Visions & Soundtracks

Duelli, Amori e Spartiti nella Hollywood degli anni d’oro. Pt.3.

Terza e ultima parte dell’incursione nella Hollywood degli anni d’oro. Dopo aver parlato dei volti che segnarono quell’epoca, Erroll Flynn e Olivia De Havilland, oggi parliamo di chi operò in secondo piano: Musicisti e Costumisti che contribuirono attivamente a consegnare alla leggenda film quali “The adventures of Robin Hood” e “Captain Blood”.
Cominciamo da due artisti che lasciarono una profonda impronta nelle musiche dei film di quell’epoca: Erich Wolfgang Korngold e Max Steiner.
Korngold, nato in Austria nel 1897, rivela fin da giovanissimo un notevole talento musicale: a sette anni componeva già musica, e ad undici compose un balletto chiamato “Der schneeman”, che impressionò Gustav Mahler a tal punto che lo diresse personalmente in un importante teatro di Vienna. All’età di diciotto anni Kornglod aveva già composto più di venti opere, sinfonie e balletti, e raggiunto una popolarità a livello Europeo.
Negli anni dopo la guerra, scrisse famose opere quali “Cagliostro a Vienna” e “Una notte a Venezia”, e nel 1934 una svolta determinante per la sua carriera: il famoso regista Max Reinhardt lo invitò a Hollywood per adattare le musiche scritte da Felix Mendelssohn per l’omonima opera teatrale, nel suo film “A Midsummer night’s dream”. L’anno successivo arriva la consacrazione definitiva, con la colonna sonora di “Captain Blood”. A seguire, Korngold firmò le musiche di altre sei pellicole con Erroll Flynn, tra le quali “The Adventure of Robin Hood”, “The sea hawk” e “The private life of Elizabeth and Essex”. Nel 1945 decide di tornare alla composizione di opere teatrali, e termina così la sua brillante carriera di scrittore di colonne sonore cinematografiche.
In un’epoca che iniziava a capire l’importanza delle musiche nei film, lo stile musicale di Korngold è inconfondibile, e l’estrazione operistica è chiaramente percepibile nei suoi lavori principali; per “Captain Blood” ha anche fatto ricorso ad arrangiamenti di musiche sinfoniche di Franz Liszt.
Molto simile il profilo di Max Steiner, che molti considerano il papà delle musiche da film: anche lui Austriaco (nato il 10 Maggio 1888), ed anche lui enfant prodige: a dodici anni conduce la sua prima operetta, ed a quindici ha già raggiunto una popolarità a livello nazionale.
Fino al 1914 lavora con artisti del calibro di Franz Lehar, Edmund Eysler e Felix Weingautner, in vari paesi tra cui Italia e Gran Bretagna, ma in quell’anno all’inizio della Grande Guerra viene accusato di simpatizzare con il nemico, ed è costretto a lasciare l’Austria per rifugiarsi a New York lasciando tutti i suoi beni in Austria. Qui per sbarcare il lunario fa diversi lavori, tra i quali copista per la Harms Music Publishing: in questo ruolo entra in contatto con il mondo dei musical di Broadway, e trova impiego come coordinatore di palcoscenico presso una agenzia teatrale. Negli anni successivi compie diversi passi, fino a raggiungere una notevole popolarità in diversi ruoli: compositore, arrangiatore e direttore d’orchestra, e lavora con artisti quali Vincent Youmans e George Gershwin.
Nel 1929 arriva una svolta determinante per la carriera di Steiner: la RKO lo ingaggia per comporre le musiche di testa e di coda dei suoi cortometraggi, un concetto che stava muovendo i primi passi e che avrebbe costituito le fondamenta per l’introduzione del sonoro, e dopo breve tempo il produttore David Selznick ne espande il ruolo con la prima colonna sonora di “King Kong” (1933) per la regia di  Ernest Schoedesak.
È opinione diffusa tra i critici che la colonna sonora di Steiner contribuì notevolmente al successo della pellicola; Steiner riuscì a sviluppare temi che danno un notevole tocco di drammaticità, ma soprattutto contribuiscono a fornire un necessario senso di realismo ad una trama che invece ne contiene ben poco. King Kong non solo rese Steiner uno dei più popolari compositori di Hollywood, ma confermò la fondamentale importanza delle musiche in un film, e la capacità di manipolare le emozioni del pubblico nella direzione voluta.Negli anni successivi Steiner ebbe l’opportunità di lavorare con artisti del calibro di Fred Astaire, Katharine Hepburn, Frank Capra e John Ford. Quest’ultimo lo chiamò a comporre e dirigere la colonna sonora di “The Informer” (1935), per la quale Steiner vinse il suo primo Oscar; questo film introdusse una tecnica fino a quel momento sconosciuta: la registrazione delle scene in sincronizzazione con la colonna sonora.
Nel 1937 Steiner lascia la RKO e sottoscrive un contratto con la Warner Bros; qui Steiner ha l’opportunità’ di lavorare, tra gli altri, con Erroll Flynn, Humphrey Bogart e James Cagney, e registi di alto profilo quali Michael Curtiz, Howard Hawks e William Wyler. In particolare con Curtiz e Flynn cura le colonne sonore di “The Charge of the light brigade”, “Dodge City” e “Virginia City”. Il genere Western lo vede impegnato in diverse pellicole attraverso la sua lunga carriera, ricordiamo tra i tanti “Pursued” (1947) con Robert Mitchum, e il classico “The Searchers” (1956) di John Ford con John Wayne. Doveroso anche ricordare i sui diversi lavori nel genere Noir, trai quali il più importante è indubbiamente “The Big Sleep” (1946) di Howard Hawks, con Humphrey Bogart nei panni di Philip Marlowe, e una indimenticabile Lauren Bacall.
I due più grandi classici per i quali Steiner firma le musiche restano “Gone with the wind” (1939) di Victor Fleming, e il capolavoro di Michael Curtiz, “Casablanca” (1942) con Humphrey Bogart e Ingrid Bergman. Quest’ultimo ha consegnato alla storia del cinema diverse icone, come la scena dell’addio all’aeroporto, ma la più importante ovviamente è quella in cui Ilsa Lund (Bergman) chiede a Sam, il pianista del locale Rick’s Cafè Americain (Dooley Wilson)  di suonare di nuovo “As Time Goes By”, ed il brano che ne è associato; è da notare che Wilson era un batterista Jazz, non un pianista, e pertanto la musica venne doppiata.

In oltre settanta anni di carriera artistica, Max Steiner ci ha regalato oltre trecento colonne sonore per pellicole di svariati generi, per le quali ha ricevuto innumerevoli nomination e premi, di cui tre oscar. Ma il suo merito più grande è stato quello di consolidare l’importanza della colonna sonora nei film. La sua influenza è stata apertamente riconosciuta da artisti del calibro di John Barry e John Williams. Max Steiner viene oggi frequentemente chiamato “The dean of the film music” (Il preside delle colonne sonore).
La Hollywood degli anni d’oro sfornò innumerevoli film ambientati in periodi storici più o meno passati: dai Pirati dei Caraibi di “Captain Blood”, agli eroi del West di “Stagecoach”. La credibilità di un film storico parte dai costumi, e in questo campo alcuni nomi si distinsero per i loro lavori: Milo Anderson, Walter Plunkett ma soprattutto la pluripremiata Edith Head.
In oltre 20 anni di carriera come costumista cinematografico alla Warner Bros, Milo Anderson  si cimentò con diversi periodi storici e luoghi geografici: l’Inghilterra del 14mo secolo di Robin Hood, l’epopea del Far West americano, la Belle Epoque in Francia, e molti altri. Tra i suoi lavori più importanti ricordiamo proprio il Robin Hood di Curtiz, con Erroll Flynn e Olivia de Havilland, e “Rhapsody in Blue” (1945) tratto dall’omonima opera di George Gershwin, con Robert Alda e Al Jolson.
Molto più lunga la carriera di Walter Plunkett: dal 1927 fino ai tardi anni sessanta firmò i costumi di più di 400 pellicole, spaziando dalla fantasia di “King Kong” (1933) al dramma di “Little Women” (1933) di George Cukor con una giovanissima Katharine Hepburn. I suoi due lavori più famosi restano indubbiamente “Gone with the wind” (1939) in cui gli sfarzosi costumi dell’America di meta’ 1800 sono una pietra miliare della storia del cinema, e “Singin’ in the rain” (1952) di e con Gene Kelly.
Altra icona assoluta nel campo del design dei costumi cinematografici è Edith Head. Californiana nata nel 1897, Head vanta una carriera di trent’anni presso la Paramount Pictures e successivamente alla Universal Studios, otto premi Oscar ed un numero enorme di altri premi e nomination. Head ha disegnato costumi per quasi tutti gli artisti di Hollywood, ma è doveroso ricordare alcune delle sue creazioni più importanti; Ingrid Bergman in “Notorious” (1946) di Alfred Hitchcock; Hedy Lamarr e Angela Lansbury nel dramma epico “Samson and Delilah” (1949) di Cecile Demille; Gloria Swanson in “Sunset Boulevard” (1950) di Billy Wilder; Liz Taylor in “A place in the sun” (1951); Audrey Hepburn in “Roman Holiday” (1953), “Sabrina” (1954) e “Breakfast at Tiffany’s” (1961); Grace Kelly in “Rear Window” (1954) e “To catch a thief” (1955); Rita Hayworth in “Separate Tables” (1958); Sofia Loren in “That kind of woman” (1959). E poi a seguire Jane Fonda, Julie Andrews, Joan Crawford e moltissime altre.
Anche tra gli uomini i costumi di Edith Head erano molto ricercati e popolari: John Wayne, Rock Hudson, Steve Martin e Elvis Presley tra gli altri. Proprio per Steve Martin Edith disegno’ i particolarissimi costumi per “Dead Men don’t wear plaid” (“Il mistero del cadavere scomparso”), un film in bianco e nero di Carl Reiner del 1982, in cui scene di vecchi film con star come Humphrey Bogart e Lauren Bacall si mescolano con scene con attori contemporanei.
I costumi di Edith Head si sono sempre fatti notare dal pubblico per la loro perfetta armonia con il tono del film e con i tratti dell’artista che li indossava, indipendentemente dall’epoca in cui il film era ambientato.

 

Marco Quaranta

Marco Quaranta è nato a Torino, più di 20 e meno di 80 anni fa. 25 anni fa ha deciso che voleva vedere il mondo, e da allora ha vissuto dieci anni in Asia e quindici in Australia. Al momento vive a Melbourne. Marco é pazzo per la fantascienza, in tutte le sue forme. Gli piacciono anche il cinema, la musica e i giochi di ruolo.