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Il mondo è un vampiro – La Malinconia degli Smashing Pumpkins 25 anni dopo

Nel 1995 gli Smashing Pumpkins pubblicano come secondo singolo tratto dal loro terzo album “Mellon Collie and the infinite Sadness” il brano “1979”.
È  un brano che parla della nostalgia, più precisamente della nostalgia di Billy Corgan per il 1979 anno in cui iniziò la sua (e la mia) adolescenza.
Il brano ha un mood che è nostalgico dalla prima all’ultima nota, dalla prima all’ultima parola.
Il videoclip di accompagnamento che andrà in heavy rotation su MTV è interamente ambientato negli anni 90 e segue degli adolescenti annoiati nelle loro scorribande nei sobborghi di Chicago.
È  un pezzo che, a metà degli anni 90, parlando della nostalgia per gli anni 70 evoca nel medesimo frangente in un assurdo cortocircuito temporale quella che sarà la nostalgia per gli stessi anni 90.
Se dovessi scegliere una sola cosa a rappresentare il mood e l’atmosfera degli anni 90 sarebbe questa.
Nessun dubbio.
Inevitabilmente per qualche sorta di transfer mentale in cui il tutto sostituisce la parte è il doppio monolite “Mellon Collie” l’album che mi viene in mente per primo quando penso agli anni 90.
Sarà forse il suo essere uscito perfettamente a metà del decennio, il 23 ottobre 1995, in un momento in cui ero appena entrato nel mio trentesimo anno, quindi infilato nel bel mezzo di quel decennio della vita di ognuno che si potrebbe per molti aspetti considerare in potenza il decennio perfetto.
Fatto è che tra i moltissimi candidati possibili di un periodo ricco di stimoli è quello il “momento perfetto” dei nineties che mi viene in mente.
Pertanto  ampliando ancora il campo sono gli Smashing Pumpkins a portare tatuato sulla pelle del cranio di Billy Corgan lo stigma degli anni 90 come forse nessun’altra band. Nel bene e nel male.
Il loro primo album Gish esce nel 1991, l’ultimo appena prima dello scioglimento Machina I/The Machines of God è pubblicato nel 2000. Quello che è avvenuto dopo ha un peso specifico talmente minore da poterlo considerare trascurabile.The Smashing Pumpkins
Una carriera quindi, quella della band di Chicago, perfettamente incastrata nell’ultimo decennio del secolo. L’impatto dei Pumpkins tra musica ed immaginario visivo ha lasciato una traccia indelebile in migliaia di ragazzi e ragazze, ora veleggianti tra i quaranta e i cinquanta, che in quegli anni riuscivano a vedere nei quattro componenti di quella band, nella loro diversità di razza e di sesso, esempi da poter emulare, soprattutto fino a Siamese Dream, ma anche, a partire proprio da Mellon Collie, rockstar fantastiche e irraggiungibili. In quel preciso momento infatti lo sviluppo di una immagine di gruppo estremamente glamour ed immediatamente riconoscibile li proietta ad un livello di stardom che evoca immediatamente quegli anni settanta di cui Corgan e compagni si erano nutriti con diete a base di Kiss, Bowie, Alice Cooper, Yes, Led Zeppelin.
La centralità di “Mellon Collie” sia cronologica nell’ambito del decennio e del loro percorso, sia soprattutto in termini di cerniera tra due fasi chiaramente molto diverse della storia dei Pumpkins, lo rende alla fine, al di là di ogni considerazione di carattere puramente musicale e di ogni gusto personale (sperando che i fan di Siamese Dream non me ne vogliano), la loro opera con cui fare i conti quando si ragiona in termini di storia del Pop.
Il disco è evidentemente figlio, forse l’ultimo pargolo almeno a questo livello di popolarità, degli anni settanta.
Un album doppio con un filo conduttore seppur labile (quel from dusk till dawn …from twilight to starlight), che gli affibbia l’imprinting di “concept album”, ed un artwork immaginifico curato in ogni dettaglio e richiamato poi nel video del terzo singolo l’opening track “Tonight Tonight”, urla con forza la parola “Seventies” prima ancora di ascoltarlo.
E quando lo metti sul piat…ehm no… nel lettore cd, è come se le tue orecchie si trovino di botto immerse in un caleidoscopio e allo stesso tempo in una macchina del tempo.
Dalle note di pianoforte della title track che lo aprono alle medesime note che chiudono il cerchio alla fine dei saluti di “Farewell and Goodnight” è come trovarsi sulle montagne russe, un saliscendi emotivo formidabile che pesca a piene mani nella storia del rock, dall’hard metal, al pop barocco, alla psichedelia, al grunge, alla west coast, all’electro pop, al prog..
Quella di Mellon Collie è musica libera da gabbie e limiti, libera e ispiratissima, immersa nel proprio tempo in quanto espressione di quegli anni novanta che progressivamente stanno registrando il crollo delle barriere tra i generi.
Il Billy Corgan responsabile del 95 % della costruzione sonora dell’album è  in uno stato di grazia assoluto, che peraltro lo accompagna da un lustro buono.
Il lavoro certosino sul suono e sugli arrangiamenti rende piena giustizia a canzoni che tranne pochissime eccezioni hanno una caratura notevolissima e restano inchiodate in testa sin dai primi ascolti per non lasciarla più.
La band è una macchina rodatissima da centinaia di concerti, il drumming del tutto personale di Jimmy Chamberlin è lo scheletro di un animale (no …non è un dinosauro anche se a qualcuno potrebbe venire in mente) i cui muscoli sono le chitarre di Iha e Corgan a volte immerse in una saturazione che è solo loro e di nessun’altro, altre volte limpide e scintillanti nel loro fluttuare tra arpeggi celesti, il basso di D’Arcy fornisce i tendini per tenere unito il tutto sotto strati di pelle cangiante tinta di volta in volta dal suono degli archi, dei sintetizzatori, del pianoforte, del mellotron.
Mellon Collie è una creatura magnifica e imponente difficile da ignorare e altresì non replicabile.
Infatti ci vorranno tre anni a Corgan per riuscire a darvi seguito e dovrà creare un animale, Adore, del tutto diverso, sia per necessità (la dipendenza di Chamberlin dall’eroina e la morte per la stessa causa del tastierista Jonathan Melvoin) sia per una scelta artistica obbligata: certi miracoli avvengono una volta sola.
Ed infatti ogni volta che Billy riproverà dal 2000 in poi a cimentarsi in voli pindarici sulla carta paragonabili a questo spartiacque crollerà inevitabilmente al suolo.
Quello che Mellon Collie lascia a venticinque anni di distanza, e forse la ragione ultima per cui assurge nella mia memoria a simbolo di quel decennio, è il senso di irripetibilità.
Quella sensazione di aver raggiunto un picco estremamente difficile se non impossibile da superare, anche se non vuoi, forse perché non puoi, smettere di provare a farlo.
Insuperabile ed Irripetibile.
In fondo un po’ come “la fine dei vent’anni”.
Se Motta permette il prestito.

Time is never time at all
You can never ever leave without leaving a piece of youth
And our lives are forever changed
We will never be the same
The more you change the less you feel
Believe, believe in me, believe

That life can change, that you’re not stuck in vain
We’re not the same, we’re different tonight
Tonight, so bright
Tonight

Ettore Craca

"Nel suono, nella pagina, nel viaggio, nell'amore io sono. In ogni altro luogo e tempo non sono".