Celebriamo?
Il lavoro non mi piace – non piace a nessuno – ma mi piace quello che c’è nel lavoro: la possibilità di trovare se stessi. La propria realtà – per se stessi, non per gli altri – ciò che nessun altro potrà mai conoscere.
(Joseph Conrad)
Presto non ci sarà nessuna divisione fra il lavoro e il tempo libero. Ogni cesso verrà dotato di unità interna, con computer, email e webcam, così nessuno sarà mai disconnesso o non contattabile.
(Irvine Welsh)
“I ain’t gonna work on, nah
I ain’t gonna work on Maggie’s farm no more
I ain’t gonna work for Maggie’s brother no more
Nah, I ain’t gonna work for Maggie’s brother no more”
(Bob Dylan, “Maggie’s farm)
Le festività laiche non hanno un valore d’uso. O per lo meno non dovrebbero averlo, anche se nell’immaginario collettivo sono oramai valutate per ciò che intendiamo fare in quel giorno di “libertà”.
Stanno lì soprattutto per qualcosa di più profondo che non sia un’allettante gita fuoriporta, una mangiata con gli amici o i parenti, o una giornata in panciolle passata sul divano a gustare film. Hanno principalmente – nelle idee di chi le ha lanciate – un valore sociale, riflessivo e valutativo: ci si ferma, si ragiona sul valore rappresentato da quella festività, e ci si interroga sulla sua resistenza nelle nostre vite e nella quotidianità, e su come e quanto noi rispettiamo ogni giorno quei principi.
Le idee – quelle identitarie e fondate sul bene della Società – sono come una religione, ma con molta più concretezza e tangibilità.
Soprattutto, sono riscontrabili direttamente nelle azioni e negli effetti, giorno per giorno: senza quell’alone di divina inconsistenza, preghiere, sacramenti e leggende, che nel concreto le renderebbe aleatorie e passive.
Paradiso e Inferno, ma a due passi da noi.