forse parco di spettatori ma dotato di esseri umani a cui lui vuole ritornare, stare in mezzo, e riconoscere.
Non fosse altro perché i suoi piedi lo dovevano portare proprio lì in mezzo: tra quegli sguardi, quelle mani, e quelle parole, a riprendersi il cuore.



Stefano Carsen

"Sentimentalmente legato al rock, nasco musicalmente e morirò solo dopo parecchi "encore". Dal prog rock all'alternative via grunge, ogni sfumatura è la mia".