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4×4: 4 domande x 4 canzoni – Bloop: “Schiacciatempo (EP)”

Mi sembra l’altro ieri quando Francesco mi diceva che non sapeva se sarebbe stato in grado di scrivere dei testi, che forse era bravo solo ad accompagnare altri autori, a suonare degli strumenti, che fossero tastiere o chitarre importava poco. D’altronde – mi diceva – è del tutto dignitoso essere “solo” dei musicisti; non tutti sono nati per scrivere canzoni.Mi sembra ieri quando ha preso coraggio e mi ha fatto sentire il suo primissimo brano scritto, in assoluto. Ricordo perfettamente tutti i suoi dubbi sulla qualità del testo ma allo stesso tempo ricordo anche che c’era del buon potenziale, certo, molto debitore di un certo tipo di cantautorato all’italiana ma un ottimo inizio.

Ragazzi partiamo dalle basi: ma voi chi siete e che musica fate?

Francesco: “Siamo una band milanese, ma caso vuole che tutti i componenti vengano da sotto il Tevere, attualmente tre quarti pugliesi e un quarto campano. Facciamo pezzi nostri con testi in italiano, senza porci paletti di genere. Cerchiamo di mescolare i nostri percorsi musicali e le nostre influenze, piuttosto diversi tra loro, concentrandoci sul vestito migliore da dare ai singoli brani più che sul sound complessivo, caratteristica che emerge spontanea una volta creato equilibrio e affiatamento nel gruppo.
La formazione attuale è composta da me Francesco Libertini (voce, tastiera, chitarre acustica), Claudio Nasti (chitarra elettrica, cori), Francesco Franky Todisco (basso, cori), Giuseppe Antonacci (batteria).”

Tripla domanda in una: Quali sono i gruppi che più vi hanno formato sin ora nei vostri ascolti?  Quanto secondo voi questo è evidente nella musica che fate? E quanto è voluto?

Francesco: “Parto dall’ultima: voluto direi pressoché mai, ma non disdegno quello che emerge spontaneamente.

Più che le singole influenze, spero che si percepisca il modo in cui sono amalgamate, che ritengo sia il senso di una band e il valore aggiunto rispetto ad un lavoro da solista.
Devo citare per primo De André, se non altro perché se non avessi ascoltato le sue canzoni sicuramente non avrei mai scritto mezza parola. Mi ricordo il momento preciso e la canzone con cui mi ha colpito, in un periodo in cui stavo cercando qualcosa di diverso dai miei standard: era “Il sogno di Maria” durante un volo per Lecce. Avendo vissuto fino ad allora al 90% di rock in lingua straniera, con un 10% di Battiato, Battisti, PFM, Bluvertigo e poco altro di italiano. Ho scoperto un modo diverso di poter raccontare le cose, magari irraggiungibile ma per lo meno approcciabile per me. Mi ci vedete a urlare scatenato con un chitarrone in stile Mattew Bellamy? Neanche io. Da lì è partita un’immersione di un paio d’anni nel cantautorato italiano, cito in particolare Dalla per le canzoni che ti spaccano a metà e Bennato per lo spirito ribelle e per la rabbia che diventa ironia e mai violenza. Poi potrei citare una serie di classiconi come Bowie, Pink Floyd, Velvet Underground, ormai forse dovrei includere anche i Radiohead, oppure cose più di nicchia come i Neutral Milk Hotel.”

Claudio: “Anche io parto dall’ultima. Occupandomi principalmente di arrangiamenti, a volte può capitare di divertirmi nel fare citazioni intenzionali. Dico divertirmi perché negli arrangiamenti hai la possibilità di prendere del materiale sonoro, decontestualizzarlo e reinserirlo in temi e ambienti completamente diversi dal loro habitat di origine. Il risultato che viene fuori è nel 90% dei casi imprevedibile. Quando parlo di materiale sonoro chiaramente non mi riferisco a brani o autori precisi (quello è plagio), ma magari a frasi musicali che possono avere caratteristiche tipiche di un genere o di un periodo. Mi viene in mente, come esempio più rappresentativo, la chitarra che ho estrapolato dai miei ricordi di bambino, un po’ “watchu wari wari”, un po’ “Rimini Rimini”, insomma una chitarra tipicamente Italian B Movie, inserita in un pezzo quasi prog come “Di Corsa”. Mi ha riempito di soddisfazione :).
Non saprei dirti quanto possano essere evidenti le nostre singole influenze nei Bloop (secondo me del “watchu wari” in “Di Corsa” non se ne accorge nessuno). Non so…una delle mie band preferite sono i Tool…l’avresti mai detto?
E vengo alla prima domanda. Diciamo che nel corso degli anni ho perso un po’ l’interesse per il “genere” musicale, quindi mi risulta difficile clusterizzare le mie influenze. In adolescenza il genere rappresenta un elemento sociologico importante, che un po’ ti veste anche la personalità. Poi fortunatamente ti rendi conto che la pelle d’oca non viene da lì e cominci a chiederti cosa possa accomunare artisti come Tool, Mars Volta, Υann Tiersen, Mogwai, Trent Reznor, Υannis Xenakis, Pink Floyd, Chopin, John Zorn, Edgar Varese, Sigur Ros, Eddie Vedder, e così all’infinito.
La prima risposta è “nulla”!! Non sono accomunati da una beneamata fava. La seconda risposta che si può provare a dare è che questi artisti hanno tutti una profonda intelligenza musicale e compositiva, che probabilmente rappresenta l’elemento per me più affascinante e raro, ancor prima di qualsiasi genere e/o tecnica di esecuzione. Ho risposto?”

Beppe: “Io che sono l’anima sicuramente più pop del gruppo e sono l’ultimo arrivato non nascondo che sono entrato un po’ in “conflitto” inizialmente con quel che erano già gli arrangiamenti dei brani, però abbiamo insieme ricercato cosa utilizzare e cosa no per amalgamarci al meglio, mantenendo però la mia identità proveniente un po’ dal (power) pop internazionale, l’indie britannico e il funky/hip hop dei fratelli neri. Potrei accennare anche al post rock e un periodo radioheadeggiante particolarmente intenso per cui potrei avere dei bug di sistema che ogni tanto mi portano a viaggiare. Sono consigliati da nove dentisti su dieci.

Franky: L’elenco sarebbe lunghissimo e farei fatica a ricordare tutti. Il mio percorso nella musica è iniziato ascoltando i capisaldi del rock prog anni ’60/70, la new wave anni ’80, il grunge dei ’90, come si fa un po’ a scuola studiando la letteratura e la storia dell’arte degli anni addietro, da lì in poi è partita per me la necessità di scoprire sonorità nuove, linguaggi diversi e quando poi sono arrivate le piattaforme di musica in streaming è stato pura estasi. Ricordo (perchè adesso la situazione si è un po’ affievolita) di aver passato ore tutti i giorni ad ascoltare musica di ogni parte del mondo senza riuscire a fermarmi perchè scoprivo cose assurde e allucinanti per me. In questo percorso ho scoperto tante sfumature musicali che credo aver fatto mie e che sicuramente si manifestano in ciò che arrangio e quindi suono, come esperienza e conoscenza appresa, nulla di voluto e di prestabilito. Ecco sicuramente c’è un filo conduttore che esprime la mia attitudine musicale che attraversa tanti continenti, questo è il Groove.”

Finora il paroliere della band è stato Francesco, mi sono sempre chiesto quanto gli altri componenti della band in un caso come questo si sentano proprie le canzoni…mi aiutate voi?

Francesco: “Io voglio solo sottolineare, come sempre, che non suonerei mai da solo e che non sarei mai stato in grado di fare da solo quello che abbiamo fatto insieme. Si sa che “la somma delle parti è maggiore del tutto”, per lo meno se c’è una buona squadra. Per il resto, aiutatelo voi.”

Claudio: “Personalmente ho un forte senso di appartenenza nei confronti delle canzoni su cui abbiamo lavorato tanto. Certo, i contenuti dei testi sono farina di Francesco, visto che facevi riferimento al termine “paroliere”, ma ti posso assicurare che quando la “creatura-canzone” la senti tua, la senti tua tutta…parole comprese.”

Beppe: “Sono d’accordo e aggiungo che una canzone non la senti tua sin quando non percepisci quella sensazione di benessere che ti avvolge mentre la stai eseguendo. Non siamo delle macchine che devono eseguire solo dei comandi e la comprensione del testo o l’utilizzo di alcuni vocaboli ed espressioni o la storia descritta, cosa che spesso io personalmente non metto in primo piano a fronte di un maggiore focus sugli strumenti, può aggiungere spesso una lode alla musica e può avere più probabilità di avvicinarsi a te.”

Franky: “Credo che noi altri col tempo siamo arrivati a sentirle e a farle nostre. Ciò avviene quando si coltiva il rapporto di band e dove ognuno è libero di esprimere sé stesso in quello che si fa, come nel nostro caso.”

Sentendo le 4 canzoni che fanno parte dell’EP “Schiacciatempo”, ovvero “Di Corsa”, “Disincontro”, “Telenovela” e “Non è importante” ho notato un atteggiamento di fondo un po’
malinconico, quasi di insofferenza verso le catene della quotidianità che in qualche modo rendono la vita più grigia, più tetra…è solo una mia interpretazione?

Francesco: “Sicuramente malinconia e insofferenza ci sono, l’intenzione però non è mai disfattista del tipo “è tutto una merda, lamentiamoci che fa figo”, piuttosto vorrei dire “guardate come siamo scemi, ci roviniamo le cose da soli” quindi lasciando sempre spazio alla speranza.”

Claudio: “Sì credo che il mood malinconico/insofferente venga sufficientemente in superficie, non che debba vivere nei sotterranei dell’inconscio. Anzi da parte mia sostengo che questo sia un bene. Alla fine, quando si suona o si ascolta musica, un po’ si sta cercando un momento di catarsi e di sfogo. Difficilmente riesco ad immaginare momenti catartici e risolutivi fatti di allegria. Almeno a me, se esistessero, farebbero tristezza. Una volta abbiamo provato a fare un brano nuovo di tutti accordi maggiori…cestinato. Non ci riesco.”

Franky: “Mah uno degli aspetti magnifici della musica è che l’ascoltatore può dare un significato a ciò che ascolta, immedesimandosi anche a suo modo. Non è detto quindi che a tutti rievochi malinconia, ad esempio a qualcuno potrebbe scattare la voglia di fare twerking sui nostri brani :-)”

Signore e signori ecco a voi i Bloop!

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Andrea Castelli

“All I want in life is a little bit of love to take the pain away, getting strong today, a giant step each day” (“Ladies and Gentlemen we’re floating in space” - Spiritualized)